Via Sammarina, 35
Bentivoglio (BO)
Tel: 051 891050 segreteria.museo@provincia.bologna.it
Giardino storico
Il parco, simile ad altri di ville settecentesche della pianura, è situato a un incrocio di strade segnalato nella cartografia storica da un pilastro denominato Croce di San Marino. L’area verde si estende per poco meno di 4 ettari nella bella campagna compresa tra il canale Navile e il Savena abbandonato. Nel paesaggio della bassa pianura la folta macchia di vegetazione emerge tra i campi coltivati, racchiudendo la bella villa, con il fronte rivolto verso la vicina parrocchiale di San Marino di Bentivoglio, grandi radure prative e un piccolo specchio d’acqua. Il parco e la villa sono noti per essere la sede di un museo etnografico di importanza nazionale, fondato dall’amministrazione provinciale di Bologna, che è proprietaria del complesso, e gestito con il concorso dei comuni di Bologna, Castel Maggiore e Bentivoglio. Il museo raccoglie macchine agricole, strumenti e oggetti legati alla vita e al lavoro contadino nel Bolognese, esposti in ricostruzioni ambientali e illustrazioni di particolari cicli produttivi.

La villa e il parco sono inseriti in un contesto agricolo che mostra ancora la sua originaria duplice funzione di residenza di campagna, rappresentata dall’edificio padronale, e di centro organizzativo di una grande azienda agricola, con l’insieme degli altri edifici (casa del fattore, stalla, porcilaia, casa dell’ortolano). Il parco è stato realizzato nella seconda metà dell’Ottocento, nell’ambito dei lavori di ampliamento della villa secondo il gusto per i parchi all’inglese in voga nel periodo. I conti Zucchini fecero realizzare un parco “romantico”, con ampie zone prative dalle forme morbide e un piccolo lago con imbarcadero attraversato da un elegante ponticello e contornato di prati e folte macchie boscate, con radure, piccoli rilievi, gruppi di alberi e arbusti dalla disposizione irregolare, vialetti sinuosi, siepi, finti ruderi e statue. L’impianto del parco è, nel complesso, rimasto quello originario, con una buona presenza di essenze sempreverdi. Una parte del parco si sviluppa davanti alla villa, con una grande aiuola centrale, mentre la parte più cospicua si allunga sul retro verso la campagna, dove un altro grande prato termina sulla riva del laghetto. Nella parte antistante l’edificio padronale lo storico accesso da via Sammarina è segnato da colonne affiancate da una caratteristica siepe mista di olmo, acero campestre, nocciolo, sanguinello e biancospino; alla siepe, verso l’interno del giardino, si affiancano grandi alberi, tra cui una bella farnia al cancello, un acero campestre e un platano verso sud, un filare di vecchi ippocastani verso nord. Nei pressi della vecchia stalla cresce un rado boschetto di tassi, mentre sulla cima della collinetta che nasconde la ghiacciaia, ricoperta da molti arbusti di bosso, si alzano tre grandi tassi dal portamento policormico. La siepe mista e il filare di ippocastani continuano anche lungo via Canali e Crociali, sul lato settentrionale del parco, dove nei pressi della vecchia porcilaia e della casa colonica (oggi usate come aula didattica) è presente un accesso pedonale subito dopo una singolare torretta circolare usata come colombaia. Poco oltre, procedendo verso ovest, una vecchia pista da ballo e un chiosco adibito a punto di ristoro sono ombreggiati dagli alberi più imponenti del parco: numerosi platani, diverse farnie e una magnolia. Dopo il punto di ristoro e questi alberi monumentali il margine rialzato del parco verso la strada è rivestito da una macchia con un folto sottobosco nella quale emerge una farnia (diametro 73 cm). Di fronte un piccolo sentiero risale la collinetta affacciata sul lago, con un gruppo di grandi farnie che si protendono verso l’acqua. Sul rilievo, realizzato molto probabilmente con il terreno di scavo dell’invaso, è presente una piazzola sulla quale si allungano le grosse branche di un tasso (la più grande misura 57 cm di diametro). Intorno alla collinetta e al lago si notano diversi pioppi sia neri che bianchi, a volte di discrete dimensioni; nella lunga aiuola sul retro del gruppo di pioppi cresce una giovane sequoia gigante. Il versante meridionale del pratone nei pressi della villa è orlato da grandi e aperti cespugli di nocciolo, ai quali fanno seguito, verso il laghetto, boschetti di sempreverdi (soprattutto tassi) attraversati da sentieri in terra battuta. Oltre il confine con i campi coltivati, segnato da una siepe mista di specie autoctone, ippocastani e begli esemplari di farnia, si trova un nuovo fabbricato che ospita la bottega del museo, dove la domenica si vendono prodotti locali. Altri boschetti di tassi raggiungono, verso ovest, la casa dell’ortolano, oggi adibita a ristorante, e un’altra piccola area prativa su cui spicca un giovane pioppo bianco. Il sentiero che conduce all’uscita posteriore sull’ampio parcheggio è affiancato verso nord da una collinetta riccamente boscata che nasconde la grande conserva: un ampio vano interrato oggi utilizzato come deposito di botti e attrezzi per la vinificazione.

