Sala Baganza

Rocca Sanvitale
Sala Baganza

Rocca Sanvitale di Sala Baganza, su gentile concessione dell'Associazione Castell del Ducato di Parma e Piacenza
piazza Gramsci, 1
Sala Baganza (PR)
tel 0521 331342 (IAT)
Nelle prime colline dell’appennino parmense, Sala occupa un’altura sulla riva sinistra del Baganza che poco più a nord, alle porte del capoluogo, confluisce nel Parma.

Dai Canossa ai Franceschi
Alla fine del X secolo Sala era proprietà del vescovo di Parma Sigifredo, discendente dall’omonimo capostipite dei Canossa che aveva radicato nel parmense i suoi primo possedimenti emiliani; donato con Maiatico e Talignano al capitolo della cattedrale parmense, venne in seguito infeudato alla famiglia Franceschi.
Posto sul terminale dell’antica pedemontana Claudia che congiungeva il modenese al parmense, e nei pressi di una variante della Francigena che aveva a Talignano un ospitale per i pellegrini, l’insediamento nella prima metà del secolo XII risultava già munito di una torre fortificata, detta di San Lorenzo, parte del sistema difensivo della città.

Il feudo dei Sanvitale
Negli anni Cinquanta del Duecento Tedisio Sanvitale - membro di una famiglia parmense di parte guelfa che aveva allora accresciuto la propria influenza grazie alla parentela con papa Fieschi, Innocenzo IV - acquisì il feudo di Sala e Maiatico dai Franceschi, in parte grazie al matrimonio con una Cornazzano loro erede, e comprando poi i restanti diritti, torre compresa.
Debitamente rafforzata, la rocca svolse un ruolo di primo piano nelle lotte fazionarie della città, e in particolare nel lungo conflitto che oppose i Sanvitale ai Rossi, loro rivali all’interno del fronte guelfo. Conquistati e devastati dai Rossi nel 1322, il castello e il suo territorio furono recuperati dai Sanvitale nel 1355 grazie all’alleanza con i Visconti, duchi di Milano, che da una decina d’anni avevano affermato la propria egemonia su Parma.
Nella seconda metà del secolo i possessi del casato andarono così estendendosi dalla media val Baganza con Sala, Maiatico e San Vitale alla val di Taro, area di influenza dei Rossi, dove i Sanvitale controllavano diversi castelli tra l’appennino e la pianura. I loro possessi vennero consolidati dalla concessione da parte dei signori di Milano della contea di Belforte poi, all'inizio del Quattrocento, anche di quelle di Fontanellato, Noceto e Oriano.

I Sanvitale conti di Sala
Nel 1477 Giberto III Sanvitale ottenne da Gian Galeazzo Sforza il titolo di conte di Sala, dando origine a un ramo distinto del casato. Al titolo si accompagnò l’autorizzazione ad ampliare e rafforzare la rocca, che egli dotò di un ampio fossato perimetrale e una possente muraglia, valorizzandone al contempo la funzione residenziale e signorile. Nell’estate del 1482, in assenza di Giberto, il castello così fortificato venne valorosamente difeso dalla moglie Donella Rossi, che si oppose all’attacco lanciato dalle truppe del padre, il grande condottiero Pier Maria allora in guerra con il nuovo duca di Milano Ludovico il Moro e i suoi alleati parmensi.
La trasformazione dell’edificio in dimora signorile continuò nella seconda metà del Cinquecento, quando l’avvento del ducato farnesiano aveva imposto la pace interna, svuotando i castelli del parmense di molte delle loro funzioni militari. Risalgono a questa epoca gli importanti lavori di decorazione degli ambienti al piano nobile affidati a celebri artisti dell’epoca da Giberto IV, che aveva inglobato nei suoi possedimenti il feudo di Colorno grazie al matrimonio con Barbara Sanseverino.
Nel 1610-11 il tentativo di Ranuccio I Farnese di impossessarsi di Colorno, e le sue spinte assolutistiche miranti a ridurre i poteri dei signori locali, innescarono contro di lui la congiura ‘dei nobili’ guidata dai Sanvitale e dai Sanseverino. Con gli altri congiurati, i Sanvitale furono condannati a morte o agli arresti, subendo anche la confisca di tutti i loro beni.

