loc. Borgatella
San Lazzaro di Savena
struttura abitativa
edificio rustico con fornace
ambito culturale romano
fine III - II sec. a.C./ III sec. d.C.
Nonostante i disturbi provocati dal corso del Savena e dalla sua confluenza nell’Idice, in località Borgatella si rileva una serie di persistenze centuriali isolate e alcuni siti di maggiore consistenza, a cominciare da Villa Gardi/LUCMAR, dove viene ubicato un edificio rustico con fornace. Alcuni frr. ceramici a vernice nera (una coppa su piede ad anello con stampiglia a rilievo a otto petali, un piatto da pesce con orlo a listello caratterizzato da vernice iridescente, una pisside, una lucerna di tipo “Esquilino”) per la loro cronologia alta - II sec. a.C., e in parte anche fine III sec. a.C. - collocano la nascita di tale stanziamento nelle prime fasi della colonizzazione e ne fanno, al momento, uno dei più antichi del territorio, mentre un sesterzio di Massimino il Trace con la Fides Militum offre un appiglio per valutare l’estensione del suo arco di vita.
Fra i materiali recuperati nel sito c'è anche una valvula in bronzo, ossia un rubinetto “a maschio” da mettere in relazione con un impianto idrico al servizio del complesso.


Che questa porzione di pianura fosse notevolmente insediata è documentato, a ridosso dell’innesto fra i due corsi d’acqua, dagli affioramenti romani nel podere S. Francesco/Villa Vignoli, dove l'urbanizzazione e alcuni interventi infrastrutturali hanno evidentemente intercettato una struttura abitativa portando alla luce un gruppo di pesi da telaio in terracotta .
Da Luigi Fantini apprendiamo, inoltre, che fin dal 1888 e poi nel 1895 si era verificata la scoperta di «fondamenta di antiche costruzioni, ed avanzi di pavimenti» e che «non è raro, anche al presente, in occasione di arature il vedere frammenti di materiale laterizio romano».
Lo stesso Fantini è poi preziosa e diretta fonte di una serie di ritrovamenti nel greto dell’Idice che ebbero a fruttare, lungo il tratto da questo punto al nucleo della Borgatella, ben sei macine granarie (quattro in arenaria e due in cloritoscisto granatifero della Valle d'Aosta). Ancor più eloquente è un ultimo recupero effettuato dal Ricercatore circa un chilometro a valle dei torrenti: il cono inferiore di una macina granaria biconica in pietra leucitica e due pozzi rivestiti di mattoni puteali. Una delle strutture conservava ancora parte del suo riempimento contenente recipienti interi e frammentari e una porzione di mola sempre riferibile a un mulino biconico, a riprova della forte vocazione cerealicola della pianura e di attività produttive e manifatturiere di trasformazione.
Procedendo verso oriente alla destra dell'Idice, in località Colunga si incontra il podere Tortorella, luogo del celebre ritrovamento del cosiddetto “Aureus di Colunga”. Il gruzzolo contava quindici monete d'oro fra le quali, oltre alla moneta legionaria, un’aureus di Quinto Voconio Vitulo e uno del monetario di Augusto Gaio Sulpicio Platorino. Racchiuso tra i due estremi cronologici del 37 a.C., anno di emissione del primo esemplare, e del 13 a.C., anno di emissione del secondo, il tesoretto viene datato al 13-12 a.C. Una moneta così rara come l’aures della Legio VI, battuto da Antonio nella zecca mobile al suo seguito per pagare le truppe prima della battaglia di Azio, è da ricondurre con forti probabilità a un colono ex legionario domiciliato nell’agro bononiense, spiegabile alla luce del legame di Bononia con la gens Antonia e della testimoniata residenza in città di veterani dell’esercito di Antonio.