Cento

Rocca di Cento
Cento

Rocca di Cento
piazzale della Rocca
Cento (FE)
tel 051 6843334 (IAT)
Nell’estremo lembo occidentale della pianura ferrarese incastonato tra i territori di Modena e Bologna, Cento si stende sulla riva sinistra del fiume Reno di fronte alla ‘gemella’ Pieve di Cento situata sul lato opposto del fiume, che qui segna il confine con il Bolognese.

Su questa vasta area caratterizzata da una forte instabilità idrografica, dove la bonifica romana era stata sopravanzata per ampi tratti da paludi, boschi e valli, i due insediamenti erano un tempo parte di un unico spazio indiviso dal Reno, che scorreva più a ovest. A partire dai secoli VIII-IX si erano infatti qui formati due nuclei abitati contigui - dapprima un piccolo centro plebano, posto su un dosso alluvionale nei pressi dell'attuale Collegiata di Pieve; e in seguito, attorno al Mille, un borgo più a valle attorno all’oratorio dedicato a San Biagio, oggi Collegiata di Cento - che col tempo furono fortificati e, pur fisicamente isolati dalle loro difese, ricompresi in un'unica comunità amministrativa ed ecclesiastica.

La bonifica dei vescovi di Bologna
Dalla fine del XII secolo è attestata la giurisdizione sul Centopievese dei vescovi di Bologna, che avviarono in questa area dove vantavano diritti secolari - come gli abati di Nonantola nell’area limitrofa - un ampio programma di riassetto idrografico, messa a coltura e ripopolamento delle terre ‘basse’ soggette a inondazione.
L’intervento fu fondato sulle concessioni in enfiteusi, all’origine dell’istituto della Partecipanza ancora oggi in vigore qui come in pochi altri centri della bassa emiliana: l’assegnazione cioè ai membri della comunità, in forma collettiva, di vasti terreni paludosi e boschivi sotto le clausole ad meliorandum - l’impegno a bonificarli e coltivarli - e ad incolandum - l’obbligo di risiedervi dietro versamento di un canone.
In seguito trasformate in affitto, le concessioni furono accompagnate dal riconoscimento della Comunità locale e da un piano territoriale che strutturò l’insediamento lungo tracciati geometrici e suddivise le terre in appezzamenti regolari, sovrapponendone le maglie a quelle della centuriazione romana.

Bologna e il controllo sul contado
La posizione strategica del Centopievese ne fece ben presto una punta avanzata delle politiche di controllo sul contado di Bologna, innescando già nel Duecento – quando la rinascita economica della città consolidò l’espansione a nord della sua area di influenza, fin quasi a Ferrara - frequenti dissidi tra il vescovo e il comune cittadino per la giurisdizione su questo territorio.
Nel corso del Trecento, dominato dalla grave crisi economica e sociale che colpì la città e il suo contado, gli interessi bolognesi trovarono però forti ostacoli sia sul piano esterno - dove si scontrarono con la spinta espansionistica degli Este a ovest, verso i territori modenesi e reggiani - che su quello interno.
Da metà secolo si fecero infatti più evidenti nel Centopievese, con una serie di rivolte popolari, le ambizioni di autonomia da Bologna e le contese tra i due insediamenti per il controllo del territorio. Nel 1376 l’antica unità amministrativa e politica tra Pieve e Cento si rompeva con l'istituzione di due comunità autonome, anche se Pieve mantenne ancora a lungo la primazia ecclesiastica su tutta l'area.

La rocca di Cento
In questo turbolento contesto, il Comune bolognese promosse un piano di rafforzamento delle strutture fortificate del contado, nel quadro del rilancio dell’economia e delle istituzioni cittadine favorito dall’accordo raggiunto con il papa nel 1377 dopo un lungo periodo di contrasti.
Risale all’anno successivo l'edificazione nell’area sud-ovest di Cento della rocca, esempio significativo di fortificazione realizzata ex novo sulla base di un programma politico di controllo del territorio: alla rocca centese - come a quella poco più tarda di Pieve - vennero attribuite infatti funzioni di difesa della comunità non solo dagli attacchi esterni ma anche da possibili rivolte interne.
Progettata dall'ingegnere bolognese Lorenzo da Bagnomarino la struttura, allora dotata di due sole torri e di un’abitazione riservata al castellano, era parte integrante di un più ampio sistema difensivo urbano. Di una irregolare forma ad anello, il sistema era composto da elementi in parte preesistenti alla rocca: le mura, un terrapieno e ampi fossati, alimentati fin dalla prima metà del secolo XII dalle acque del canale di Cento che muovevano probabilmente anche il mulino che sorgeva nei pressi della rocca.
Quattro porte – che secondo alcuni studi risalirebbero però all’epoca rinascimentale - dotate di ponte levatoio marcavano gli accessi al borgo di impianto regolare, organizzato lungo due assi viarii che confluivano nella piazza cittadina; nei pressi della porta nord poi detta Molina era la residenza fortificata del vescovo, completata poco prima della rocca.
Il sistema difensivo era integrato da altre strutture sorte nel territorio - come la torre del Forcello, oggi nota come torre Spada, in località Pilastrello lungo il vecchio corso del Reno - mentre una rete di canali navigabili collegava il borgo a Finale Emilia e a Galliera.

