Verucchio

Rocca Malatestiana
Verucchio

Verucchio, veduta aerea del castello. Foto di Nazario Spadoni. Fototeca IBC, 1993
via Rocca, 42
Verucchio (RN)
tel 0541 670280 (coop. Atlantide), 0541 670222 (IAT)
Nella Romagna sud-orientale, tra Rimini e il Montefeltro, Verucchio domina da uno sperone di roccia la val Marecchia, che collega l’Adriatico alla Toscana aretina e alla valle del Tevere.

Dalla rupe, già sede di un importante centro di commerci di cultura villanoviana, in età romana l’insediamento si trasferì a valle in prossimità dei collegamenti fluviali e terrestri con l’Etruria, qui attestandosi a lungo anche dopo il passaggio della ‘romanìola’ al papa nell’VIII secolo.
Le esigenze di controllo militare della valle portarono in seguito ad occupare di nuovo la rupe con un sito fortificato, che si vorrebbe - senza prove certe - dato dall’imperatore ai conti montefeltrani di Carpegna alla fine del X secolo. Il castrum Veruculi è poi citato nella bolla papale del 1144 che confermava l’afferenza alla diocesi di Rimini della chiesa intra muros di San Pietro, anche se non è sicuro il controllo sull’intero castrum del vescovo riminese, titolare come quello ravennate di diversi castelli dell’area e da lui indipendente a differenza delle diocesi vicine.

La Verucchio dei Malatesta
A metà del XII secolo il castello era dei Malatesta, casato ghibellino di probabile origine cittadina e radicato nel Montefeltro e nel contado riminese, legato da vincoli consortili ai Carpegna, che ne fece il caposaldo della sua scalata al potere a Rimini.
Tra XII e XIII secolo Verucchio fu al centro della politica del comune riminese tesa a consolidare i suoi legami con il territorio fino alle propaggini montefeltrane - contro le pretese dei poteri ecclesiastici e laici e le ambizioni delle città vicine - giurando fedeltà alla città una prima volta nel 1197, poi di nuovo nel 1233 con molti altri castelli dell’area in funzione antiurbinate; tra quelle due date, nel 1216, i Malatesta avevano sottoscritto con il comune il patto di cittadinanza.
Nella seconda metà del Duecento il castrum verucchiese venne ricostruito e rafforzato con una torre quadrangolare da Malatesta da Verucchio, il dantesco ‘Mastin vecchio’, protagonista a Rimini delle lotte tra fazioni e passato a metà secolo alla parte guelfa, che nel 1295 sarebbe divenuto signore di fatto della città. In quello stesso secolo un secondo castrum, tenuto dai Passerello, era sorto nell’altura a sud-est della rupe, costituendo con il suo piccolo borgo un altro polo dell’insediamento verucchiese.

Un sito strategico per l'espansione del casato
Nel corso del Trecento l’aggressivo espansionismo dei Malatesta li pose in un rapporto ambivalente, e spesso in rotta di collisione, con il papa, che nel 1278 aveva ottenuto dall’imperatore il riconoscimento dei suoi diritti sulla Romagna.
Il loro tentativo di imporsi militarmente in Romagna e nelle Marche a spese della debole Chiesa avignonese si risolse a metà secolo con la loro sottomissione formale e la concessione del vicariato apostolico di Rimini e di alcune città marchigiane, a cui seguì più tardi il vicariato di Cesena, presa manu militari, e quello di Santarcangelo, che era stato inizialmente creato dal papa proprio per contenere le ambizioni malatestiane.
I Malatesta mantennero però sempre un rapporto privilegiato con Verucchio, la cui importanza strategica – a controllo della val Marecchia - crebbe con l’inasprirsi del conflitto con i Montefeltro, titolari di ampie parti dell’area, e legati anch’essi da vincoli parentali e di interesse ai Malatesta.
Verso la fine del secolo Carlo ampliò e fortificò la rocca del Sasso rafforzandone con alti torrioni il circuito murario, circondato in parte da un fossato, e creando la sala magna; egli intervenne anche sul Passerello, che nel frattempo era stato acquisito dal casato e destinato a residenza accogliendo nella sua area anche un convento dei Francescani.

