via Prati 50
Castelfranco Emilia (MO)
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Il giardino storico, che si sviluppa per 8 ettari circa sul retro della villa, è considerato uno dei più importanti e rappresentativi giardini informali di tutta l’Emilia-Romagna. Realizzato ai primi del ’700, è stato nella prima metà del secolo successivo riorganizzato secondo i dettami del parco all’inglese che si andavano diffondendo in quegli anni. La ricchezza degli elementi compositivi presenti al suo interno, come l’acqua di laghi e canali, i ponti, le statue, le rovine, le grotte, i romiti, ne fanno un vero e proprio compendio del giardino romantico. Il parco porta il nome dei Sorra, la nobile famiglia che edificò la villa, in stile barocchetto emiliano, e ne mantenne la proprietà per circa due secoli. Dal 1972 il complesso di Villa Sorra appartiene ai comuni di Castelfranco Emilia, Modena, Nonantola e San Cesario sul Panaro; la proprietà, oltre alla villa e al giardino storico, comprende tre poderi della tenuta originaria, con diversi annessi rustici (scuderia, caseificio, conserva), che nell’insieme costituiscono un esempio estremamente rappresentativo del paesaggio agrario preindustriale della pianura emiliana.

Il complesso di Villa Sorra si sviluppa su una superficie di forma quadrata, tra le vie Pieve e Prati, con al centro la villa, intorno alla quale si estendono le aree a parco e giardino, lungo l’asse est-ovest, e quelle a seminativo della zona meridionale. L’impianto settecentesco della tenuta, con le trasformazioni apportate a metà dell’Ottocento, è ancora perfettamente leggibile, anche se in parte modificato. Il “cavedagnone” si è leggermente accorciato, in seguito allo sviluppo urbano di Gaggio, e ha perduto il doppio filare di olmi, sostituiti da pioppi cipressini solo in corrispondenza della “cavallerizza”, il percorso circolare realizzato intorno alla metà dell’Ottocento per il transito delle carrozze. Anche il viale in direzione nord-sud si è notevolmente ridotto in lunghezza e oggi si chiude in corrispondenza di via Prati; ha tuttavia mantenuto i filari alberati e, anche in questo caso, gli olmi sono stati sostituiti da pioppi cipressini. Sono rimasti, anche se ormai in gran parte scarsamente utilizzati e in stato precario di conservazione, i diversi edifici legati ai servizi della vita di corte e alla produzione agricola della tenuta. Alcuni sono di impianto settecentesco, come le scuderie situate lungo il percorso della “cavallerizza”, il caseificio e il nucleo colonico Gavazza, con abitazione e stalla-fienile ancora in buono stato e una piccola conserva. Altri edifici sono stati realizzati nel corso dell’Ottocento, come la casa del custode, dalla singolare pianta a ellisse, situata lungo la “cavallerizza”. Qualche ulteriore modifiche è sopravvenuta dopo l’acquisizione pubblica, quando è stato realizzato il parcheggio lungo via Pieve e, poco lontano, in due lotti al confine settentrionale e orientale del giardino storico, si è sviluppato un vero e proprio bosco a partire da una coltivazione di pioppi impiantata negli anni ’60 e poi abbandonata (il bosco è attraversato da uno dei percorsi di visita della tenuta, che costeggiando i canali segue il perimetro del giardino storico).
