Brisighella

Rocca Manfrediana o dei Veneziani
Brisighella

Rocca Manfrediana di Brisighella
viale Pascoli
Brisighella (RA)


Sui primi rilievi dell’appennino tosco-emiliano alle spalle di Faenza, a metà strada circa tra Ravenna e Firenze, Brisighella è situata lungo le sponde del Lamone, nella sezione orientale della Vena del Gesso romagnola.

La valle del Lamone ha rivestito fin dall’antichità notevole importanza per i collegamenti transappenninici tra Toscana ed Emilia. La romana via Faventina o Antonina che collegava l’Adriatico al Tirreno correndo lungo il fiume, allora inalveato fino a Ravenna, rappresentò per secoli un’alternativa - privilegiata per il trasporto del sale di Cervia e per alcuni percorsi romei - alla via Flaminia diretta a Roma da Rimini.

Tra guelfi e ghibellini: la torre di Maghinardo e il castrum dei Manfredi
L’importanza strategica della valle - già nota agli etruschi ed emersa in età bizantina, quando l’aspra conformazione della Vena aveva supportato la linea fortificata dispiegata contro l’avanzata longobarda - si confermò nel tardo medioevo durante le lotte tra fazioni per il controllo della Romagna.
Una torre fortificata venne eretta nel 1290 a ‘Brasichella’ - su uno dei tre speroni gessosi che dominavano la sponda sinistra del fiume - da Maghinardo Pagani, signore di una rete di castelli a controllo dei valichi appenninici tra Santerno, Senio e Lamone, che aveva imposto la sua egemonia su Imola, Faenza e Forlì grazie a un spregiudicato gioco di alleanze che lo aveva reso ghibellino in Romagna, in odio a Bologna, e guelfo a Firenze. Il presidio era di appoggio all'assedio posto al castello di Baccagnano sull'altro lato della valle, dove si erano rifugiati i guelfi Manfredi da lui cacciati da Faenza; quando il castello venne espugnato e raso al suolo, gli abitanti si rifugiarono sull’altra sponda del fiume, alla base dello sperone protetto dalla torre, dando così vita al primo nucleo del borgo di Brisighella.
Di fianco alla torre di Maghinardo, morto nel 1302, i Manfredi avevano impiantato su un’altra guglia un ‘castrum Brasichellae’, ristrutturandolo attorno al 1310 con Baccagnano e altri castelli della zona distrutti dai ghibellini di Faenza. Appoggiandosi a questa rete di fortificazioni, tre anni dopo Francesco Manfredi avrebbe affermato la signoria di fatto del suo casato sulla città, estendendo la propria influenza fino a Imola a ovest, a Lugo e Bagnacavallo a nord-est, e alla valle del Lamone a sud.

La signoria dei Manfredi
A metà Trecento la lunga ribellione dei signori di Faenza e Forlì contro il papa, pienamente titolare dei diritti sulla regione dopo il riconoscimento imperiale del 1278, terminò con la conquista delle due città e delle loro rocche sul territorio.
Solo nei tardi anni Settanta un altro Manfredi, Astorgio I, poté recuperare i castelli perduti – compresa Brisighella con la ‘villa’ di Baccagnano – e riconquistare Faenza, ottenendo poi con il vicariato anche la legittimazione papale. La restaurata signoria promosse importanti interventi di rafforzamento delle difese dei suoi possedimenti: in città con il cantiere delle nuove mura, e nel territorio con l’ampliamento e l’ammodernamento delle rocche, compresa, verso la fine del secolo, quella di Brisighella.
Ottenuto dal papa nel 1413 il titolo ereditario e perpetuo di conti della val di Lamone, i Manfredi riconobbero alla valle un significativo grado di autonomia con gli statuti di Faventia e Terrae Brisichellae et comitatus Vallis Hamonis. A partire da metà secolo un ambizioso piano di interventi urbanistici e architettonici promosso da Astorgio II trasformò il volto delle terre manfrediane: a Faenza i principali edifici civili e religiosi furono ampliati e magnificamente ornati, mentre veniva completata la cerchia di mura avviata quasi un secolo prima; a Brisighella, attorno al 1457, la rocca fu completamente ricostruita per adeguarla alle nuove tecniche di artiglieria, e la cinta muraria demolita e rifatta, con l’apertura di nuove porte e l’erezione di un torrione nei pressi di porta Fiorentina.

