Regio VIII. Luoghi, uomini, percorsi dell'età romana in Emilia-Romagna
San Giovanni in Persiceto
Aspasia
2006
pp. 314-316
Porretta Terme
Editoriale Nuèter
1995
Bologna
Labanti e Nanni
1992
Bologna
1992
Bologna
1990
Casalecchio di Reno
Grafis Edizioni
1985
1864
insediamento sparso
secc. II a.C./ V d.C.
L'esaurimento dell'organismo urbano etrusco nel corso del IV sec. a.C. priva però l'area di un centro di gravitazione, tant'è che in età romana la porzione medio-bassa della vallata, certamente posta sotto il dominio di Bononia, non presenta evidenze archeologiche particolarmente significative, con due sole eccezioni: l'acquedotto del Setta e la fattoria di Pian di Misano.
Per la sua condizione di minore praticabilità e più ridotta insediabilità, anche l'alta vallata non ha rivelato particolari fenomeni di densità abitativa, ma è ben noto che la presenza di sorgenti di acque medicamentose - in questo caso salsobromoiodiche nell'alveo del torrente Rio Maggiore e sulfuree sgorganti alla sinistra del Reno - ha attirato da sempre l'attenzione delle antiche popolazioni e favorito la frequentazione di tali luoghi.
L'acquedotto del Setta è perfettamente inseribile nel quadro delle politiche urbanistiche promosse da Augusto a Bononia e in altri centri della Regio VIII e costituisce una mirabile opera ingegneristica realizzata in sotterraneo per una lunghezza approssimativa di 22 km., allo scopo di portare acqua potabile alla città, fino a quel momento rifornita solo da pozzi, prelevandola dal torrente Setta, affluente del Reno. Il tracciato in cunicolo si sviluppa
dalla confluenza dei due fiumi (a Sasso Marconi) e costeggia il Reno fino a Casalecchio, poi piega improvvisamente verso est e, passando sotto le colline, giunge a Bologna. Attorno alla metà del XIX sec. le ricerche di Antonio Zannoni e di Giovanni Gozzadini hanno avuto il merito dell’identificazione del manufatto e del suo ripristino: grazie a loro l'acqua del Setta giunge ancor oggi in città attraverso un’acquedotto di duemila anni fa.
Il pianoro di Misano, che aveva ospitato la città etrusca, dopo alcuni secoli di abbandono viene rioccupato da una villa rustica (I sec. a.C. - I sec. d.C.) impiantata per lo sfruttamento agricolo e pastorale del territorio circostante. Del complesso restano alcune fondazioni, una rete di canalizzazioni per lo scolo delle acque e due fornaci al servizio dell’edificio per la cottura di laterizi e di ceramiche di uso domestico.
Una piccola necropoli con tre semplici sepolture, scoperta nei pressi, potrebbe riferirsi agli abitanti della fattoria.
Se è solo a partire dai primi secoli dopo il Mille che Porretta e le sue terme fanno la loro comparsa nei documenti e nella letteratura, non c’è dubbio che il territorio fosse conosciuto da ben prima proprio per lo sfruttamento e forse il culto delle acque curative. Questo interesse per l'area non è certamente sfuggito ai Romani, sempre propensi a mantenere e perpetuare le consuetudini e le tradizioni delle popolazioni conquistate.
La fondazione e la frequentazione dei bagni da parte dei Romani sono quindi testimoniate da una serie di reperti, fra i quali spicca il mascherone in marmo di Carrara con volto di leone rinvenuto nel 1888 nel greto del rio Maggiore: risalente al I sec. d.C., viene generalmente interpretato come elemento per l'incanalamento di una fonte termale. Il mascherone, utilizzato anche come logo delle Terme di Porretta, è conservato nell'atrio dello stabilimento. Altri materiali, come una mano di bronzo ed una protome taurina sempre in bronzo, confermano antiche presenze, sebbene non se ne possa provare il diretto collegamento con il culto delle acque. Sotto lo stabilimento Leone-Bovi, infine, una scala in pietra serena reputata di origine romana costituisce un'ulteriore testimonianza dell’antichità d'uso delle acque curative.
Sporadiche tracce (monete romane, un bracciale in bronzo) provengono inoltre da lavori di sfruttamento di una cava, mentre altri reperti ancora, andati perduti, sono stati recuperati durante l'Ottocento nel vicino centro di Castel di Casio.