Anche nel giardino storico l’impianto originario è molto evidente e permette di suddividere l’area in due zone: quella occidentale, dall’ingresso alla peschiera, risale alla sistemazione settecentesca; quella orientale, oltre la peschiera, è frutto delle modifiche ottocentesche. L’accesso al giardino storico è possibile solo dalla villa, mentre sugli altri tre lati è impedito da canali e laghi. Attraverso l’ampio cancello si accede alla parte più formale del giardino, caratterizzata da due fasce di vegetazione ai lati, lungo i canali perimetrali, e da uno spiazzo prativo centrale solcato da due percorsi in ghiaia: uno più ampio e centrale, in continuità prospettica con le rovine che chiudono il giardino, e uno più stretto che interseca perpendicolarmente il primo. Dal punto di incrocio, segnato da uno spiazzo circolare con quattro grandi cespugli di tasso, prendendo a nord si arriva alla serra, uno splendido edificio in stile neogotico, realizzato nel 1842 su disegno dell’ingegnere bolognese Cesare Perdisa, che è stato restaurato intorno al 1990; nella grande sala interna, illuminata da undici finestre ad arco, un tempo erano ospitati limoni e cedri centenari, oltre a numerose piante ornamentali. Continuando lungo il viale centrale si arriva alla vasca della peschiera, unico manufatto originario dell’impianto settecentesco, oltre la quale si estende il giardino ottocentesco, composto da un’armonica alternanza di canali e specchi d’acqua che disegnano tre isole boscate, attraversate da un reticolo di sentieri tortuosi lungo cui si incontrano le diverse opere realizzate a corredo del giardino romantico. Dalla peschiera hanno inizio due percorsi che esplorano il giardino raggiungendo gli scorci più suggestivi e si ricongiungevano presso l’isola del castello, con l’altura che ospita le finte rovine del maniero. Il sentiero di destra, con una delle deviazioni verso il lago conduce, attraverso un suggestivo passaggio sotterraneo, alle grotte poste sulle sponde del bacino e sormontate dalla terrazza raggiungibile da un sentiero all’esterno; a fianco si trovano i resti, attualmente non accessibili, delle terme (anch’esse opera, come le grotte, del paesista bolognese Ottavio Campedelli). Poco lontano un’isoletta (la cosiddetta “prima isola dei cani”), oggi non più raggiungibile dalle sponde, ospita il monumento a uno dei cani della famiglia. Ritornando sul sentiero principale, nel bosco si incontra una radura con la “capanna del povero romito”, progettata da Brignoli di Brunhoff, un ricovero rustico che nasconde all’interno un inatteso salone ovale un tempo affrescato. Anche il sentiero di sinistra, con una deviazione, raggiunge il lago minore, in corrispondenza della “capanna del pescatore”, un piccolo edificio a pianta circolare, e dei resti di un imbarcadero da cui partivano le gite in barca attraverso il giardino. Una volta tornati sul sentiero principale, si attraversa il bosco e si arriva sulle sponde del lago più grande, dove con un ponticello è possibile raggiungere la “seconda isola dei cani”. I due percorsi laterali, infine, raggiungevano l’altura artificiale con le “rovine medievali” sormontate da due alte torri, composizione del paesista modenese Tommaso Giovanardi.

Le vicende che hanno portato alla costruzione della villa e alla nascita del parco hanno avuto inizio intorno alla metà del ’600, quando il ricco mercante modenese Francesco Sorra acquistò vari terreni tra Gaggio e Panzano, nei pressi di Castelfranco Emilia, allora appartenente allo Stato Pontificio, in prossimità del confine con il Ducato Estense; nel 1697 Rinaldo I d’Este, duca di Modena, concesse ai figli maschi di Francesco Sorra il titolo di conte. Alla sua morte il figlio Antonio incrementò le proprietà a Castelfranco e avviò la realizzazione della villa e del giardino. La villa, già rappresentata in alcune mappe del 1711-12, è probabilmente da attribuire all’architetto bolognese Giuseppe Antonio Torri (1655-1713), assistito dall’allievo Francesco Maria Angelini. È un compatto edificio