Brisighella veneziana
A metà Quattrocento risale anche la crescente ingerenza in area faentina della potenza emergente in Romagna, Venezia, che dall’inizio del secolo era riuscita - superando la barriera estense - a proiettarsi oltre il delta del Po, dove era economicamente attiva da tempo, annettendo Ravenna, ottenendo il controllo delle preziose saline di Cervia e imponendo la propria egemonia di fatto sulle signorie locali.
All’inizio del secolo successivo le ambizioni veneziane vennero rilanciate dalla caduta di Cesare Borgia, figlio di papa Alessandro, che aveva imposto il suo dominio su gran parte della Romagna, compresa Faenza, deponendo l’ultimo Manfredi nel 1501. Gran parte della Romagna settentrionale venne ben presto occupata dalla Serenissima, compresa Brisighella, che però poté trattare la resa senza che la sua rocca venisse espugnata grazie al capitano di ventura Dionigi di Naldo, originario del borgo, che aveva risalito la valle del Lamone alla testa del suo piccolo esercito di ‘brisighelli’.
Venezia tenne Brisighella solo fino al 1509, quando la sconfitta subita a Agnadello la costrinse a restituire alla Chiesa i territori romagnoli occupati. In questo breve intervallo di tempo però - a conferma della inalterata importanza militare della rocca brisighellese - i Veneziani ridefinirono radicalmente la struttura della fortezza, fino ad allora dotata solo della torre minore manfrediana, il cosiddetto ‘torricino’, inserendovi un imponente mastio a pianta circolare, il ‘torrione’, raccordato alla cinta di mura che venne anch’essa rifatta su due lati; così rafforzato, l’edificio poté reggere a lungo l’attacco delle truppe pontificie.

Nello Stato della Chiesa: il declino della rocca
Dopo l'instaurazione sui territori romagnoli del dominio diretto della Chiesa, a opera del nuovo papa Giulio II, la regione conobbe nuove turbolenze generate dallo scontro tra Francia e Impero; nel 1527 anche la rocca di Brisighella subì come tante altre il saccheggio a opera dei lanzichenecchi, subendo danni a difese e mura, che dovettero essere rafforzate.
Nel giro di pochi decenni, però, la maggiore stabilità politica, lo spostamento dei centri di scontro tra potenze e gli sviluppi delle tecniche belliche depotenziarono progressivamente il ruolo militare delle ormai obsolete rocche romagnole, spegnendo anche l’interesse strategico della valle del Lamone. A metà Cinquecento, di tutto l’apparato difensivo di Brisighella erano ancora efficienti solo la torre di Maghinardo, che era stata anch’essa restaurata, e la rocca, ai cui torrioni venne aggiunta a fine secolo una copertura; ulteriori lavori di consolidamento furono intrapresi dopo il terremoto del 1690.
All’inizio del Settecento l’edificio fu affittato a privati, e a metà secolo il terzo pinnacolo roccioso aggettante sul Lamone fu coronato da un edificio del tutto privo di finalità militari, il santuario di Monticino, sull’impianto di un antico romitorio. Nel corso dell'Ottocento molte delle strutture difensive del borgo, in particolare mura e porte, vennero distrutte, e a metà secolo la torre di Maghinardo fu ridimensionata e trasformata nell’attuale torre dell’Orologio; pochi anni dopo la Romagna sarebbe entrata a far parte del Regno d'Italia.

Dal restauro alla valorizzazione
Nel 1912 il comune di Brisighella commissionò a Alfonso Rubbiani un progetto, mai realizzato, di restauro della rocca. Solo all’inizio degli anni Duemila importanti interventi hanno consentito il ripristino e consolidamento delle strutture murarie e dei camminamenti della rocca nell’ambito di un progetto finalizzato alla valorizzazione dell’intero complesso, concluso nel 2008, che ha comportato la sistemazione e l'allestimento degli spazi esterni e interni alla rocca.
Nel 2016 è stato inaugurato nelle sale della rocca un museo dedicato al rapporto tra l'Uomo e il Gesso - l'elemento che ha dominato per secoli la vita del territorio – nei suoi aspetti geologici, storici, economici e insediativi; una sezione dedicata alla rocca ne illustra le vicende costruttive, il ruolo storico e il rapporto con le altre strutture difensive presenti sul territorio. Nella Torre dell’Orologio, riaperta al pubblico, è stata allestita una mostra permanente dedicata alle strutture e ai borghi fortificati dell’Adriatico.

