Sasso Marconi

Palazzo Rossi
Sasso Marconi

Palazzo de' Rossi, Archivio IBC,
Palazzo de' Rossi, Archivio IBC,
Palazzo de' Rossi, Archivio IBC
via Palazzo Rossi, 3
loc. Vizzano di Pontecchio
Sasso Marconi (BO)
Sulle prime colline bolognesi che dalla porta cittadina di Saragozza si aprono tra Casalecchio e il Sasso, il complesso sorge a Pontecchio, sulla riva sinistra del fiume Reno.

Un’area strategica per Bologna
L’area rivestì per secoli un’importanza strategica per Bologna, al fine del controllo dei territori appenninici e grazie al ruolo di primo piano esercitato dal Reno nell’economia cittadina, come fonte di energia per le manifatture locali e via di commerci. Ruolo consolidato tra XII e XIII secolo, nella fase di maggior sviluppo della città, con la realizzazione a Casalecchio dell’imponente chiusa sul fiume e del sistema di canali che ne convogliava l’acqua in città e poi in pianura, verso il Po e l’Adriatico.

Un luogo di ‘piaceri e trastulli’...
La costruzione del palazzo e del borgo venne avviata negli ultimi decenni del Quattrocento da Bartolomeo Rossi, colto umanista, sostenitore della signoria bentivolesca e senatore dal 1466, appartenente a una facoltosa famiglia di banchieri ritenuta un ramo dei Rossi di Parma emigrato a Bologna a inizio secolo dopo le sanguinose rappresaglie di Ottobono Terzi.
Completato dai suoi figli agli inizi del nuovo secolo, il complesso venne realizzato al centro dei possedimenti della famiglia posti a ridosso del fiume – nei pressi della chiusa di sua proprietà detta di Vizzano o di Pontecchio - in un’area dove diversi casati cittadini avevano impiantato le loro ville suburbane sui terreni bonificati dagli ordini monastici nel tardo medioevo.
Questo passaggio sanciva l’ascesa sociale della famiglia, già emersa con l’acquisto della residenza cittadina di via Santo Stefano, ma anche il suo radicamento ‘neofeudale’ nella proprietà terriera, che venne confermato attorno al 1515 prima dal senato bolognese poi dal papa con l’istituzione della contea di Pontecchio assegnata ad Ottavio Rossi con la signoria su Mongardino, Tignano, Vizzano e altre località dell’area.
La residenza padronale, inizialmente caratterizzata da alcuni elementi difensivi, fu edificata su due livelli per usufruire delle migliori condizioni climatiche a seconda delle stagioni. Considerata una delle più sontuose dimore del contado bolognese – rarissimo luogo di ‘piaceri e trastulli’ secondo Leandro Alberti – ebbe ospiti illustri: il signore di Bologna Giovanni II Bentivoglio con la sua famiglia, poi, con il passaggio di Bologna alla Chiesa, papa Giulio II e il suo successore Leone X; ma anche artisti come Torquato Tasso, amico e protetto di uno dei Rossi. Pesantemente danneggiato dal passaggio dei Lanzichenecchi, nel 1527 l’edificio venne restaurato.

...e un centro produttivo
Il complesso venne progettato come un insieme residenziale-produttivo organico e ampiamente autonomo, luogo di svago e diletto del signore ma anche centro di gestione e commercializzazione della produzione agricola, artigianale e protoindustriale dell’ampia tenuta - settori nei quali vennero a concentrarsi gli interessi della famiglia, che da metà Cinquecento si era allontanata dall’attività politica cittadina, abbandonando a fine secolo anche l’attività bancaria.
All’interno di una corte chiusa, che un canale separava dal palazzo, sorse così un borgo dotato di abitazioni, botteghe, oltre a impianti artigianali e produttivi, in parte preesistenti alla costruzione e gestiti soprattutto con contratti di affitto.
Qui si concentrarono nel tempo alcuni dei settori di attività per i quali la manifattura bolognese era famosa: una segheria, una gualcheria, una conceria e almeno tre mulini, uno da grano, uno da carta - collegato nel Settecento a un negozio nel centro di Bologna di proprietà dei Rossi - e un mulino da polvere da sparo, che dopo un grave incendio venne spostato poco fuori dal centro abitato. Il complesso era integrato da diverse strutture produttive e di servizio: peschiere, frutteti, stalle, scuderie per decine di cavalli e una grande colombaia, probabilmente edificata al tempo delle bonifiche dei monaci.
L’energia necessaria alle attività era assicurata dalle acque del Reno derivate dalla vicina chiusa e deviate nel borgo attraverso un canale dedicato, che aveva richiesto ai Rossi forti investimenti di impianto e manutenzione, e che - seppur privato- serviva anche la chiusa di Casalecchio e il sistema idraulico del Reno-Navile, fondamentali per l’economia cittadina.