Il Quattrocento: la rocca fortezza e palazzo
Per tutto il Quattrocento Cento e Pieve rimasero legate a Bologna, e le loro rocche vennero coinvolte nelle dispute per il suo controllo sorte tra i Bentivoglio, signori di fatto della città, il papa e i signori di Milano, sostenuti dalle diverse fazioni cittadine loro alleate.
Mentre il fortilizio vescovile risultava scomparso già nel 1443, a metà secolo la rocca centese – che aveva subito gravi danni nel corso di diversi assedi - venne ricostruita per volere del cardinale Calandrini. Negli anni Ottanta la fortificazione fu adeguata alle nuove tecniche belliche, mentre veniva realizzato un nuovo corpo di fabbrica destinato a residenza e arricchito da cicli decorativi, ora scomparsi, commissionati dall’arcivescovo di Bologna Giuliano della Rovere, il futuro papa Giulio II.
La grande rotta del Reno del 1459 aveva intanto reso definitiva, marcandola anche fisicamente, la separazione tra i due borghi, che rimasero però uniti nella difesa dei loro diritti all’interno della Partecipanza. Acquisita dal vescovo nel 1460 la proprietà delle terre bonificate - che vennero suddivise tra le due comunità consolidando così la presenza di due diversi enti di gestione - Cento e Pieve ottennero nel 1484 dallo stesso cardinale della Rovere la convalida del nuovo assetto dell’istituto partecipativo. Il lodo Giulianeo riconosceva in particolare - contro i precedenti tentativi di privatizzare le terre operati dai vescovi – il principio della gestione collettiva del patrimonio comune, riaffermando inoltre il meccanismo, da allora rimasto inalterato, dell’assegnazione a rotazione degli appezzamenti a un ristretto numero di famiglie ‘originarie’ di coloni.

Dagli Este allo Stato della Chiesa
Nel 1502 Cento passò insieme a Pieve agli Este come dono di nozze di papa Alessandro VI Borgia alla figlia Lucrezia andata sposa ad Alfonso I duca di Ferrara, divenendo un vivace centro di cultura.
Neanche cento anni dopo, però, a seguito dell’estinzione nel 1597 della casa estense senza eredi riconosciuti dal papa, Ferrara e i suoi domini venivano ‘devoluti’ allo Stato della Chiesa.
Sotto il governo papale la relativa stabilizzazione politica e lo sviluppo delle tecniche belliche resero ben presto obsoleti fortilizi un tempo strategici, che vennero destinati a nuove funzioni. Secolo di fermenti urbanistici, culturali e artistici culminati nella pittura del Guercino, il Seicento centese vide la rocca - che era stata danneggiata da una esplosione di munizioni - diventare la sede del carcere.

Tra Otto e Novecento: restauri e valorizzazione
Proprio la funzione carceraria sottrasse però la rocca all'abbandono. A inizio Ottocento l'edificio venne sottoposto ad alcuni lavori di ristrutturazione che portarono tra l’altro alla realizzazione dell’attuale porta di accesso; e proprio la rocca, insieme alla porta Pieve volta a est, fu l’unica parte del sistema difensivo centese a essere conservata all’inizio del Novecento, quando l’anello dei rampari che per secoli aveva circondato il paese venne definitivamente abbattuto dalle spinte 'modernizzatrici' del tempo.
Chiuso il carcere solo nei tardi anni Sessanta, verso la fine del secolo la rocca è stata interamente restaurata e destinata a mostre e attività culturali.

VISITA
L'imponente struttura di mattoni e malta si presenta come un quadrilatero compatto sovrastato da un alto mastio e innestato tra robusti torrioni, uno dei quali ne costituisce l’accesso.
Su due lati sono ancora individuabili le feritoie e le bocche da fuoco, mentre sono completamente scomparsi i ponti levatoi e il fossato alimentato dal canale di Cento.
Diversi ambienti sono visitabili all'interno, tra i quali la cappella, la sala della trifora, le cannoniere e le prigioni.