Dai Farnese ai Borbone
Avocata dalla camera ducale, la rocca di Sala divenne il centro di un ampio territorio dal Baganza all’Enza, compresi i boschi di Carrega, su cui il duca si riservò i diritti di caccia.
Luogo di villeggiatura del Collegio dei Nobili nella seconda metà del Seicento, nel 1723 il castello venne scelto come sua dimora dal futuro duca Antonio Farnese, che incaricò Sebastiano Galeotti di affrescare alcuni ambienti con scene mitologiche e allegoriche in stile rococò, allestendo inoltre un ampio giardino ai piedi della rocca.
Succeduti al trono parmense nel 1731, dal 1748 come dinastia autonoma, i Borbone confermarono Sala come residenza ducale estiva e centro della tenuta di caccia, promuovendo nuovi interventi decorativi degli interni della rocca. A loro si deve inoltre il ridisegno a potager del giardino farnesiano a opera dell'architetto ducale Ennemond Alexandre Petitot, autore anche del casino dei Boschi, villa in stile neoclassico edificata tra il 1775 e il 1789 per la duchessa Maria Amalia su un vecchio chalet di caccia al centro della tenuta.

L’Ottocento
All’inizio dell'Ottocento il regime filonapoleonico assegnò il castello ormai in cattive condizioni al ‘cittadino tenente’ Michele Varron, divenuto poi maire di Sala, che nell’intento di ridurre gli onerosi costi di gestione fece abbattere tre ali dell’edificio, mantenendo solo il lato nord.
Dopo la Restaurazione Maria Luigia privilegiò di nuovo Sala come propria residenza estiva: acquistato nel 1819 con i boschi circostanti il casino di Maria Amalia, la duchessa incaricò l’architetto Nicola Bettoli di ampliarlo con un’ala colonnata e il casinetto, sede del teatrino di corte, utilizzando i detriti della rocca e alcuni materiali provenienti dal giardino della reggia di Colorno. Un parco all'inglese realizzato tra il 1821 e il 1832 su progetto del giardiniere Carlo Barvitius circondò l’edificio, facendone il luogo fiabesco cantato da Emile Rostand.
Acquisiti dal demanio statale dopo l’Unità d’Italia, quando Sala assunse la denominazione di ‘Baganza’, negli anni Ottanta la rocca e il casino – quest'ultimo inizialmente ceduto al progettista del traforo del Frejus Severino Grattoni - passarono ai principi Carrega Bertolini di Lucedio.

Il Novecento
Nel 1920 la rocca fu acquistata da Remigio Magnani, proprietario di una azienda alimentare locale, passando poi alla famiglia Romani, mentre il casino, rimasto ai Carrega che vi avevano installato decine di dipendenti con le loro famiglie, si avviò dagli anni Sessanta a un rapido degrado, aggravato dal terremoto del 1983.
Nel 1988 la parte cinquecentesca della rocca è stata acquistata dal comune che nel 2003, dopo importanti lavori di restauro, ha aperto l’edificio al pubblico, destinandolo anche a sede del consiglio comunale, della biblioteca e del museo del Vino, mentre il resto dell’immobile è rimasto di proprietà privata. Gli interventi hanno interessato anche il giardino farnesiano, donato dalla famiglia Romani, inaugurato nel 2009 come giardino dei Melograni, che è stato restaurato sulla base di documenti d’archivio secondo l’impianto settecentesco dell’orto-giardino dall’architetto Pier Carlo Bontempi, autore anche del labirinto della Masone di Fontanellato.
L’acquisto nel 1994 di parte del complesso del casino del Bosco da parte del Consorzio del Parco regionale dei Boschi di Carrega ha consentito il recupero della ‘prolunga’ colonnata e del casinetto oggi sede del Consorzio, nonché di altri edifici minori immersi nel verde, mentre la parte restante, di proprietà privata, versa in condizioni precarie.

