Savignano sul Panaro
insediamento
insediamento sparso
ambito culturale romano e tardoantico
secc. I a.C./ VI d.C.
Le numerose persistenze insediative di età romana che caratterizzano il settore della media valle del Panaro attestano una situazione di fitto popolamento e di intenso sviluppo economico specialmente a partire dall'età augustea.
Nonostante la principale vocazione del territorio sia di tipo agricolo e pastorale, le evidenze archeologiche restituiscono una dimensione più articolata all'economia locale, che si arricchisce di attività produttive talora spinte ad un livello quali-quantitativo decisamente superiore al fabbisogno interno e quindi manifestatamente indirizzate ad una distribuzione commercializzazione più vasta dei prodotti.

Dal punto di vista delle scelte insediative, le peculiarità geomorfologiche stesse di questa porzione della media collina si riflettono in un tessuto demografico, meno fitto rispetto alle zone di prima pianura, che tende a privilegiare le aree tabulari e piane sui rilevati altimetrici oppure si condensa lungo gli assi di transito rappresentati dalla via di vallata (via pedemontana cosiddetta “Strada Claudia”) e dal reticolo stradale secondario.


Nel territorio di Spilamberto uno scavo condotto una trentina di anni fa per lavori di livellamento del pendio collinare in località Castelletto ha messo in luce un edificio rustico di età romana, sorto in un’area precedentemente sede di un abitato dell’età del Bronzo e di una necropoli dell’avanzata età del Ferro. Le indagini hanno circoscritto i resti di una villa urbano-rustica sviluppatasi a partire dall’età cesariana sulla sommità della collina alle spalle del fiume Panaro e in proiezione di importanti vie di comunicazione.
L’impianto agricolo-produttivo, arricchito da una zona residenziale con tessere musive e frammenti di intonaco dipinto, ha avuto due fasi edilizie e sembra perdurare, pur con discontinuità, sino al IV sec. d.C.
Sempre a Spilamberto, in prossimità del Panaro (via Macchioni) sono stati portati in luce un edificio agricolo-produttivo (magazzini, una fornace per laterizi, due pozzi per acqua) e due necropoli databili ai primi secoli dell’impero romano.

Nella vicina località S. Eusebio sorgeva un analogo complesso edilizio. Le ampie spoliazioni subite nel tempo dall’edificio rendono problematico precisare la funzionalità della villa, a sicura vocazione agricola, con la consueta distinzione in un settore abitativo e in uno artigianale per le necessità interne dei suoi residenti. I materiali ivi recuperati ne definiscono l’arco di vita tra la fine del I sec. a.C. e il III sec. d.C., con un picco di occupazione nel I sec. d.C.

Il concentrarsi di testimonianze intorno a Savignano, dal cui territorio provengono anche mosaici pavimentali policromi di età tardoromana (poderi Melda e Pratoguarrato) per ora gli unici rinvenuti nel Modenese, ha fatto supporre che nell’area sia sorto un vicus, vitale sino ad età molto avanzata (V sec. d.C.) in corrispondenza di un passaggio del fiume contrassegnato da un guado o da un ponte. L’esistenza di un centro strutturato ed organizzato, dotato di servizi per la locale comunità e caratterizzato da manifatture artigianali, pare comprovata anche dall'attività di un'officina figulinaria specializzata nella produzione industriale di lucerne a stampo con marchio di fabbrica FORTIS, ampiamente diffuse nel mondo romano.

Il panorama dell’edilizia residenziale e degli impianti artigianali annessi annovera ancora un esempio rimarchevole a Castelvetro, ove la sistemazione del Campo Sportivo ha fornito pochi anni or sono l’occasione per indagare due fornaci al servizio di un’ampia villa, disposta su un’altura soprastante il torrente Guerro, che scavi ottocenteschi avevano posto in luce documentandone l’esistenza tra l’età tardo-repubblicana e il V-VI sec. d.C.

Un’ultima significativa testimonianza attinente la presenza romana nella vallata è stata individuata nel 1977 nel greto del fiume Panaro, in località S. Cesario. Gli scavi hanno rilevato, all'interno di un pozzo romano, due strati di materiali divisi da una trave disposta orizzontalmente. Tale peculiarità lo colloca nella categoria dei pozzi-deposito, i cui esempi più conosciuti sono quelli di Bazzano nella contigua Val Samoggia.
Come nel caso bazzanese, si presume che il materiale sia stato deposto all'interno del pozzo allo scopo di conservarlo e proteggerlo a seguito o in vista di avvenimenti che potessero minarne la sicurezza. L’analisi del contenuto ha confermato che gli oggetti e i contenitori sono collegabili ad un’economia di tipo agricolo.