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Il piccolo, delizioso parco (poco meno di un ettaro) si sviluppa intorno a un elegante edificio a due piani che fu per molti anni, sino alla morte, la dimora del patriota e politico forlivese Aurelio Saffi (1819-1890), importante figura del Risorgimento appartenente all’ala repubblicana radicale incarnata da Giuseppe Mazzini, di cui è considerato l’erede politico. Dopo la proclamazione nel 1849 della Repubblica Romana, insieme a Mazzini e a Carlo Armellini, Saffi fu uno dei triumviri che governò per circa tre mesi la città. Il parco, dominato nella parte antistante l’edificio da un maestoso cedro del Libano e completato sul retro da un folto boschetto, è piuttosto ricco di esemplari arborei notevoli, di specie sia autoctone che esotiche, e custodisce al suo interno una conserva per alimenti e un piccolo frutteto.



Il complesso è formato dall’abitazione padronale, dall’abitazione del custode e da un edificio colonico ormai ridotto a rudere, oltre che da una costruzione distaccata (una vecchia rimessa-fienile probabilmente utilizzata in origine come scuderia). Pur avendo un accesso carrabile che si apre sulla statale, con una cancellata e due colonne di mattoni, al nucleo oggi si accede da via Firenze, attraverso un portone con grandi ante in ferro sormontate da uno stemma che reca la data del 1828 e le lettere “G.S.” (corrispondenti alle iniziali del padre di Aurelio, Girolamo Saffi). La villa è custodita da una famiglia che abita la parte dell’edificio verso via Firenze, la stessa che un tempo era destinata ai domestici, alla quale si accede attraverso una bella scala esterna ornata da un glicine. Il lato sud-occidentale dell’edificio, con la scala esterna, il rossiccio muro posteriore del rudere colonico, sul quale è addossato un bel pozzo, e il muro di accesso da via Firenze racchiudono un piccolo delizioso cortile con vasi e piante tipiche dei giardini di un tempo. Nei pressi del portone in ferro si alza il tronco biforcato di un grande pino domestico (diametro 70 cm), dalla bella chioma reclinata sul rudere colonico.
Oltrepassata la piccola corte, si raggiunge il retro della villa dove, tra la vecchia scuderia e un fitto boschetto, si trovano una piccola superficie inghiaiata e un prato domestico con vasi di fiori. Sul bordo nord-occidentale della superficie erbosa si espande la chioma, in parte mascherata da giovani arbusti, di un bellissimo tasso policormico, con nove branche tra loro intrecciate (la maggiore con diametro di 21 cm). Inoltrandosi tra gli arbusti per un sentiero ombroso, subito a sinistra, si costeggia il boschetto, che custodisce diversi alberi di notevoli dimensioni, anche se può essere difficoltoso individuarli nell’intrico del sottobosco non curato. L’area boscata, inoltre, nasconde una “neviera” per conservare le derrate alimentari in estate, che è ombreggiata da un gruppo di grandi tigli, querce e bagolari e quasi completamente rivestita di alloro e laurotino. Oltre il boschetto, verso nord-ovest, si incontrano un orto e un piccolo frutteto, con kaki, meli, peri e cotogni, che sono quel che resta della parte produttiva della vecchia proprietà (sino a una ventina di anni fa esisteva anche una limonaia). Verso nord-est, di fronte al lato breve dell’edificio, si apre un altro piccolo prato punteggiato di arbusti da fiore e bordato da una intricata fascia alberata. Il confine nord-orientale, invece, è definito da grandi bagolari e da una siepe con noccioli, viburni e lauri, un tempo sapientemente mescolati e oggi lasciati sviluppare in modo spontaneo. Nell’angolo che si affaccia sulla statale, spicca un cedro del Libano e lungo il confine con la strada sono disposti cespugli di alloro e laurotino sino a raggiungere il cancello. Particolarmente piacevole è percorrere il vialetto di accesso dalla statale che, ombreggiato dai tigli e punteggiato in primavera da fioriture di viole e pervinche, accompagna verso il prato di fronte alla facciata della villa. Su questa area prativa crescono un arbusto di cidonia, decorativo sia per i fiori rosa che per le piccole mele, un tasso, due magnolie sempreverdi, un altro cipresso di poco inferiore al precedente e, più vicine all’edificio, due giovani lagerstroemie. Questo lato del giardino, tuttavia, è soprattutto caratterizzato dalla presenza di un maestoso cedro del Libano (diametro 135 cm), probabilmente risalente ai tempi di Aurelio Saffi, che svetta proprio di fronte all’antica cappellina. È l’albero più grande e suggestivo del parco, nonostante l’estesa ferita prodotta lungo il suo fusto da un fulmine e il seccume che interessa la cima di molti rametti.

Il lungo edificio era anticamente un convento dei Gesuiti: la facciata della cappella del piccolo monastero è ancora ben visibile nel lato sud-orientale del palazzo e un grazioso campaniletto a vela sul colmo del lungo tetto a due falde chiude la piccola e spoglia facciata nord. L’immobile venne acquistato dal nonno di Aurelio, il conte Tommaso Saffi (1735-1803) e utilizzato inizialmente come residenza estiva. La famiglia, infatti, di antica tradizione aristocratica, possedeva un elegante palazzo in città, al numero 25 di via Albicini (nell’Ottocento via San Giuseppe), che tuttora conserva uno dei portali in pietra cinquecenteschi più belli di Forlì. Verso la metà dell’Ottocento, però, la famiglia ebbe un tracollo finanziario e fu costretta a vendere il palazzo di città, dove una trentina era nato Aurelio. Nel 1864 Aurelio Saffi, deputato nel primo Parlamento italiano dal 1861, scelse come sua residenza forlivese la sobria villa di campagna di San Varano, dove abitò stabilmente dal 1867. La moglie Giorgina Craufurd, che condivideva pienamente gli ideali del marito e aveva particolarmente a cuore l’educazione civile e sociale dei giovani e la condizione femminile, vi rimase sino alla morte nel 1911. A San Varano Saffi si dedicò all’organizzazione del movimento repubblicano, partecipando attivamente alla vita politica locale; la villa, nella quale si svolgevano riunioni carbonare, nel linguaggio in codice veniva indicata come la “Vendita dell’Amaranto”. Nel 1871 Saffi fondò a Forlì il Circolo Mazzini e nel 1874 fu tra i 28 principali esponenti del Partito Repubblicano che, riunitisi per tracciare il programma d’azione in vista delle elezioni politiche, furono arrestati a Villa Ruffi presso Rimini, durante il governo presieduto da Marco Minghetti, ma poi prosciolti e liberati nel giro di pochi mesi. Dal 1878 sino a pochi mesi prima della morte Saffi fu docente di Diritto all’Università di Bologna. Dopo la morte del marito, la Craufurd si dedicò alla raccolta dei suoi scritti e riordinò le lettere di Mazzini alla sua famiglia e al marito, mettendole a disposizione della Biblioteca di Forlì. Il Comune di Forlì ha acquisito il complesso di Villa Saffi dagli eredi nel 1988. La casa di città della famiglia, invece, era già stata in precedenza acquistata dalla Provincia di Forlì per farne la sede dell’Istituto Storico della Resistenza, di associazioni partigiane, dell’associazione mazziniana e di altri servizi provinciali.