VISITA
Dalla piazza del borgo una ripida salita conduce alla rocca costeggiando le imponenti mura; all’ingresso, uno spazio verde a picco sul paese si affaccia sulla torre dell’Orologio, posta sul pinnacolo roccioso di fronte. Dalle torri ‘manfrediana’ e ‘veneziana’ (quest’ultima suddivisa in sei vani sovrapposti) si apre uno splendido panorama sulla vallata. Dal ‘torricino’ si accede al camminamento di ronda lungo il perimetro delle mura; da qui si può raggiungere il torrione veneziano. La visita prosegue negli ambienti interni, parte dei quali sono oggi dedicati al museo. Anche la sommità della torre dell’Orologio offre una splendida vista sui gessi e i calanchi; alla sua base sono ancora visibili le tracce delle prime abitazioni costruite sotto la torre di Maghinardo.
Nel borgo sono presenti brani delle antiche strutture difensive, imbricate alla struttura gessosa, come la via sopraelevata e coperta del XII secolo detta del Borgo o degli Asini, che costituiva un avamposto del castrum. Ancora leggibili sono alcuni tratti della cinta muraria del Quattrocento: la via Fossa ricalca il fossato che circondava le mura; rimangono tracce delle tre porte cittadine e di alcuni bastioni, il cosiddetto Torretto e altri due divenuti le absidi delle chiese del Rosario e di Santa Croce. Sul retro del palazzo comunale la via Trebbio si innesta sul trivium dove la via del borgo incontrava quelle provenienti dalla torre di Maghinardo e dalla rocca.
Lungo la valle sono numerosi i resti di fortificazioni come la torre del Marino, quella di Cavina e la Cavina-Pratesi, la cosiddetta Torretta poi trasformata in casa colonica; del castello di Rontana rimangono solo alcuni ruderi.


Valli e Strade storiche

Ambiti territoriali presidiati dal castello:

valle Lamone,
via Romea Germanica
Casati e istituzioni

Signori del castello tra medioevo e età moderna:

Manfredi,
Repubblica di Venezia
Storie e Percorsi

Itinerari tematici e storici tra i castelli:

La Romagna veneziana
viale Pascoli
Brisighella (RA)

Sui primi rilievi dell’appennino tosco-emiliano alle spalle di Faenza, a metà strada circa tra Ravenna e Firenze, Brisighella è situata lungo le sponde del Lamone, nella sezione orientale della Vena del Gesso romagnola.

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La valle del Lamone ha rivestito fin dall’antichità notevole importanza per i collegamenti transappenninici tra Toscana ed Emilia. La romana via Faventina o Antonina che collegava l’Adriatico al Tirreno correndo lungo il fiume, allora inalveato fino a Ravenna, rappresentò per secoli un’alternativa - privilegiata per il trasporto del sale di Cervia e per alcuni percorsi romei - alla via Flaminia diretta a Roma da Rimini.

Tra guelfi e ghibellini: la torre di Maghinardo e il castrum dei Manfredi
L’importanza strategica della valle - già nota agli etruschi ed emersa in età bizantina, quando l’aspra conformazione della Vena aveva supportato la linea fortificata dispiegata contro l’avanzata longobarda - si confermò nel tardo medioevo durante le lotte tra fazioni per il controllo della Romagna.
Una torre fortificata venne eretta nel 1290 a ‘Brasichella’ - su uno dei tre speroni gessosi che dominavano la sponda sinistra del fiume - da Maghinardo Pagani, signore di una rete di castelli a controllo dei valichi appenninici tra Santerno, Senio e Lamone, che aveva imposto la sua egemonia su Imola, Faenza e Forlì grazie a un spregiudicato gioco di alleanze che lo aveva reso ghibellino in Romagna, in odio a Bologna, e guelfo a Firenze. Il presidio era di appoggio all'assedio posto al castello di Baccagnano sull'altro lato della valle, dove si erano rifugiati i guelfi Manfredi da lui cacciati da Faenza; quando il castello venne espugnato e raso al suolo, gli abitanti si rifugiarono sull’altra sponda del fiume, alla base dello sperone protetto dalla torre, dando così vita al primo nucleo del borgo di Brisighella.
Di fianco alla torre di Maghinardo, morto nel 1302, i Manfredi avevano impiantato su un’altra guglia un ‘castrum Brasichellae’, ristrutturandolo attorno al 1310 con Baccagnano e altri castelli della zona distrutti dai ghibellini di Faenza. Appoggiandosi a questa rete di fortificazioni, tre anni dopo Francesco Manfredi avrebbe affermato la signoria di fatto del suo casato sulla città, estendendo la propria influenza fino a Imola a ovest, a Lugo e Bagnacavallo a nord-est, e alla valle del Lamone a sud.