VISITA
Dell’originario edificio quattrocentesco rimane solo, prospiciente l’ampia piazza selciata, l’antica ala nord, un lungo parallelepipedo a tre piani delimitato alle estremità dai resti di due torrioni.
All'interno, sono visitabili gli ambienti al piano nobile decorati con affreschi cinquecenteschi di ispirazione mitologica, storica e religiosa: il percorso ha inizio dalla sala delle Capriate e si snoda attraverso la sala con le storie di Enea di Ercole Procaccini, quella con i ritratti dei Cesari, il camerino con paesaggi e grottesche di Cesare Baglione, la saletta con le fatiche d'Ercole attribuite a Bernardino Campi o Orazio Samacchini che funge da anticamera degli appartamenti privati, la cappella palatina con il Trionfo della Croce. La visita comprende anche l’oratorio neoclassico dell’Assunta, realizzato dall’architetto francese Feneuille alla fine del XVIII secolo. La restante parte settecentesca dell’edificio, di proprietà privata, è affrescata da Sebastiano Galeotti con scene mitologiche e allegoriche; all’interno della corte rustica a ovest, la sala dell’Apoteosi di Sebastiano Galeotti, recentemente restaurata, viene occasionalmente aperta al pubblico.
Gli ambienti cinquecenteschi ospitano una mostra permanente di scultura di Jucci Ugolotti, mentre nelle suggestive cantine e nell'ex ghiacciaia dell’edificio è allestito il museo del Vino, parte della rete regionale dei musei del Gusto.
Ai piedi della rocca, il giardino dei Melograni si stende per tre ettari. Circondato dalle mura farnesiane, l’orto-giardino è strutturato in sedici quadrati articolati attorno ad una vasca circolare; oltre duecentocinquanta piante sempreverdi e da frutto - lecci, meli da fiore e peri cotogna – disposte secondo un disegno geometrico creano effetti cromatici diversi con lo scorrere delle stagioni.
Immerso nei boschi di querce e castagni non lontani dalla rocca, il complesso del casino comprende la villa neoclassica a tre piani e gli ampliamenti ottocenteschi, con il lungo colonnato dorico e il casinetto dotato di orologio e torre campanaria, oltre a diversi edifici di servizio. L’edificio è circondato dal parco all'inglese caratterizzato dall'alternanza di ampie praterie e fitte boscaglie e solcato da due viali d'accesso delimitati da piante monumentali, fra cui un tasso e una sequoia. Sono visitabili il casinetto con il centro parco, la corte rustica o ghetto, la casa ‘di pietra’ con le ghiacciaie, il parco e il giardino monumentale; la villa è chiusa al pubblico.
Non distante dal casino si trova la villa del Ferlaro, fatta costruire da Maria Luigia per i due figli nati dal matrimonio con il ministro Neipperg.
A San Vitale Baganza sono visibili i possenti resti dell’acquedotto quattrocentesco, costruito forse dai Sanvitale e ristrutturato dai Farnese.


Valli e Strade storiche

Ambiti territoriali presidiati dal castello:

valle Baganza (Parma),
via Romea Francigena | Cisa,
via Pedemontana occidentale (Claudia o Pedrosa)
Casati e istituzioni

Signori del castello tra medioevo e età moderna:

Sanvitale,
Farnese,
Carrega di Lucedio
Arte e Architettura

Stili architettonici e decorativi nel castello:

Rinascimento e Manierismo,
Barocco e Rococò,
Primo Ottocento
Storie e Percorsi

Itinerari tematici e storici tra i castelli:

Parma 1611-1612: la congiura dei nobili
Bibliografia
piazza Gramsci, 1
Sala Baganza (PR)
tel 0521 331342 (IAT)
Nelle prime colline dell’appennino parmense, Sala occupa un’altura sulla riva sinistra del Baganza che poco più a nord, alle porte del capoluogo, confluisce nel Parma.

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Dai Canossa ai Franceschi
Alla fine del X secolo Sala era proprietà del vescovo di Parma Sigifredo, discendente dall’omonimo capostipite dei Canossa che aveva radicato nel parmense i suoi primo possedimenti emiliani; donato con Maiatico e Talignano al capitolo della cattedrale parmense, venne in seguito infeudato alla famiglia Franceschi.
Posto sul terminale dell’antica pedemontana Claudia che congiungeva il modenese al parmense, e nei pressi di una variante della Francigena che aveva a Talignano un ospitale per i pellegrini, l’insediamento nella prima metà del secolo XII risultava già munito di una torre fortificata, detta di San Lorenzo, parte del sistema difensivo della città.

Il feudo dei Sanvitale
Negli anni Cinquanta del Duecento Tedisio Sanvitale - membro di una famiglia parmense di parte guelfa che aveva allora accresciuto la propria influenza grazie alla parentela con papa Fieschi, Innocenzo IV - acquisì il feudo di Sala e Maiatico dai Franceschi, in parte grazie al matrimonio con una Cornazzano loro erede, e comprando poi i restanti diritti, torre compresa.
Debitamente rafforzata, la rocca svolse un ruolo di primo piano nelle lotte fazionarie della città, e in particolare nel lungo conflitto che oppose i Sanvitale ai Rossi, loro rivali all’interno del fronte guelfo. Conquistati e devastati dai Rossi nel 1322, il castello e il suo territorio furono recuperati dai Sanvitale nel 1355 grazie all’alleanza con i Visconti, duchi di Milano, che da una decina d’anni avevano affermato la propria egemonia su Parma.
Nella seconda metà del secolo i possessi del casato andarono così estendendosi dalla media val Baganza con Sala, Maiatico e San Vitale alla val di Taro, area di influenza dei Rossi, dove i Sanvitale controllavano diversi castelli tra l’appennino e la pianura. I loro possessi vennero consolidati dalla concessione da parte dei signori di Milano della contea di Belforte poi, all'inizio del Quattrocento, anche di quelle di Fontanellato, Noceto e Oriano.