Il palazzo del Settecento
Ai primi del Settecento i beni dei Rossi vennero divisi tra gli eredi, assegnando a Nestore il palazzo senatorio a Bologna, dove sarebbe sorto il Teatro del Corso, l’orto di San Silverio fuori Santo Stefano e il complesso di Pontecchio. In assenza di eredi maschi - in base a un testamento che prevedeva in seconda istanza la successione dei Rossi di San Secondo - il patrimonio passò poi al nipote Angelo Turrini.
Nella seconda metà del Settecento – mentre venivano elaborati i primi progetti per la nuova strada Porrettana lungo la valle - il palazzo fu oggetto di un intervento organico finalizzato a valorizzarne le funzioni residenziali.
Eliminati gli ormai tenui connotati difensivi dell’edificio con la demolizione di una torre, gli appartamenti vennero ammodernati, mentre l’oratorio veniva ristrutturato secondo i canoni prescritti per gli edifici di culto del Bolognese. In uno spazio in precedenza ornato di rose, limoni e aranci nei pressi del canale fu realizzato un piccolo giardino rettangolare all’italiana, dotato di un originale impianto sotterraneo di canalizzazione per l'irrigazione a caduta.
I richiami troppo evidenti alle funzioni produttive del complesso vennero occultati trasferendo uno dei mulini nel borgo, mentre le fatiscenti scuderie dislocate lungo il canale furono sostituite da un nuovo edificio affacciato sul prato, con una facciata lunga oltre 70 metri.
L'avanzata di nuovi modelli produttivi e sociali imposero in seguito ulteriori modifiche delle strutture produttive e abitative del borgo. Ancora attiva a metà Ottocento nella corte chiusa del borgo, la cartiera venne trasferita negli ultimi decenni del secolo in una zona più a valle, dove nel primo dopoguerra si sarebbe formato l’abitato di Borgonuovo.

Ritorno al passato: il progetto di Rubbiani
Passato in eredità nel 1852 dai Turrini ai Marsili, e a fine Ottocento ai Bevilacqua Ariosti - che ne mantengono ancor oggi la proprietà - tra il 1907 e il 1909 il complesso venne restaurato sotto la direzione di Alfonso Rubbiani.
Reinventore negli ultimi decenni dell’Ottocento, sull'onda del movimento revivalistico internazionale, del volto medievale di Bologna attraverso gli interventi effettuati dalla sua ‘gilda’ sui maggiori monumenti cittadini, Rubbiani elaborò numerosi progetti anche per gli edifici storici del territorio, in pianura come in appennino, continuati dai suoi allievi fino ai tardi anni Trenta.
L’intervento sul palazzo Rossi, a cui volle ‘restituire’ il volto quattrocentesco, fu uno dei maggiori condotti da Rubbiani nella valle del Reno, comprendenti il palazzo dei Capitani della Montagna a Vergato, la chiesa di San Giuseppe a Pian di Venola e, in solo apparente contraddizione, la realizzazione della tratta Bologna-Bagni della Porretta della ferrovia transappenninica.

Dalla guerra alla rinascita del borgo
Durante la seconda guerra mondiale il complesso venne occupato dall’esercito tedesco e utilizzato come base logistica e ospedale militare, e come campo di smistamento per prigionieri civili.
Nel dopoguerra si provvide al recupero delle strutture, mentre in tempi più recenti sono stati promossi gli interventi di adeguamento di diversi edifici, specie negli spazi interni, alle attività ricettive che connotano oggi il palazzo e il borgo.
Ogni anno, ai primi di settembre, la corte e gli spazi circostanti il palazzo ospitano la 'fìra di sdaz' (i setacci per vagliare la farina) che rievoca con spettacoli e presentazioni di prodotti artigianali e gastronomici l’animato mercato annuale di metà Settecento, erede dell’importantissima fiera del bestiame che dal 1673 si svolgeva nello spiazzo erboso di fronte al complesso.
I dintorni del castello sono stati il set di alcune puntate della serie televisiva 'Coliandro'.

