Poco lontano, sempre in prossimità della medesima palazzina, si trova un breve filare formato da quattro grandi olmi campestri (il maggiore supera i 120 cm di diametro), purtroppo in condizioni piuttosto precarie, come testimoniano gli ampi disseccamenti delle chiome.
Altri esemplari da segnalare sono un paio di farnie in prossimità del villino svizzero e, sempre nella porzione occidentale dell’area, tre grandi frassini.
Dalla parte opposta, sul retro del padiglione Besta, cresce un acero campestre di dimensioni considerevoli per la specie, che raggiunge i 20 m di altezza (diametro 65 cm).
Reggio Emilia (RE)
Entrando dall’ingresso di via Amendola, ci si trova di fronte al padiglione principale, il padiglione Morel (oggi sede tra l’altro della Biblioteca Livi e dell’Archivio dell’ex ospedale psichiatrico), che ha inglobato le strutture del primigenio ospizio e dell’attigua chiesa, abbattuta nel 1789 e poi ricostruita. Dal padiglione Morel è possibile esplorare l’area muovendosi sia verso est che verso ovest lungo la viabilità organizzata su due direttrici parallele alla Via Emilia, di quasi un chilometro di lunghezza, che sono attraversate da una serie di vie perpendicolari. Nella zona ovest permangono due padiglioni in attesa di restauro (Esquirol e Donaggio), mentre è stato terminato il progetto di riqualificazione del padiglione Marchi, che ospita uno studentato, e poco più a nord, dopo un accurato recupero, è stato di recente inaugurato il padiglione Lombroso, sede del Museo di Storia della Psichiatria. Alle aree più densamente costruite si contrappongono ampie zone aperte: un grande prato si estende a nord, lungo la ferrovia; un altro si sviluppa all’estremità orientale, intorno al cimitero di San Maurizio; un terzo si sviluppa in posizione piuttosto centrale lungo viale Amendola, in prossimità del padiglione Morel, ed è scandito da diversi filari di alberi da frutto (esemplari di albicocco, pero e pruno piuttosto stentati e con evidenti disseccamenti nelle chiome), che sono le ultime testimonianze della vecchia colonia agricola, di cui verso la ferrovia sopravvive anche un edificio in precarie condizioni.
La presenza degli alberi e del verde era considerata benefica per i ricoverati e oggi centinaia di grandi esemplari arborei, in diversi casi sicuramente secolari, sono disposti lungo la viabilità e in prossimità degli edifici. Prevale la distribuzione in filari, anche se spesso, soprattutto nel settore orientale, la regolarità della disposizione cede il passo a un’organizzazione più naturale, con prati più o meno densamente alberati. Osservandoli da una certa distanza, la grande varietà di colori e portamenti degli esemplari presenti nel parco rivela la notevole commistione di specie che caratterizza il patrimonio arboreo del parco: le chiome scure e compatte delle conifere (abeti, cedri, cipressi), quelle chiare e leggere di frassini, sofore e aceri americani, e ancora platani, tigli, olmi, bagolari. Tra le specie più rappresentate c’è sicuramente la farnia, che esibisce alcuni esemplari monumentali in prossimità dell’ingresso e vicino al villino svizzero, come pure il bagolaro e il tiglio, che accompagnano con filari singoli e doppi una parte importante della viabilità dell’area.
Dalla metà dell’Ottocento, lo sviluppo dell’area fu condizionato dalla costruzione della ferrovia, che reso obbligatoria l’espansione in direzione est-ovest, attraverso l’acquisizione delle ex ville padronali Cugini e Trivelli, sui cui terreni vennero eretti nuovi edifici. Nel 1918 l’ospedale contava già 24 fabbricati e poteva accogliere ben 1500 malati e un ulteriore sviluppo si ebbe tra il 1919 e il 1933, quando furono costruite case popolari per il personale e i custodi (tuttora esistenti), inaugurata (nel 1921) la colonia scuola per “bambini deficienti emendabili”, fondata la colonia agricola modello “Duca degli Abruzzi” (demolita nel 1936 quando diversi terreni furono espropriati per la realizzazione dell’aeroporto) e vennero realizzati nuovi padiglioni. Una volta scoppiata la guerra, l’ospedale, anche per la vicinanza all’aeroporto, fu soggetto a ripetuti bombardamenti e subì gravissimi danni: molti edifici vennero distrutti e numerosi ricoverati morirono sotto le macerie. Nel 1945 l’ospedale riaprì le immissioni, temporaneamente sospese nelle fasi finali del conflitto, e il numero dei degenti crebbe in maniera rapidissima, raggiungendo i 2150 ricoverati nel 1959. Durante gli anni ’60, infine, nell’istituto venne avviato un processo di radicale trasformazione terapeutica e assistenziale che nel 1978, quando venne promulgata la legge che abolì il sistema manicomiale (Legge n. 180, più nota come “Legge Basaglia”) portò al parziale abbattimento delle mura di cinta del complesso e al progressivo abbandono delle attività.