I Sanvitale conti di Sala
Nel 1477 Giberto III Sanvitale ottenne da Gian Galeazzo Sforza il titolo di conte di Sala, dando origine a un ramo distinto del casato. Al titolo si accompagnò l’autorizzazione ad ampliare e rafforzare la rocca, che egli dotò di un ampio fossato perimetrale e una possente muraglia, valorizzandone al contempo la funzione residenziale e signorile. Nell’estate del 1482, in assenza di Giberto, il castello così fortificato venne valorosamente difeso dalla moglie Donella Rossi, che si oppose all’attacco lanciato dalle truppe del padre, il grande condottiero Pier Maria allora in guerra con il nuovo duca di Milano Ludovico il Moro e i suoi alleati parmensi.
La trasformazione dell’edificio in dimora signorile continuò nella seconda metà del Cinquecento, quando l’avvento del ducato farnesiano aveva imposto la pace interna, svuotando i castelli del parmense di molte delle loro funzioni militari. Risalgono a questa epoca gli importanti lavori di decorazione degli ambienti al piano nobile affidati a celebri artisti dell’epoca da Giberto IV, che aveva inglobato nei suoi possedimenti il feudo di Colorno grazie al matrimonio con Barbara Sanseverino.
Nel 1610-11 il tentativo di Ranuccio I Farnese di impossessarsi di Colorno, e le sue spinte assolutistiche miranti a ridurre i poteri dei signori locali, innescarono contro di lui la congiura ‘dei nobili’ guidata dai Sanvitale e dai Sanseverino. Con gli altri congiurati, i Sanvitale furono condannati a morte o agli arresti, subendo anche la confisca di tutti i loro beni.

Dai Farnese ai Borbone
Avocata dalla camera ducale, la rocca di Sala divenne il centro di un ampio territorio dal Baganza all’Enza, compresi i boschi di Carrega, su cui il duca si riservò i diritti di caccia.
Luogo di villeggiatura del Collegio dei Nobili nella seconda metà del Seicento, nel 1723 il castello venne scelto come sua dimora dal futuro duca Antonio Farnese, che incaricò Sebastiano Galeotti di affrescare alcuni ambienti con scene mitologiche e allegoriche in stile rococò, allestendo inoltre un ampio giardino ai piedi della rocca.
Succeduti al trono parmense nel 1731, dal 1748 come dinastia autonoma, i Borbone confermarono Sala come residenza ducale estiva e centro della tenuta di caccia, promuovendo nuovi interventi decorativi degli interni della rocca. A loro si deve inoltre il ridisegno a potager del giardino farnesiano a opera dell'architetto ducale Ennemond Alexandre Petitot, autore anche del casino dei Boschi, villa in stile neoclassico edificata tra il 1775 e il 1789 per la duchessa Maria Amalia su un vecchio chalet di caccia al centro della tenuta.

L’Ottocento
All’inizio dell'Ottocento il regime filonapoleonico assegnò il castello ormai in cattive condizioni al ‘cittadino tenente’ Michele Varron, divenuto poi maire di Sala, che nell’intento di ridurre gli onerosi costi di gestione fece abbattere tre ali dell’edificio, mantenendo solo il lato nord.
Dopo la Restaurazione Maria Luigia privilegiò di nuovo Sala come propria residenza estiva: acquistato nel 1819 con i boschi circostanti il casino di Maria Amalia, la duchessa incaricò l’architetto Nicola Bettoli di ampliarlo con un’ala colonnata e il casinetto, sede del teatrino di corte, utilizzando i detriti della rocca e alcuni materiali provenienti dal giardino della reggia di Colorno. Un parco all'inglese realizzato tra il 1821 e il 1832 su progetto del giardiniere Carlo Barvitius circondò l’edificio, facendone il luogo fiabesco cantato da Emile Rostand.
Acquisiti dal demanio statale dopo l’Unità d’Italia, quando Sala assunse la denominazione di ‘Baganza’, negli anni Ottanta la rocca e il casino – quest'ultimo inizialmente ceduto al progettista del traforo del Frejus Severino Grattoni - passarono ai principi Carrega Bertolini di Lucedio.