La rocca di Sigismondo Pandolfo
Gli interventi più radicali vennero operati a Verucchio tra il 1442 e il 1449 da Sigismondo Pandolfo, rimasto solo signore dell’ambito riminese e fanese dopo la divisione dei possessi familiari con il fratello e impegnato in una guerra permanente con Federico da Montefeltro.
La rocca del Sasso venne completamente ristrutturata adeguandola alle moderne tecniche belliche con armi da fuoco, e integrata con un palazzo residenziale, mentre un nuovo giro di mura, ribassato per ospitare le bocche da fuoco, veniva potenziato con una struttura a scarpa. Ulteriori lavori vennero effettuati nel Passerello, rafforzando in particolare l’estremità sud della cinta muraria del suo borgo, anch’essa scarpata, con un’imponente torre poligonale che dominava i collegamenti con il Montefeltro.
Gli interventi a Verucchio si accompagnarono a quelli similari messi in atto da Sigismondo Pandolfo in altre postazioni strategiche del territorio quali Montescudo, Pennabilli, Santarcangelo, Sogliano, e a Rimini con la realizzazione di Castel Sismondo, mentre veniva migliorata la viabilità tra Adriatico, Toscana e Umbria.

La sconfitta dei Malatesta
Meno di tre lustri dopo però nuovi contrasti con il papa – generati questa volta dai legami stretti con Venezia, potenza emergente in Romagna dopo l’annessione di Ravenna – costringevano i Malatesta a restituire alla Chiesa gran parte dei domini riminesi, poi quelli cesenati.
Determinanti in questo drammatico ridimensionamento della potenza malatestiana furono le sconfitte subite da Sigismondo Pandolfo nel 1462 a opera di Federico da Montefeltro allora alleato al papa; il signore di Urbino conquistò tra l’altro dopo un lungo assedio l’imprendibile Verucchio con uno stratagemma, e utilizzando un sentiero scavato nel fianco della rupe per penetrare con le sue truppe nella rocca.
Tornata così alla Chiesa, a cavallo del nuovo secolo Verucchio venne presa da Cesare Borgia, entrando a far parte dell’effimero Ducato di Romagna con capitale Cesena creato da papa Alessandro per il figlio, presto sostituito da una breve occupazione veneziana favorita dalla cessione per denaro di Rimini da parte di Pandolfo IV, l’indebitato ultimo signore del casato malatestiano.

Nello Stato della Chiesa: la signoria dei Pio
Recuperati tutti i territori romagnoli dopo la sconfitta della Serenissima, sotto il nuovo papa Giulio II la Chiesa li annesse direttamente nella compagine statale, cancellando il sistema dei vicariati signorili, mentre singoli feudi vennero in seguito concessi a famiglie di provata fedeltà, nonostante i tentativi di rientrare nei suoi possedimenti riminesi effettuati negli anni Venti del Cinquecento da Pandolfo IV.
Verucchio entrò così con Scorticata (oggi Torriana), posta sull'altro lato del fiume, a far parte della piccola signoria con capitale Meldola che Lionello Pio, presidente della Provincia di Romagna e governatore di Bertinoro, poté formare negli anni Trenta unendo al feudo papale di Meldola e Sarsina ereditato dal fratello Alberto, ultimo signore di Carpi, i diritti su queste terre ricevuti tramite la moglie Ippolita Comneno, figlia di Costantino principe di Macedonia, che li aveva avuti dal defunto primo marito Zanobio de'Medici.
Importanti interventi sulla rocca furono realizzati in occasione del matrimonio Pio-Comneno per trasformare il palazzo in una sede principesca, come avvenne anche a Meldola, anche se l’edificio verucchiese fu poi raramente abitato. La signoria dei Pio ebbe però vita breve: alla morte nel 1580 del figlio di Lionello e Ippolita, Alberto, la Santa Sede recuperò con un cavillo legale Verucchio e Scorticata, affidandole a un commissario, mentre il feudo di Meldola e Sarsina fu venduto a fine secolo ai principi Aldobrandini dall’ultimo membro del casato.