La signoria dei Manfredi
A metà Trecento la lunga ribellione dei signori di Faenza e Forlì contro il papa, pienamente titolare dei diritti sulla regione dopo il riconoscimento imperiale del 1278, terminò con la conquista delle due città e delle loro rocche sul territorio.
Solo nei tardi anni Settanta un altro Manfredi, Astorgio I, poté recuperare i castelli perduti – compresa Brisighella con la ‘villa’ di Baccagnano – e riconquistare Faenza, ottenendo poi con il vicariato anche la legittimazione papale. La restaurata signoria promosse importanti interventi di rafforzamento delle difese dei suoi possedimenti: in città con il cantiere delle nuove mura, e nel territorio con l’ampliamento e l’ammodernamento delle rocche, compresa, verso la fine del secolo, quella di Brisighella.
Ottenuto dal papa nel 1413 il titolo ereditario e perpetuo di conti della val di Lamone, i Manfredi riconobbero alla valle un significativo grado di autonomia con gli statuti di Faventia e Terrae Brisichellae et comitatus Vallis Hamonis. A partire da metà secolo un ambizioso piano di interventi urbanistici e architettonici promosso da Astorgio II trasformò il volto delle terre manfrediane: a Faenza i principali edifici civili e religiosi furono ampliati e magnificamente ornati, mentre veniva completata la cerchia di mura avviata quasi un secolo prima; a Brisighella, attorno al 1457, la rocca fu completamente ricostruita per adeguarla alle nuove tecniche di artiglieria, e la cinta muraria demolita e rifatta, con l’apertura di nuove porte e l’erezione di un torrione nei pressi di porta Fiorentina.

Brisighella veneziana
A metà Quattrocento risale anche la crescente ingerenza in area faentina della potenza emergente in Romagna, Venezia, che dall’inizio del secolo era riuscita - superando la barriera estense - a proiettarsi oltre il delta del Po, dove era economicamente attiva da tempo, annettendo Ravenna, ottenendo il controllo delle preziose saline di Cervia e imponendo la propria egemonia di fatto sulle signorie locali.
All’inizio del secolo successivo le ambizioni veneziane vennero rilanciate dalla caduta di Cesare Borgia, figlio di papa Alessandro, che aveva imposto il suo dominio su gran parte della Romagna, compresa Faenza, deponendo l’ultimo Manfredi nel 1501. Gran parte della Romagna settentrionale venne ben presto occupata dalla Serenissima, compresa Brisighella, che però poté trattare la resa senza che la sua rocca venisse espugnata grazie al capitano di ventura Dionigi di Naldo, originario del borgo, che aveva risalito la valle del Lamone alla testa del suo piccolo esercito di ‘brisighelli’.
Venezia tenne Brisighella solo fino al 1509, quando la sconfitta subita a Agnadello la costrinse a restituire alla Chiesa i territori romagnoli occupati. In questo breve intervallo di tempo però - a conferma della inalterata importanza militare della rocca brisighellese - i Veneziani ridefinirono radicalmente la struttura della fortezza, fino ad allora dotata solo della torre minore manfrediana, il cosiddetto ‘torricino’, inserendovi un imponente mastio a pianta circolare, il ‘torrione’, raccordato alla cinta di mura che venne anch’essa rifatta su due lati; così rafforzato, l’edificio poté reggere a lungo l’attacco delle truppe pontificie.