a pianta quadrata, con due avancorpi laterali, che è organizzato intorno al grande salone centrale, punto di intersezione tra i due assi perpendicolari che ancora caratterizzano il disegno dell’intera tenuta. L’asse principale, in direzione est-ovest, consentiva di accedere alla villa attraverso un ampio viale di olmi, lungo ben 1800 m e noto come “cavedagnone”, che proseguiva oltre l’edificio nell’area verde sviluppata sul retro. Il giardino, realizzato insieme alla villa, fu principalmente opera di Alessandro e Francesco Cavazza, rispettivamente perito agrimensore e agronomo, e fu da subito considerato uno dei più notevoli tra quelli appartenenti alla nobiltà modenese dell’epoca. Diversi documenti e testimonianze, tra cui sei tempere realizzate nel 1730-40 per la “camera dipinta a giardino” della villa e oggi esposte al palazzo Ducale di Sassuolo, permettono di ricostruire in maniera piuttosto precisa l’impianto del giardino settecentesco, organizzato in modo simmetrico lungo l’asse longitudinale, ideale prolungamento del “cavedagnone”, e delimitato da canali rettilinei. I viali interni, accompagnati da alte spalliere di siepi, disegnavano una serie di camere chiuse e nelle intersezioni, lungo l’asse centrale, si allargavano spazi più aperti. Nel primo crocevia trovava posto una piazza contornata da siepi e nel secondo un’ampia vasca in mattoni di forma ovale, la peschiera, che è ancora presente. Oltre la peschiera iniziava una zona a bosco e il viale centrale si prolungava in un canale navigabile che conduceva al punto conclusivo del giardino, un padiglione belvedere in asse con la villa che si ergeva su un’isola di forma regolare.
Il parco restò immutato sino al 1827, quando il conte Cristoforo Sorra Munarini concesse alla moglie, la marchesa Ippolita Levizzani, di trasformare il giardino, ritenuto ormai sorpassato, secondo la nuova moda romantica all’inglese. La riorganizzazione del giardino, che interessò in modo particolare la porzione a est della peschiera, fu affidata al friulano Giovanni Brignoli di Brunhoff, professore di botanica e agraria all’Università di Modena e direttore dell’Orto Botanico, al quale si affiancarono e successivamente subentrarono vari progettisti locali. La realizzazione del giardino, peraltro, fu seguita personalmente dalla marchesa, che se ne occupò sino alla morte (1847). Sotto la sua supervisione i canali da rettilinei divennero sinuosi e i sentieri tortuosi, le isole persero la loro regolarità, furono eliminate le quinte di siepi e gli alberi da frutto per lasciare il posto a zone a prato e a bosco separate da canali e da due laghi di forma irregolare. In mancanza del progetto originario, è di grande importanza la precisa descrizione del giardino, pubblicata nel 1851 sull’Indicatore Modenese, da parte di Carlo Malmusi, possidente terriero e proprietario egli stesso di un “bosco inglese” a Fiorano. Nel raccontare il suo percorso di visita, Malmusi si sofferma sulle caratteristiche botaniche e architettoniche del giardino e presenta i numerosi elementi (rovine, grotte, torri, cippi funerari, statue, imbarcaderi) che rendono quello di Villa Sorra uno degli esempi più significativi di giardino romantico in Emilia e in Italia.
Nel 1869, dopo la morte di Ippolita, gli eredi vendettero la tenuta al modenese Ludovico Cavazza, il cui figlio Ercole dispose che la totalità dei suoi beni fosse destinata alla costituzione di un ente benefico. Nel 1933 nacque così il Pio Istituto Coniugi Cavazza, amministrato dall’Arcivescovato di Modena, che nel 1972 ha ceduto la frazione di proprietà comprendente la villa, il giardino e i poderi San Cristoforo, Conserva e Gruppo, per una superficie complessiva di circa 50 ettari, ai comuni di Modena, Castelfranco Emilia, Nonantola e San Cesario sul Panaro. Divenuto pubblico, il complesso negli ultimi decenni è stato interessato da diversi interventi di restauro che hanno interessato parti della villa e i dipinti ora esposti al palazzo Ducale di Sassuolo, la serra e la copertura delle scuderie.