Dal declino militare al recupero della rocca
La rocca del Sasso mantenne la sua principale destinazione abitativa anche nei secoli seguenti; gli ultimi interventi furono eseguiti a fine Seicento, con il restauro della struttura e il suo parziale ridimensionamento, mentre parte del mastio veniva adibito a carcere; a metà Settecento la sala magna venne trasformata nel teatro cittadino. Quanto restava della rocca del Passerello, ridotta a rudere dopo l’assalto di Federico da Montefeltro, fu inglobato nella prima metà del Seicento nel convento delle suore Clarisse, poi abbandonato a seguito delle soppressioni napoleoniche, mentre le mura dei due borghi furono lasciate al degrado.
Anche Verucchio sperimentò così quel cambio di funzioni – quando non l’abbandono e la rovina - che sotto il governo pontificio coinvolse tutte le strutture fortificate romagnole, le cui funzioni militari erano state ridimensionate dalla maggiore stabilità politica del teatro italiano, dallo spostamento su altri fronti dello scontro tra potenze e dallo sviluppo delle tecniche belliche.
I primi interventi di recupero della rocca del Sasso, avviati dalla soprintendenza competente con gli scavi del 1939 e interrotti dalla guerra – che distrusse anche il teatro - furono ripresi tra il 1959 e il 1960, mentre nel 1975 venne ricostruito, rendendolo agibile, l’antico sentiero nella roccia utilizzato da Federico da Montefeltro. A cavallo del nuovo millennio anche le mura dei due borghi sono state oggetto di interventi di recupero, mentre è stata riedificata con materiali originali la porta, unico elemento restante della rocca del Passerello inglobata nel convento.

VISITA
La rocca a pianta rettangolare domina da un lato il paese e dall’altro i rilievi della val Marecchia. L’articolato complesso è circondato da importanti parti ripristinate delle mura scarpate con torrioni poligonali, in parte percorribili lungo la ronda; oltre la porta di S. Agostino si trova l’omonimo convento trecentesco, sede del Museo Archeologico.
All’ingresso una prima corte si apre su ampio spalto militare, in origine difeso da due torri e da alte mura, integrate nel Quattrocento con strutture ribassate per ospitare le armi da fuoco. Gli edifici principali sono il maschio duecentesco realizzato dal Mastin Vecchio sulla struttura precedente, la sala ‘magna’ di fine Trecento dedicata alle riunioni – dove nel Settecento venne realizzato il teatro cittadino – e il palazzo ‘baronale’ quattro-cinquecentesco che ospitava gli ambienti residenziali. Nelle diverse sale sono presenti tracce di affreschi originali e ricostruzioni di ambienti, alcuni plastici che ripercorrono la storia del castello e del borgo, l’albero genealogico e alcuni stemmi dei Malatesta e il vasellame ritrovato negli scavi. L’antica torre di guardia ospita dal Settecento l’orologio civico.
Dal cortile interno – che dà accesso alle fondamenta del maschio - si può vedere all’esterno della rupe una ripida scalinata che dal fondo valle giunge fino a un ingresso secondario, e che ricalca il sentiero scavato nella roccia utilizzato da Federico da Montefeltro per penetrare all’interno del castello. Dalla cima della torre mastio e dagli spalti della rocca si ammira un ampio panorama, dal borgo alla val Marecchia fino alla costa tra la Romagna e le Marche.
Nella sezione orientale dell’abitato è visibile anche parte delle mura della rocca e del borgo del Passarello con la torre eretta a controllo della valle.