VISITA
Posto su un terrazzamento naturale sulla riva del fiume, lo scenografico complesso comprende, oltre all'edificio residenziale con il giardino, il borgo cinto da mura merlate, la scuderia, l’oratorio, il canale e la chiusa.
Rivolta alla collina, la facciata principale del palazzo si affaccia su un ampio prato delimitato dalle mura e dalle scuderie; introdotta da un ampio portone, la corte d’onore affrescata e loggiata conduce attraverso uno scalone ai piani superiori.
Il canale passante sotto l’accesso del palazzo separa quest’ultimo dal borgo: qui la vasta corte, lastricata con ciottoli di fiume e ornata da un pozzo, ospita con la torre colombaia alcune abitazioni e edifici ricettivi.
Il piccolo giardino all’italiana di forma rettangolare, situato nei pressi del canale è dotato di un impianto idraulico sotterraneo per l’irrigazione a caduta, unico nel suo genere. Sono ancora presenti i lunghi viali alberati che un tempo raggiungevano i campi della tenuta; al margine di un pianoro alberato a sud dell'edificio principale, è l’oratorio con decorazioni in cotto, forse preesistente al palazzo e modificato nella seconda metà del XVIII secolo; l’intervento di Rubbiani si tradusse qui nella creazione di una edicola a sesto acuto sulla parete destra della navata incorniciata in cotto.
Alle spalle dell’oratorio in direzione del fiume sono gli antichi orti del palazzo, racchiusi entro un tratto di mura con portale merlato. Oltre il prato lungo via Vizzano si trova l’antica presa del canale. Il caratteristico ponte in ferro e legno sospeso sul fiume conduce alla destra Reno lungo il tracciato (oggi denominato via degli Dei) che si ritiene collegasse in epoca romana Firenze con Bologna; realizzato negli anni Trenta del Novecento dalle officine bolognesi Riva-Calzoni venne distrutto dai tedeschi in ritirata durante la seconda guerra mondiale e restaurato nel dopoguerra. La strada attraverso le colline conduce a un celebre anfiteatro naturale di calanchi e al contrafforte pliocenico.


Valli e Strade storiche

Ambiti territoriali presidiati dal castello:

valle Reno,
via Romea Francigena | della Sambuca
Casati e istituzioni

Signori del castello tra medioevo e età moderna:

Bentivoglio,
Rossi
Arte e Architettura

Stili architettonici e decorativi nel castello:

Storicismo Eclettismo Liberty
Storie e Percorsi

Itinerari tematici e storici tra i castelli:

Il Castello-Villa rustica,
Fascismo Guerra Resistenza,
Le rocche al cinema
Bibliografia
via Palazzo Rossi, 3
loc. Vizzano di Pontecchio
Sasso Marconi (BO)
Sulle prime colline bolognesi che dalla porta cittadina di Saragozza si aprono tra Casalecchio e il Sasso, il complesso sorge a Pontecchio, sulla riva sinistra del fiume Reno.

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Un’area strategica per Bologna
L’area rivestì per secoli un’importanza strategica per Bologna, al fine del controllo dei territori appenninici e grazie al ruolo di primo piano esercitato dal Reno nell’economia cittadina, come fonte di energia per le manifatture locali e via di commerci. Ruolo consolidato tra XII e XIII secolo, nella fase di maggior sviluppo della città, con la realizzazione a Casalecchio dell’imponente chiusa sul fiume e del sistema di canali che ne convogliava l’acqua in città e poi in pianura, verso il Po e l’Adriatico.