Nello Stato della Chiesa: il declino della rocca
Dopo l'instaurazione sui territori romagnoli del dominio diretto della Chiesa, a opera del nuovo papa Giulio II, la regione conobbe nuove turbolenze generate dallo scontro tra Francia e Impero; nel 1527 anche la rocca di Brisighella subì come tante altre il saccheggio a opera dei lanzichenecchi, subendo danni a difese e mura, che dovettero essere rafforzate.
Nel giro di pochi decenni, però, la maggiore stabilità politica, lo spostamento dei centri di scontro tra potenze e gli sviluppi delle tecniche belliche depotenziarono progressivamente il ruolo militare delle ormai obsolete rocche romagnole, spegnendo anche l’interesse strategico della valle del Lamone. A metà Cinquecento, di tutto l’apparato difensivo di Brisighella erano ancora efficienti solo la torre di Maghinardo, che era stata anch’essa restaurata, e la rocca, ai cui torrioni venne aggiunta a fine secolo una copertura; ulteriori lavori di consolidamento furono intrapresi dopo il terremoto del 1690.
All’inizio del Settecento l’edificio fu affittato a privati, e a metà secolo il terzo pinnacolo roccioso aggettante sul Lamone fu coronato da un edificio del tutto privo di finalità militari, il santuario di Monticino, sull’impianto di un antico romitorio. Nel corso dell'Ottocento molte delle strutture difensive del borgo, in particolare mura e porte, vennero distrutte, e a metà secolo la torre di Maghinardo fu ridimensionata e trasformata nell’attuale torre dell’Orologio; pochi anni dopo la Romagna sarebbe entrata a far parte del Regno d'Italia.

Dal restauro alla valorizzazione
Nel 1912 il comune di Brisighella commissionò a Alfonso Rubbiani un progetto, mai realizzato, di restauro della rocca. Solo all’inizio degli anni Duemila importanti interventi hanno consentito il ripristino e consolidamento delle strutture murarie e dei camminamenti della rocca nell’ambito di un progetto finalizzato alla valorizzazione dell’intero complesso, concluso nel 2008, che ha comportato la sistemazione e l'allestimento degli spazi esterni e interni alla rocca.
Nel 2016 è stato inaugurato nelle sale della rocca un museo dedicato al rapporto tra l'Uomo e il Gesso - l'elemento che ha dominato per secoli la vita del territorio – nei suoi aspetti geologici, storici, economici e insediativi; una sezione dedicata alla rocca ne illustra le vicende costruttive, il ruolo storico e il rapporto con le altre strutture difensive presenti sul territorio. Nella Torre dell’Orologio, riaperta al pubblico, è stata allestita una mostra permanente dedicata alle strutture e ai borghi fortificati dell’Adriatico.

VISITA
Dalla piazza del borgo una ripida salita conduce alla rocca costeggiando le imponenti mura; all’ingresso, uno spazio verde a picco sul paese si affaccia sulla torre dell’Orologio, posta sul pinnacolo roccioso di fronte. Dalle torri ‘manfrediana’ e ‘veneziana’ (quest’ultima suddivisa in sei vani sovrapposti) si apre uno splendido panorama sulla vallata. Dal ‘torricino’ si accede al camminamento di ronda lungo il perimetro delle mura; da qui si può raggiungere il torrione veneziano. La visita prosegue negli ambienti interni, parte dei quali sono oggi dedicati al museo. Anche la sommità della torre dell’Orologio offre una splendida vista sui gessi e i calanchi; alla sua base sono ancora visibili le tracce delle prime abitazioni costruite sotto la torre di Maghinardo.
Nel borgo sono presenti brani delle antiche strutture difensive, imbricate alla struttura gessosa, come la via sopraelevata e coperta del XII secolo detta del Borgo o degli Asini, che costituiva un avamposto del castrum. Ancora leggibili sono alcuni tratti della cinta muraria del Quattrocento: la via Fossa ricalca il fossato che circondava le mura; rimangono tracce delle tre porte cittadine e di alcuni bastioni, il cosiddetto Torretto e altri due divenuti le absidi delle chiese del Rosario e di Santa Croce. Sul retro del palazzo comunale la via Trebbio si innesta sul trivium dove la via del borgo incontrava quelle provenienti dalla torre di Maghinardo e dalla rocca.
Lungo la valle sono numerosi i resti di fortificazioni come la torre del Marino, quella di Cavina e la Cavina-Pratesi, la cosiddetta Torretta poi trasformata in casa colonica; del castello di Rontana rimangono solo alcuni ruderi.


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