Valli e Strade storiche

Ambiti territoriali presidiati dal castello:

valle Reno
Casati e istituzioni

Signori del castello tra medioevo e età moderna:

Comune di Bologna,
Este
piazzale della Rocca
Cento (FE)
tel 051 6843334 (IAT)
Nell’estremo lembo occidentale della pianura ferrarese incastonato tra i territori di Modena e Bologna, Cento si stende sulla riva sinistra del fiume Reno di fronte alla ‘gemella’ Pieve di Cento situata sul lato opposto del fiume, che qui segna il confine con il Bolognese.

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Su questa vasta area caratterizzata da una forte instabilità idrografica, dove la bonifica romana era stata sopravanzata per ampi tratti da paludi, boschi e valli, i due insediamenti erano un tempo parte di un unico spazio indiviso dal Reno, che scorreva più a ovest. A partire dai secoli VIII-IX si erano infatti qui formati due nuclei abitati contigui - dapprima un piccolo centro plebano, posto su un dosso alluvionale nei pressi dell'attuale Collegiata di Pieve; e in seguito, attorno al Mille, un borgo più a valle attorno all’oratorio dedicato a San Biagio, oggi Collegiata di Cento - che col tempo furono fortificati e, pur fisicamente isolati dalle loro difese, ricompresi in un'unica comunità amministrativa ed ecclesiastica.

La bonifica dei vescovi di Bologna
Dalla fine del XII secolo è attestata la giurisdizione sul Centopievese dei vescovi di Bologna, che avviarono in questa area dove vantavano diritti secolari - come gli abati di Nonantola nell’area limitrofa - un ampio programma di riassetto idrografico, messa a coltura e ripopolamento delle terre ‘basse’ soggette a inondazione.
L’intervento fu fondato sulle concessioni in enfiteusi, all’origine dell’istituto della Partecipanza ancora oggi in vigore qui come in pochi altri centri della bassa emiliana: l’assegnazione cioè ai membri della comunità, in forma collettiva, di vasti terreni paludosi e boschivi sotto le clausole ad meliorandum - l’impegno a bonificarli e coltivarli - e ad incolandum - l’obbligo di risiedervi dietro versamento di un canone.
In seguito trasformate in affitto, le concessioni furono accompagnate dal riconoscimento della Comunità locale e da un piano territoriale che strutturò l’insediamento lungo tracciati geometrici e suddivise le terre in appezzamenti regolari, sovrapponendone le maglie a quelle della centuriazione romana.

Bologna e il controllo sul contado
La posizione strategica del Centopievese ne fece ben presto una punta avanzata delle politiche di controllo sul contado di Bologna, innescando già nel Duecento – quando la rinascita economica della città consolidò l’espansione a nord della sua area di influenza, fin quasi a Ferrara - frequenti dissidi tra il vescovo e il comune cittadino per la giurisdizione su questo territorio.
Nel corso del Trecento, dominato dalla grave crisi economica e sociale che colpì la città e il suo contado, gli interessi bolognesi trovarono però forti ostacoli sia sul piano esterno - dove si scontrarono con la spinta espansionistica degli Este a ovest, verso i territori modenesi e reggiani - che su quello interno.
Da metà secolo si fecero infatti più evidenti nel Centopievese, con una serie di rivolte popolari, le ambizioni di autonomia da Bologna e le contese tra i due insediamenti per il controllo del territorio. Nel 1376 l’antica unità amministrativa e politica tra Pieve e Cento si rompeva con l'istituzione di due comunità autonome, anche se Pieve mantenne ancora a lungo la primazia ecclesiastica su tutta l'area.

La rocca di Cento
In questo turbolento contesto, il Comune bolognese promosse un piano di rafforzamento delle strutture fortificate del contado, nel quadro del rilancio dell’economia e delle istituzioni cittadine favorito dall’accordo raggiunto con il papa nel 1377 dopo un lungo periodo di contrasti.
Risale all’anno successivo l'edificazione nell’area sud-ovest di Cento della rocca, esempio significativo di fortificazione realizzata ex novo sulla base di un programma politico di controllo del territorio: alla rocca centese - come a quella poco più tarda di Pieve - vennero attribuite infatti funzioni di difesa della comunità non solo dagli attacchi esterni ma anche da possibili rivolte interne.
Progettata dall'ingegnere bolognese Lorenzo da Bagnomarino la struttura, allora dotata di due sole torri e di un’abitazione riservata al castellano, era parte integrante di un più ampio sistema difensivo urbano. Di una irregolare forma ad anello, il sistema era composto da elementi in parte preesistenti alla rocca: le mura, un terrapieno e ampi fossati, alimentati fin dalla prima metà del secolo XII dalle acque del canale di Cento che muovevano probabilmente anche il mulino che sorgeva nei pressi della rocca.
Quattro porte – che secondo alcuni studi risalirebbero però all’epoca rinascimentale - dotate di ponte levatoio marcavano gli accessi al borgo di impianto regolare, organizzato lungo due assi viarii che confluivano nella piazza cittadina; nei pressi della porta nord poi detta Molina era la residenza fortificata del vescovo, completata poco prima della rocca.
Il sistema difensivo era integrato da altre strutture sorte nel territorio - come la torre del Forcello, oggi nota come torre Spada, in località Pilastrello lungo il vecchio corso del Reno - mentre una rete di canali navigabili collegava il borgo a Finale Emilia e a Galliera.