Un luogo di ‘piaceri e trastulli’...
La costruzione del palazzo e del borgo venne avviata negli ultimi decenni del Quattrocento da Bartolomeo Rossi, colto umanista, sostenitore della signoria bentivolesca e senatore dal 1466, appartenente a una facoltosa famiglia di banchieri ritenuta un ramo dei Rossi di Parma emigrato a Bologna a inizio secolo dopo le sanguinose rappresaglie di Ottobono Terzi.
Completato dai suoi figli agli inizi del nuovo secolo, il complesso venne realizzato al centro dei possedimenti della famiglia posti a ridosso del fiume – nei pressi della chiusa di sua proprietà detta di Vizzano o di Pontecchio - in un’area dove diversi casati cittadini avevano impiantato le loro ville suburbane sui terreni bonificati dagli ordini monastici nel tardo medioevo.
Questo passaggio sanciva l’ascesa sociale della famiglia, già emersa con l’acquisto della residenza cittadina di via Santo Stefano, ma anche il suo radicamento ‘neofeudale’ nella proprietà terriera, che venne confermato attorno al 1515 prima dal senato bolognese poi dal papa con l’istituzione della contea di Pontecchio assegnata ad Ottavio Rossi con la signoria su Mongardino, Tignano, Vizzano e altre località dell’area.
La residenza padronale, inizialmente caratterizzata da alcuni elementi difensivi, fu edificata su due livelli per usufruire delle migliori condizioni climatiche a seconda delle stagioni. Considerata una delle più sontuose dimore del contado bolognese – rarissimo luogo di ‘piaceri e trastulli’ secondo Leandro Alberti – ebbe ospiti illustri: il signore di Bologna Giovanni II Bentivoglio con la sua famiglia, poi, con il passaggio di Bologna alla Chiesa, papa Giulio II e il suo successore Leone X; ma anche artisti come Torquato Tasso, amico e protetto di uno dei Rossi. Pesantemente danneggiato dal passaggio dei Lanzichenecchi, nel 1527 l’edificio venne restaurato.

...e un centro produttivo
Il complesso venne progettato come un insieme residenziale-produttivo organico e ampiamente autonomo, luogo di svago e diletto del signore ma anche centro di gestione e commercializzazione della produzione agricola, artigianale e protoindustriale dell’ampia tenuta - settori nei quali vennero a concentrarsi gli interessi della famiglia, che da metà Cinquecento si era allontanata dall’attività politica cittadina, abbandonando a fine secolo anche l’attività bancaria.
All’interno di una corte chiusa, che un canale separava dal palazzo, sorse così un borgo dotato di abitazioni, botteghe, oltre a impianti artigianali e produttivi, in parte preesistenti alla costruzione e gestiti soprattutto con contratti di affitto.
Qui si concentrarono nel tempo alcuni dei settori di attività per i quali la manifattura bolognese era famosa: una segheria, una gualcheria, una conceria e almeno tre mulini, uno da grano, uno da carta - collegato nel Settecento a un negozio nel centro di Bologna di proprietà dei Rossi - e un mulino da polvere da sparo, che dopo un grave incendio venne spostato poco fuori dal centro abitato. Il complesso era integrato da diverse strutture produttive e di servizio: peschiere, frutteti, stalle, scuderie per decine di cavalli e una grande colombaia, probabilmente edificata al tempo delle bonifiche dei monaci.
L’energia necessaria alle attività era assicurata dalle acque del Reno derivate dalla vicina chiusa e deviate nel borgo attraverso un canale dedicato, che aveva richiesto ai Rossi forti investimenti di impianto e manutenzione, e che - seppur privato- serviva anche la chiusa di Casalecchio e il sistema idraulico del Reno-Navile, fondamentali per l’economia cittadina.

Il palazzo del Settecento
Ai primi del Settecento i beni dei Rossi vennero divisi tra gli eredi, assegnando a Nestore il palazzo senatorio a Bologna, dove sarebbe sorto il Teatro del Corso, l’orto di San Silverio fuori Santo Stefano e il complesso di Pontecchio. In assenza di eredi maschi - in base a un testamento che prevedeva in seconda istanza la successione dei Rossi di San Secondo - il patrimonio passò poi al nipote Angelo Turrini.
Nella seconda metà del Settecento – mentre venivano elaborati i primi progetti per la nuova strada Porrettana lungo la valle - il palazzo fu oggetto di un intervento organico finalizzato a valorizzarne le funzioni residenziali.
Eliminati gli ormai tenui connotati difensivi dell’edificio con la demolizione di una torre, gli appartamenti vennero ammodernati, mentre l’oratorio veniva ristrutturato secondo i canoni prescritti per gli edifici di culto del Bolognese. In uno spazio in precedenza ornato di rose, limoni e aranci nei pressi del canale fu realizzato un piccolo giardino rettangolare all’italiana, dotato di un originale impianto sotterraneo di canalizzazione per l'irrigazione a caduta.
I richiami troppo evidenti alle funzioni produttive del complesso vennero occultati trasferendo uno dei mulini nel borgo, mentre le fatiscenti scuderie dislocate lungo il canale furono sostituite da un nuovo edificio affacciato sul prato, con una facciata lunga oltre 70 metri.
L'avanzata di nuovi modelli produttivi e sociali imposero in seguito ulteriori modifiche delle strutture produttive e abitative del borgo. Ancora attiva a metà Ottocento nella corte chiusa del borgo, la cartiera venne trasferita negli ultimi decenni del secolo in una zona più a valle, dove nel primo dopoguerra si sarebbe formato l’abitato di Borgonuovo.