La presenza in questo lembo di campagna di una prima villa padronale risale al ’700, quando un edificio denominato “casino” o “palazzo” era parte della tenuta di San Marino, composta da dieci poderi e due possessioni e appartenente alla nobile famiglia Zambeccari. Uno dei proprietari fu Francesco Zambeccari (1752-1812), che ebbe una vita avventurosa (fu ufficiale di marina in Spagna e Russia e prigioniero dei Turchi a Costantinopoli) ma è noto soprattutto per gli studi di aerostatica e l’ideazione e costruzione di una mongolfiera con la quale compì diverse ascensioni (morì per le ustioni di un incendio scoppiato a bordo durante un volo su Bologna). Il figlio Livio Zambeccari (1802-1862) ebbe una vita altrettanto tumultuosa e fu ripetutamente coinvolti nei moti rivoluzionari e indipendentisti sia in Italia che in Sud America, combattendo più volte a fianco di Garibaldi. Partecipò ai moti bolognesi del 1843, per i quali fu condannato a morte in contumacia. Durante l’esilio in Grecia, nel 1852, mise in vendita la tenuta di San Marino, ridotta ormai a due possessioni e quattro poderi, che venne acquistata dal conte Gaetano Zucchini, eminente figura di imprenditore che nella seconda metà dell’Ottocento, mettendo a frutto gli studi di scienze economiche e agrarie nella conduzione delle proprie tenute, riuscì a costituire una solida proprietà fondiaria, indirizzando la sua attività anche nei settori della finanza, dell’industria e del commercio. Con lui la tenuta di San Marino tornò agli antichi splendori, aumentando di consistenza, il palazzo fu ampliato sino alle dimensioni attuali, furono costruite la colombaia e la ghiacciaia e venne impiantato il parco all’inglese. Normalmente la presenza dei proprietari nella villa era saltuaria e concentrata nel periodo estivo, ma il penultimo proprietario privato, Rigoberto Smeraldi, che aveva acquistato la tenuta nel 1922 da Antonio Zucchini, desideroso di disfarsene dopo gli scioperi e gli episodi di occupazione delle terre, ne fece la sua residenza principale. Smeraldi si stabilì nella fiorente azienda agricola con la famiglia per meglio seguirne l’amministrazione e, soprattutto, per assecondare la propria passione per i cavalli, che lo portò a iniziare un’attività di allevamento di purosangue con trottatori importati dagli Stati Uniti, trasformando la vecchia stalla in una serie di box e realizzando una pista per l’allenamento dei cavalli di poco inferiore a quella dell’Arcoveggio. Gli eventi della seconda guerra mondiale segnarono duramente quella che era ormai conosciuta come Villa Smeraldi, anche nel frattempo il proprietario era divenuto Antonio Roversi, un nipote di Rigoberto Smeraldi. Alcuni ambienti della villa furono destinati alla società telefonica, allontanata da Bologna per sfuggire ai bombardamenti, mentre in un’altra parte della villa e nella torre si installò un comando tedesco; alla partenza dei tedeschi al secondo e terzo piano dell’edificio trovarono alloggio diverse famiglie di sfollati che vi rimasero anche nel dopoguerra. La villa, ormai in cattivo stato, non venne per anni utilizzata dai proprietari, che nel 1970, soprattutto per volontà di Clementina Colombo, moglie di Antonio Roversi, preoccupata di preservare l’integrità del complesso, cedettero la villa e il parco all’amministrazione provinciale di Bologna, intenzionata a farne la sede di un museo della civiltà contadina, che grazie anche all’impegno dello studioso Carlo Poni e dei soci del gruppo della Stadura venne inaugurato nel 1973.