Museo Storico "Dante Foschi"
Via Piero Maroncelli, 3 (c/o Palazzo del Mutilato)
Forlì (FC)
produzione italiana
elmo

acciaio/ verniciatura,
cuoio
cm 21,5 (la) 16 (a)
Misure calotta:larghezza 16//profondità 20,3
sec. XX (1915 - 1916)
Pesante elmo in acciaio verniciato di verde: esso è composto da una calotta di forma ovale a cui sono inchiodati un alto e spesso frontale ricurvo, caratterizzato da un'incisura trapezoidale al centro del bordo inferiore, e una bassa fascia posteriore anch'essa ricurva. L'elmo risulta privo di imbottitura interna ed è completato da un sottile soggolo di cuoio di color marrone chiaro, inchiodato all'elmo grazie a due piastre laterali.

Esemplare di elmo Farina (o "Farina modello alto") privo di areazione, in uso presso l’esercito italiano durante il primo conflitto mondiale.
Al momento dello scoppio della Grande Guerra, l’Italia non disponeva di un elmo metallico da dare in dotazione alle proprie truppe: i diversi reparti di linea erano equipaggiati infatti dei soli copricapi d’ordinanza, esteticamente gradevoli e pratici, ma di nessuna utilità nella guerra di trincea, dove ogni giorno si registravano innumerevoli perdite per ferite alla testa da schegge, proiettili e pallottole di shrapnel. La necessità di un’efficace protezione del capo divenne quindi sempre più impellente e furono studiate varie possibilità, tra cui ad esempio la blindatura del semplice berretto di panno d’ordinanza mediante una piastra d’acciaio fissata alla parte frontale del copricapo. Una prima vera soluzione al problema venne nell’autunno del 1915 da una società italiana privata: ispirandosi agli elmi sperimentati in Francia nei mesi precedenti, la ditta milanese “ingegner Farina” propose infatti all’esercito un pesante prototipo di elmo (l’oggetto in esame), che venne prodotto in tre taglie di peso, variabile tra 2650 e 2850 grammi. Adottati ufficialmente nell’ottobre 1915, i primi esemplari di protezione Farina arrivarono al fronte assieme alle corazze in acciaio prodotte dalla medesima ditta: essendo distribuiti in quantità molto limitate, essi non fecero però mai parte integrante del corredo del singolo militare, rimanendo sempre in dotazione al reparto e venendo conferiti ai soldati di unità “scelte”(le famose “compagnie della morte”) solo per la durata della singola azione. L’elmo Farina divenne così uno degli elementi distintivi ad esempio dei volontari tagliafili, incaricati di aprire a colpi di tronchese i varchi negli sbarramenti dei reticolati austriaci. Esso era privo di imbottitura interna e veniva indossato sopra un grosso passamontagna che, insieme al soggolo, serviva a renderlo meno instabile sulla testa. Tuttavia l’elmo Farina era malvisto dalle truppe per il suo eccessivo peso e ingombro che finiva per limitare la mobilità del soldato esposto al fuoco nemico; la sua adozione come elmo di ordinanza dell’esercito italiano risultava poi anche poco conveniente per l’amministrazione militare dato l’elevato costo di produzione. Nonostante i tentativi dell’ingegner Farina, che nel 1916 ne realizzò una versione alleggerita e ridotta denominata “elmetto da trincea” o “Farina modello basso” (che differiva dal precedente modello solo per il peso minore, compreso tra 1680 e 1880 g, e per il frontale molto più corto e privo della fesa trapezoidale), le alte sfere militari italiane scelsero quindi di adottare come elmo d’ordinanza per tutte le truppe combattenti il casco francese “Adrian”, i cui primi lotti di prova cominciarono ad apparire sul fronte italiano a partire dal 1915, per poi essere prodotto in Italia e entrare in dotazione dal 1916. Pur essendo poco robusto, l’elmo Adrian venne impiegato in enormi quantità in ogni zona del fronte, restando in dotazione ad alcuni reparti fino alla seconda guerra mondiale. Gli elmi e elmetti Farina continuarono comunque a essere distribuiti alle truppe per tutto il 1916, seppur in quantità limitata: pur essendo d’impaccio nelle azioni condotte di sorpresa dai reparti d’assalto, essi rimanevano infatti di grande efficacia protettiva nella logorante guerra di posizione e di appostamento in trincea, dove fornivano al combattente una sicurezza indubbiamente maggiore di quella assicurata dai deboli elmi Adrian (gli elmi Farina garantivano infatti di resistere a pallottole da fucile sparate a una distanza non inferiore a 125 m). Un modello prodotto successivamente a quello oggetto della scheda fu munito inoltre di areazione, ricavata dalla giunzione tra la calotta, la fascia posteriore e il frontale, elemento che mancava del tutto nella versione originale.