Il Quattrocento: la rocca fortezza e palazzo
Per tutto il Quattrocento Cento e Pieve rimasero legate a Bologna, e le loro rocche vennero coinvolte nelle dispute per il suo controllo sorte tra i Bentivoglio, signori di fatto della città, il papa e i signori di Milano, sostenuti dalle diverse fazioni cittadine loro alleate.
Mentre il fortilizio vescovile risultava scomparso già nel 1443, a metà secolo la rocca centese – che aveva subito gravi danni nel corso di diversi assedi - venne ricostruita per volere del cardinale Calandrini. Negli anni Ottanta la fortificazione fu adeguata alle nuove tecniche belliche, mentre veniva realizzato un nuovo corpo di fabbrica destinato a residenza e arricchito da cicli decorativi, ora scomparsi, commissionati dall’arcivescovo di Bologna Giuliano della Rovere, il futuro papa Giulio II.
La grande rotta del Reno del 1459 aveva intanto reso definitiva, marcandola anche fisicamente, la separazione tra i due borghi, che rimasero però uniti nella difesa dei loro diritti all’interno della Partecipanza. Acquisita dal vescovo nel 1460 la proprietà delle terre bonificate - che vennero suddivise tra le due comunità consolidando così la presenza di due diversi enti di gestione - Cento e Pieve ottennero nel 1484 dallo stesso cardinale della Rovere la convalida del nuovo assetto dell’istituto partecipativo. Il lodo Giulianeo riconosceva in particolare - contro i precedenti tentativi di privatizzare le terre operati dai vescovi – il principio della gestione collettiva del patrimonio comune, riaffermando inoltre il meccanismo, da allora rimasto inalterato, dell’assegnazione a rotazione degli appezzamenti a un ristretto numero di famiglie ‘originarie’ di coloni.

Dagli Este allo Stato della Chiesa
Nel 1502 Cento passò insieme a Pieve agli Este come dono di nozze di papa Alessandro VI Borgia alla figlia Lucrezia andata sposa ad Alfonso I duca di Ferrara, divenendo un vivace centro di cultura.
Neanche cento anni dopo, però, a seguito dell’estinzione nel 1597 della casa estense senza eredi riconosciuti dal papa, Ferrara e i suoi domini venivano ‘devoluti’ allo Stato della Chiesa.
Sotto il governo papale la relativa stabilizzazione politica e lo sviluppo delle tecniche belliche resero ben presto obsoleti fortilizi un tempo strategici, che vennero destinati a nuove funzioni. Secolo di fermenti urbanistici, culturali e artistici culminati nella pittura del Guercino, il Seicento centese vide la rocca - che era stata danneggiata da una esplosione di munizioni - diventare la sede del carcere.

Tra Otto e Novecento: restauri e valorizzazione
Proprio la funzione carceraria sottrasse però la rocca all'abbandono. A inizio Ottocento l'edificio venne sottoposto ad alcuni lavori di ristrutturazione che portarono tra l’altro alla realizzazione dell’attuale porta di accesso; e proprio la rocca, insieme alla porta Pieve volta a est, fu l’unica parte del sistema difensivo centese a essere conservata all’inizio del Novecento, quando l’anello dei rampari che per secoli aveva circondato il paese venne definitivamente abbattuto dalle spinte 'modernizzatrici' del tempo.
Chiuso il carcere solo nei tardi anni Sessanta, verso la fine del secolo la rocca è stata interamente restaurata e destinata a mostre e attività culturali.

VISITA
L'imponente struttura di mattoni e malta si presenta come un quadrilatero compatto sovrastato da un alto mastio e innestato tra robusti torrioni, uno dei quali ne costituisce l’accesso.
Su due lati sono ancora individuabili le feritoie e le bocche da fuoco, mentre sono completamente scomparsi i ponti levatoi e il fossato alimentato dal canale di Cento.
Diversi ambienti sono visitabili all'interno, tra i quali la cappella, la sala della trifora, le cannoniere e le prigioni.



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