Valli e Strade storiche

Ambiti territoriali presidiati dal castello:

valle Marecchia,
via Marecchiese Aretina
Casati e istituzioni

Signori del castello tra medioevo e età moderna:

Malatesta,
Pio
Bibliografia
via Rocca, 42
Verucchio (RN)
tel 0541 670280 (coop. Atlantide), 0541 670222 (IAT)
Nella Romagna sud-orientale, tra Rimini e il Montefeltro, Verucchio domina da uno sperone di roccia la val Marecchia, che collega l’Adriatico alla Toscana aretina e alla valle del Tevere.

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Dalla rupe, già sede di un importante centro di commerci di cultura villanoviana, in età romana l’insediamento si trasferì a valle in prossimità dei collegamenti fluviali e terrestri con l’Etruria, qui attestandosi a lungo anche dopo il passaggio della ‘romanìola’ al papa nell’VIII secolo.
Le esigenze di controllo militare della valle portarono in seguito ad occupare di nuovo la rupe con un sito fortificato, che si vorrebbe - senza prove certe - dato dall’imperatore ai conti montefeltrani di Carpegna alla fine del X secolo. Il castrum Veruculi è poi citato nella bolla papale del 1144 che confermava l’afferenza alla diocesi di Rimini della chiesa intra muros di San Pietro, anche se non è sicuro il controllo sull’intero castrum del vescovo riminese, titolare come quello ravennate di diversi castelli dell’area e da lui indipendente a differenza delle diocesi vicine.

La Verucchio dei Malatesta
A metà del XII secolo il castello era dei Malatesta, casato ghibellino di probabile origine cittadina e radicato nel Montefeltro e nel contado riminese, legato da vincoli consortili ai Carpegna, che ne fece il caposaldo della sua scalata al potere a Rimini.
Tra XII e XIII secolo Verucchio fu al centro della politica del comune riminese tesa a consolidare i suoi legami con il territorio fino alle propaggini montefeltrane - contro le pretese dei poteri ecclesiastici e laici e le ambizioni delle città vicine - giurando fedeltà alla città una prima volta nel 1197, poi di nuovo nel 1233 con molti altri castelli dell’area in funzione antiurbinate; tra quelle due date, nel 1216, i Malatesta avevano sottoscritto con il comune il patto di cittadinanza.
Nella seconda metà del Duecento il castrum verucchiese venne ricostruito e rafforzato con una torre quadrangolare da Malatesta da Verucchio, il dantesco ‘Mastin vecchio’, protagonista a Rimini delle lotte tra fazioni e passato a metà secolo alla parte guelfa, che nel 1295 sarebbe divenuto signore di fatto della città. In quello stesso secolo un secondo castrum, tenuto dai Passerello, era sorto nell’altura a sud-est della rupe, costituendo con il suo piccolo borgo un altro polo dell’insediamento verucchiese.

Un sito strategico per l'espansione del casato
Nel corso del Trecento l’aggressivo espansionismo dei Malatesta li pose in un rapporto ambivalente, e spesso in rotta di collisione, con il papa, che nel 1278 aveva ottenuto dall’imperatore il riconoscimento dei suoi diritti sulla Romagna.
Il loro tentativo di imporsi militarmente in Romagna e nelle Marche a spese della debole Chiesa avignonese si risolse a metà secolo con la loro sottomissione formale e la concessione del vicariato apostolico di Rimini e di alcune città marchigiane, a cui seguì più tardi il vicariato di Cesena, presa manu militari, e quello di Santarcangelo, che era stato inizialmente creato dal papa proprio per contenere le ambizioni malatestiane.
I Malatesta mantennero però sempre un rapporto privilegiato con Verucchio, la cui importanza strategica – a controllo della val Marecchia - crebbe con l’inasprirsi del conflitto con i Montefeltro, titolari di ampie parti dell’area, e legati anch’essi da vincoli parentali e di interesse ai Malatesta.
Verso la fine del secolo Carlo ampliò e fortificò la rocca del Sasso rafforzandone con alti torrioni il circuito murario, circondato in parte da un fossato, e creando la sala magna; egli intervenne anche sul Passerello, che nel frattempo era stato acquisito dal casato e destinato a residenza accogliendo nella sua area anche un convento dei Francescani.