Ritorno al passato: il progetto di Rubbiani
Passato in eredità nel 1852 dai Turrini ai Marsili, e a fine Ottocento ai Bevilacqua Ariosti - che ne mantengono ancor oggi la proprietà - tra il 1907 e il 1909 il complesso venne restaurato sotto la direzione di Alfonso Rubbiani.
Reinventore negli ultimi decenni dell’Ottocento, sull'onda del movimento revivalistico internazionale, del volto medievale di Bologna attraverso gli interventi effettuati dalla sua ‘gilda’ sui maggiori monumenti cittadini, Rubbiani elaborò numerosi progetti anche per gli edifici storici del territorio, in pianura come in appennino, continuati dai suoi allievi fino ai tardi anni Trenta.
L’intervento sul palazzo Rossi, a cui volle ‘restituire’ il volto quattrocentesco, fu uno dei maggiori condotti da Rubbiani nella valle del Reno, comprendenti il palazzo dei Capitani della Montagna a Vergato, la chiesa di San Giuseppe a Pian di Venola e, in solo apparente contraddizione, la realizzazione della tratta Bologna-Bagni della Porretta della ferrovia transappenninica.

Dalla guerra alla rinascita del borgo
Durante la seconda guerra mondiale il complesso venne occupato dall’esercito tedesco e utilizzato come base logistica e ospedale militare, e come campo di smistamento per prigionieri civili.
Nel dopoguerra si provvide al recupero delle strutture, mentre in tempi più recenti sono stati promossi gli interventi di adeguamento di diversi edifici, specie negli spazi interni, alle attività ricettive che connotano oggi il palazzo e il borgo.
Ogni anno, ai primi di settembre, la corte e gli spazi circostanti il palazzo ospitano la 'fìra di sdaz' (i setacci per vagliare la farina) che rievoca con spettacoli e presentazioni di prodotti artigianali e gastronomici l’animato mercato annuale di metà Settecento, erede dell’importantissima fiera del bestiame che dal 1673 si svolgeva nello spiazzo erboso di fronte al complesso.
I dintorni del castello sono stati il set di alcune puntate della serie televisiva 'Coliandro'.

VISITA
Posto su un terrazzamento naturale sulla riva del fiume, lo scenografico complesso comprende, oltre all'edificio residenziale con il giardino, il borgo cinto da mura merlate, la scuderia, l’oratorio, il canale e la chiusa.
Rivolta alla collina, la facciata principale del palazzo si affaccia su un ampio prato delimitato dalle mura e dalle scuderie; introdotta da un ampio portone, la corte d’onore affrescata e loggiata conduce attraverso uno scalone ai piani superiori.
Il canale passante sotto l’accesso del palazzo separa quest’ultimo dal borgo: qui la vasta corte, lastricata con ciottoli di fiume e ornata da un pozzo, ospita con la torre colombaia alcune abitazioni e edifici ricettivi.
Il piccolo giardino all’italiana di forma rettangolare, situato nei pressi del canale è dotato di un impianto idraulico sotterraneo per l’irrigazione a caduta, unico nel suo genere. Sono ancora presenti i lunghi viali alberati che un tempo raggiungevano i campi della tenuta; al margine di un pianoro alberato a sud dell'edificio principale, è l’oratorio con decorazioni in cotto, forse preesistente al palazzo e modificato nella seconda metà del XVIII secolo; l’intervento di Rubbiani si tradusse qui nella creazione di una edicola a sesto acuto sulla parete destra della navata incorniciata in cotto.
Alle spalle dell’oratorio in direzione del fiume sono gli antichi orti del palazzo, racchiusi entro un tratto di mura con portale merlato. Oltre il prato lungo via Vizzano si trova l’antica presa del canale. Il caratteristico ponte in ferro e legno sospeso sul fiume conduce alla destra Reno lungo il tracciato (oggi denominato via degli Dei) che si ritiene collegasse in epoca romana Firenze con Bologna; realizzato negli anni Trenta del Novecento dalle officine bolognesi Riva-Calzoni venne distrutto dai tedeschi in ritirata durante la seconda guerra mondiale e restaurato nel dopoguerra. La strada attraverso le colline conduce a un celebre anfiteatro naturale di calanchi e al contrafforte pliocenico.


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