Verucchio
Pazzini
2008
Regio VIII. Luoghi, uomini, percorsi dell'età romana in Emilia-Romagna
San Giovanni in Persiceto
Aspasia
2006
pp. 55-56
Storia di Santarcangelo di Romagna
Cesena
Il Ponte Vecchio
1999
Con la terra e con il fuoco. Fornaci romane del riminese
Rimini
Fondazione Gualandi Edizioni
1993
1989
Rimini
Maggioli
1985
1983
1983
villaggio
secc. I a.C./ VI d.C.
È probabile che il primo insediamento organizzato sul colle, il pagus Acervuli, coincida con la colonizzazione romana: da centro agricolo, in età tardo repubblicana e imperiale il villaggio, grazie all'abbondante presenza di corsi di carattere torrentizio e alla vicinanza alla via Emilia, fu anche al centro di un'ampia zona di produzione fittile, testimoniata dalle numerosi fornaci rinvenute sin dall'inizio del XIX secolo.
Gli scavi eseguiti nel corso del tempo hanno infatti riportato alla luce vasche e forni di cottura sparse nel territorio santarcangiolese. I principali complessi erano collocati ai piedi del Colle dei Cappuccini e si raggruppano in tre nuclei: la Fornace di via della Resistenza, la Fornace della Lottizzazione Spina, la Fornace della Lottizzazione Campana. In quest’ultimo complesso figulinario, la fornace, risalente alla prima età imperiale, è composta di due forni diversi per dimensioni ma di identico orientamento. Entrambe le strutture sono di forma rettangolare e quella di maggiori dimensioni è dotata di praefurnium e di piano di cottura.
Alle origini di questa tradizione vi furono certamente la facile reperibilità delle argille idonee alla cottura e l’abbondante copertura boschiva da cui reperire materia prima per la combustione.
Nell'area, così ricca da un punto di vista agricolo, la crisi della tarda antichità fece sentire meno i suoi effetti, e così, come tutto il territorio di Rimini, fu al centro dei percorsi degli eserciti impegnati nella guerra greco–gotica.
Ciò nonostante Santarcangelo e la valle dell'Uso sono una delle zone non cittadine dell'Emilia-Romagna dalla più intensa continuità documentaria, non solo grazie ai documenti d'archivio, ma pure grazie a monumenti (la Pieve di S. Michele, VI sec.) e ritrovamenti (sepoltura longobarda, VIII sec.), senza contare le presenza più enigmatiche come le suggestive grotte scavate sotto il monte Giove. Queste ultime, menzionate per la prima volta in documenti di epoca malatestiana (1496) e già oggetto alcuni anni fa di un progetto di ricerca, mostrano analogie - per tecnica, tipologia architettonica e pianta - con edifici e monumenti di età paleocristiana e bizantina.