La rocca di Sigismondo Pandolfo
Gli interventi più radicali vennero operati a Verucchio tra il 1442 e il 1449 da Sigismondo Pandolfo, rimasto solo signore dell’ambito riminese e fanese dopo la divisione dei possessi familiari con il fratello e impegnato in una guerra permanente con Federico da Montefeltro.
La rocca del Sasso venne completamente ristrutturata adeguandola alle moderne tecniche belliche con armi da fuoco, e integrata con un palazzo residenziale, mentre un nuovo giro di mura, ribassato per ospitare le bocche da fuoco, veniva potenziato con una struttura a scarpa. Ulteriori lavori vennero effettuati nel Passerello, rafforzando in particolare l’estremità sud della cinta muraria del suo borgo, anch’essa scarpata, con un’imponente torre poligonale che dominava i collegamenti con il Montefeltro.
Gli interventi a Verucchio si accompagnarono a quelli similari messi in atto da Sigismondo Pandolfo in altre postazioni strategiche del territorio quali Montescudo, Pennabilli, Santarcangelo, Sogliano, e a Rimini con la realizzazione di Castel Sismondo, mentre veniva migliorata la viabilità tra Adriatico, Toscana e Umbria.

La sconfitta dei Malatesta
Meno di tre lustri dopo però nuovi contrasti con il papa – generati questa volta dai legami stretti con Venezia, potenza emergente in Romagna dopo l’annessione di Ravenna – costringevano i Malatesta a restituire alla Chiesa gran parte dei domini riminesi, poi quelli cesenati.
Determinanti in questo drammatico ridimensionamento della potenza malatestiana furono le sconfitte subite da Sigismondo Pandolfo nel 1462 a opera di Federico da Montefeltro allora alleato al papa; il signore di Urbino conquistò tra l’altro dopo un lungo assedio l’imprendibile Verucchio con uno stratagemma, e utilizzando un sentiero scavato nel fianco della rupe per penetrare con le sue truppe nella rocca.
Tornata così alla Chiesa, a cavallo del nuovo secolo Verucchio venne presa da Cesare Borgia, entrando a far parte dell’effimero Ducato di Romagna con capitale Cesena creato da papa Alessandro per il figlio, presto sostituito da una breve occupazione veneziana favorita dalla cessione per denaro di Rimini da parte di Pandolfo IV, l’indebitato ultimo signore del casato malatestiano.

Nello Stato della Chiesa: la signoria dei Pio
Recuperati tutti i territori romagnoli dopo la sconfitta della Serenissima, sotto il nuovo papa Giulio II la Chiesa li annesse direttamente nella compagine statale, cancellando il sistema dei vicariati signorili, mentre singoli feudi vennero in seguito concessi a famiglie di provata fedeltà, nonostante i tentativi di rientrare nei suoi possedimenti riminesi effettuati negli anni Venti del Cinquecento da Pandolfo IV.
Verucchio entrò così con Scorticata (oggi Torriana), posta sull'altro lato del fiume, a far parte della piccola signoria con capitale Meldola che Lionello Pio, presidente della Provincia di Romagna e governatore di Bertinoro, poté formare negli anni Trenta unendo al feudo papale di Meldola e Sarsina ereditato dal fratello Alberto, ultimo signore di Carpi, i diritti su queste terre ricevuti tramite la moglie Ippolita Comneno, figlia di Costantino principe di Macedonia, che li aveva avuti dal defunto primo marito Zanobio de'Medici.
Importanti interventi sulla rocca furono realizzati in occasione del matrimonio Pio-Comneno per trasformare il palazzo in una sede principesca, come avvenne anche a Meldola, anche se l’edificio verucchiese fu poi raramente abitato. La signoria dei Pio ebbe però vita breve: alla morte nel 1580 del figlio di Lionello e Ippolita, Alberto, la Santa Sede recuperò con un cavillo legale Verucchio e Scorticata, affidandole a un commissario, mentre il feudo di Meldola e Sarsina fu venduto a fine secolo ai principi Aldobrandini dall’ultimo membro del casato.

