Pinacoteca Stuard
Via Borgo Parmigianino, 2
Parma (PR)
Petitot Ennemond Alexandre
1727/ 1801
Boudard Jean Baptiste
1710/ 1768
modello

pastiglia/ applicazione su legno/ laccatura/ doratura
cm 67 (a)
larghezza base 35//profondità base 35
sec. XVIII (1767 - 1768)
Spentasi precocemente nel 1763 a Vienna Isabella di Borbone tra le braccia di uno sposo giovane e innamorato, l’arciduca Giuseppe d’Austria, il Du Tillot, primo ministro dell’infante Don Filippo, si preoccupava di rinsaldare i legami tra la famiglia ducale e gli Asburgo di Vienna. Ciò avveniva al colmo di una trattativa diplomatica che doveva portare a supplire con un secondo legame nuziale quello che il destino aveva interrotto. Don Ferdinando nel giro di alcuni anni avrebbe “impalmato” Maria Amalia, sorella del futuro imperatore d’Austria (1769). Nel concerto di questa fitta trama di relazioni la parte lasciata all’immagine e all’arte fu indubbiamente grande. E all’interno di questo disegno che, dietro la spinta dello stesso ministro, il Petitot e il ministro G.L. Du Tillot pensarono di collocare nel centro della città il monumento che di quella unione voleva essere testimonianza visibile e come il raccordo ideale tra il primo e il secondo matrimonio tra i Borbone e gli Asburgo. Per quanto di quel bel manufatto in marmo bianco, in parte realizzato con pietra delle cave appenniniche, non sia rimasto quasi più nulla (Barocelli, 1997, p. 5), rimane invece un’interessante documentazione iconografica sotto forma di disegni, incisioni e modellini o maquettes. che sono da ritenersi d’epoca.Questo, in legno trattato a gesso e pastiglia, benché privato per mala conservazione di due ornamenti sui lati del piedistallo, è da ritenersi forse il più antico e pregevole. Esso fu oggetto di acquisto da parte della Congregazione di San Filippo Neri, assieme all’Album in folio (Tip. Bodoni) che lo illustra e descrive, presso l’Antiquario Rossetti di Parma al prezzo di Lire 200.000 nel dicembre del 1967 (Archivio Congregazione, delibera n. 214 del 22 dicembre 1967). Il modellino convince per linea e profilo e per patine storiche, dandoci la certezza che proprio questo dovette sortire dall’atelier congiunto dei due maestri, Petitot e Boudard, che in quest’occasione dovettero unire gli sforzi in un unico sodalizio, seguendo il progetto architettonico del primo (erano gli anni del grande progetto per il Palais-Royal). L’idea del monumento dovette nascere anche a seguito della disponibilità di materiali lapidei determinatasi con la mancata erezione della colonna intitolata ai Borbone e destinata a una funzione encomiastica sullo Stradone Reale progettato dallo stesso architetto. Il perfezionarsi degli accordi diplomatici tra le famiglie Borbone e Asburgo favoriva la definizione del valore simbolico del nuovo monumento con il quale si intendeva innovare la tipologia tradizionale dell’”ara classica”. L’opera doveva risultare pertanto da una collaborazione tra l’atelier dello scultore J.B. Boudard e quello dell’architetto lionese. Abile nell’innovare le forme classiche nei fraseggio del suo stile di tradizione tardorococò ma intinto di romanità classica. Tutto evoca i ricordi dei giovanili studi - sui repertori dell‘archeologia romana, come fa arguire l’incisione petitotiana raffigurante l’Elévation en perspective d’une Colonne Funéraire destineé puor la Sépolture d’une Reine (la baccellatura a ovoli della cornice del rocco centrale, ad esempio, nonché i quattro pilastrini angolari). E’ interessante il passo dello Sgavetti, il noto cronista di quegli anni, che riferisce della finale sistemazione dell’Ara: “In Piazza ci conducono de’ materiali volendo ergere ciò che solevano anni or sono per la venuta di sua Maestà, onde formeranno di nuovo il Casotto acciò niuno veda ciò sarà posto sul gran Piedistallo: Travagliano con somma premura per tutto” (Sgavetti, 1769).
L’intenzione di posizionare in quel luogo il monumento esisteva già nel 1767, allorché pareva imminente la visita di Giuseppe d’Austria, visita che poi non si tenne che nel maggio di due anni dopo. Ciò non significa che tutto non fosse già predisposto ai fini dell’elevazione del monumento già da quell’anno. Pare anzi improbabile che il Petitot lasciasse interrotta un’opera di tal fattura, che doveva con ogni probabilità essere ancora presso l’atelier Boudard nel 1768; mentre le forniture e l’apposizione delle lettere in bronzo dovevano intervenire tra il 1768 e gli inizi dell’anno successivo. Basti ad accertarlo il fatto che quando, tra il 10 e il 13 maggio del 1769, Giuseppe, nelle vesti d’imperatore d’Austria, si trova a transitare per Parma, non ha l’opportunità né intende inaugurare il monumento, che verrà “scoperto” solo il 7 giugno di quell’anno. Il monumento è da considerarsi terminato, in ogni modo, entro il 1768, come riporta l’iscrizione con l’annale, collocato sul lato sud del dado basamentale. Perciò sono da ritenere decisivi i consigli di ordine estetico e simbolico che il Boudard doveva contribuire a rendere mentre era incora in vita. La scelta moderna del raffinatissimo festone in mirto e dei fiori di melograno, simbolo dell’unione dei cuori, poteva essere funzionale alla grande arte dello scultore parigino e di quanto aveva saputo trasmettere ai suoi allievi. Non è improprio tra l’altro ritenere che un ulteriore rallentamento dei lavori dovesse intervenire a seguito della scomparsa dello scultore, che nella corte passava come una sorta di ”arbitro” del gusto (20-22 ottobre 1768). I significati simbolici dell’Ara sono enunciati in forma esplicita nelle iscrizioni, delle quali due, quelle sul rocco della colonna, alludono alla visita di Giuseppe II d’Austria e agli auspici per il suo felice ritorno; quattro, quelle sul piedistallo cubico, riferite rispettivamente alla duplice relazione sponsale tra le due famiglie, Giuseppe con Isabella, Ferdinando con Maria Amalia; quindi alla devozione di Ferdinanclo e al legame di amicizia tra le due famiglie: infine alla funzione miliaria dell’Ara in relazione con l’assetto viario del ducato. (contiunua in OSS)