Il Novecento
Nel 1920 la rocca fu acquistata da Remigio Magnani, proprietario di una azienda alimentare locale, passando poi alla famiglia Romani, mentre il casino, rimasto ai Carrega che vi avevano installato decine di dipendenti con le loro famiglie, si avviò dagli anni Sessanta a un rapido degrado, aggravato dal terremoto del 1983.
Nel 1988 la parte cinquecentesca della rocca è stata acquistata dal comune che nel 2003, dopo importanti lavori di restauro, ha aperto l’edificio al pubblico, destinandolo anche a sede del consiglio comunale, della biblioteca e del museo del Vino, mentre il resto dell’immobile è rimasto di proprietà privata. Gli interventi hanno interessato anche il giardino farnesiano, donato dalla famiglia Romani, inaugurato nel 2009 come giardino dei Melograni, che è stato restaurato sulla base di documenti d’archivio secondo l’impianto settecentesco dell’orto-giardino dall’architetto Pier Carlo Bontempi, autore anche del labirinto della Masone di Fontanellato.
L’acquisto nel 1994 di parte del complesso del casino del Bosco da parte del Consorzio del Parco regionale dei Boschi di Carrega ha consentito il recupero della ‘prolunga’ colonnata e del casinetto oggi sede del Consorzio, nonché di altri edifici minori immersi nel verde, mentre la parte restante, di proprietà privata, versa in condizioni precarie.

VISITA
Dell’originario edificio quattrocentesco rimane solo, prospiciente l’ampia piazza selciata, l’antica ala nord, un lungo parallelepipedo a tre piani delimitato alle estremità dai resti di due torrioni.
All'interno, sono visitabili gli ambienti al piano nobile decorati con affreschi cinquecenteschi di ispirazione mitologica, storica e religiosa: il percorso ha inizio dalla sala delle Capriate e si snoda attraverso la sala con le storie di Enea di Ercole Procaccini, quella con i ritratti dei Cesari, il camerino con paesaggi e grottesche di Cesare Baglione, la saletta con le fatiche d'Ercole attribuite a Bernardino Campi o Orazio Samacchini che funge da anticamera degli appartamenti privati, la cappella palatina con il Trionfo della Croce. La visita comprende anche l’oratorio neoclassico dell’Assunta, realizzato dall’architetto francese Feneuille alla fine del XVIII secolo. La restante parte settecentesca dell’edificio, di proprietà privata, è affrescata da Sebastiano Galeotti con scene mitologiche e allegoriche; all’interno della corte rustica a ovest, la sala dell’Apoteosi di Sebastiano Galeotti, recentemente restaurata, viene occasionalmente aperta al pubblico.
Gli ambienti cinquecenteschi ospitano una mostra permanente di scultura di Jucci Ugolotti, mentre nelle suggestive cantine e nell'ex ghiacciaia dell’edificio è allestito il museo del Vino, parte della rete regionale dei musei del Gusto.
Ai piedi della rocca, il giardino dei Melograni si stende per tre ettari. Circondato dalle mura farnesiane, l’orto-giardino è strutturato in sedici quadrati articolati attorno ad una vasca circolare; oltre duecentocinquanta piante sempreverdi e da frutto - lecci, meli da fiore e peri cotogna – disposte secondo un disegno geometrico creano effetti cromatici diversi con lo scorrere delle stagioni.
Immerso nei boschi di querce e castagni non lontani dalla rocca, il complesso del casino comprende la villa neoclassica a tre piani e gli ampliamenti ottocenteschi, con il lungo colonnato dorico e il casinetto dotato di orologio e torre campanaria, oltre a diversi edifici di servizio. L’edificio è circondato dal parco all'inglese caratterizzato dall'alternanza di ampie praterie e fitte boscaglie e solcato da due viali d'accesso delimitati da piante monumentali, fra cui un tasso e una sequoia. Sono visitabili il casinetto con il centro parco, la corte rustica o ghetto, la casa ‘di pietra’ con le ghiacciaie, il parco e il giardino monumentale; la villa è chiusa al pubblico.
Non distante dal casino si trova la villa del Ferlaro, fatta costruire da Maria Luigia per i due figli nati dal matrimonio con il ministro Neipperg.
A San Vitale Baganza sono visibili i possenti resti dell’acquedotto quattrocentesco, costruito forse dai Sanvitale e ristrutturato dai Farnese.


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