Dal declino militare al recupero della rocca
La rocca del Sasso mantenne la sua principale destinazione abitativa anche nei secoli seguenti; gli ultimi interventi furono eseguiti a fine Seicento, con il restauro della struttura e il suo parziale ridimensionamento, mentre parte del mastio veniva adibito a carcere; a metà Settecento la sala magna venne trasformata nel teatro cittadino. Quanto restava della rocca del Passerello, ridotta a rudere dopo l’assalto di Federico da Montefeltro, fu inglobato nella prima metà del Seicento nel convento delle suore Clarisse, poi abbandonato a seguito delle soppressioni napoleoniche, mentre le mura dei due borghi furono lasciate al degrado.
Anche Verucchio sperimentò così quel cambio di funzioni – quando non l’abbandono e la rovina - che sotto il governo pontificio coinvolse tutte le strutture fortificate romagnole, le cui funzioni militari erano state ridimensionate dalla maggiore stabilità politica del teatro italiano, dallo spostamento su altri fronti dello scontro tra potenze e dallo sviluppo delle tecniche belliche.
I primi interventi di recupero della rocca del Sasso, avviati dalla soprintendenza competente con gli scavi del 1939 e interrotti dalla guerra – che distrusse anche il teatro - furono ripresi tra il 1959 e il 1960, mentre nel 1975 venne ricostruito, rendendolo agibile, l’antico sentiero nella roccia utilizzato da Federico da Montefeltro. A cavallo del nuovo millennio anche le mura dei due borghi sono state oggetto di interventi di recupero, mentre è stata riedificata con materiali originali la porta, unico elemento restante della rocca del Passerello inglobata nel convento.

VISITA
La rocca a pianta rettangolare domina da un lato il paese e dall’altro i rilievi della val Marecchia. L’articolato complesso è circondato da importanti parti ripristinate delle mura scarpate con torrioni poligonali, in parte percorribili lungo la ronda; oltre la porta di S. Agostino si trova l’omonimo convento trecentesco, sede del Museo Archeologico.
All’ingresso una prima corte si apre su ampio spalto militare, in origine difeso da due torri e da alte mura, integrate nel Quattrocento con strutture ribassate per ospitare le armi da fuoco. Gli edifici principali sono il maschio duecentesco realizzato dal Mastin Vecchio sulla struttura precedente, la sala ‘magna’ di fine Trecento dedicata alle riunioni – dove nel Settecento venne realizzato il teatro cittadino – e il palazzo ‘baronale’ quattro-cinquecentesco che ospitava gli ambienti residenziali. Nelle diverse sale sono presenti tracce di affreschi originali e ricostruzioni di ambienti, alcuni plastici che ripercorrono la storia del castello e del borgo, l’albero genealogico e alcuni stemmi dei Malatesta e il vasellame ritrovato negli scavi. L’antica torre di guardia ospita dal Settecento l’orologio civico.
Dal cortile interno – che dà accesso alle fondamenta del maschio - si può vedere all’esterno della rupe una ripida scalinata che dal fondo valle giunge fino a un ingresso secondario, e che ricalca il sentiero scavato nella roccia utilizzato da Federico da Montefeltro per penetrare all’interno del castello. Dalla cima della torre mastio e dagli spalti della rocca si ammira un ampio panorama, dal borgo alla val Marecchia fino alla costa tra la Romagna e le Marche.
Nella sezione orientale dell’abitato è visibile anche parte delle mura della rocca e del borgo del Passarello con la torre eretta a controllo della valle.








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