Via San Donato, San Martino in Soverzano
Minerbio (BO)
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L’area verde, il castello e il borgo formano un interessante insieme lungo l’antica via San Donato, al margine di quella che un tempo era una delle ampie zone perennemente allagate della provincia. Il castello, con i bastioni angolari, la torre principale e il ponte a tre arcate (tutti riccamente merlati) che si specchiano nel fossato, è uno degli esempi più suggestivi e meglio conservati nella pianura bolognese di edificio signorile di origine quattrocentesca poi restaurato in stile neomedievale da Alfonso Rubbiani e Tito Azzolini. Il piccolo parco intorno al castello è mantenuto con grande cura e caratterizzato da esemplari arborei di notevoli dimensioni, dislocati soprattutto nel settore nord-occidentale, mentre sul lato orientale ampi prati sono sottolineati da filari di pioppi cipressini.

Il bel parco del castello, in mezzo al quale spicca anche in lontananza l’alta torre coronata, si raggiunge per un breve viale il cui inizio, sulla via San Donato, è segnato da due platani; dopo aver attraversato il borgo, il viale è affiancato, a destra, da una siepe formale di biancospino e da un filare di pioppi cipressini e poi, su entrambi i lati, dalle spallette merlate del ponte levatoio che danno sul canale che alimenta il fossato. Oltrepassato un arco merlato, si accede all’area verde, completamente recintata, che si sviluppa per circa quattro ettari. Il castello, imponente e suggestivo con il ricco coronamento di merli, le decorazioni in cotto e l’ampio fossato che lo circonda completamente, si trova nel quadrante sud-orientale del parco, tra l’area in prevalenza boscata a ovest e quella più prativa a est. Il castello è accessibile superando un ponte a tre arcate, che conduce direttamente nella corte interna, circondata da un portico a colonne ioniche con stemmi e iniziali della famiglia Manzoli. Subito a sinistra si trova una piccola cappella, dedicata a San Bartolomeo Apostolo, completamente affrescata e arricchita di recente da un dipinto del Francia. Le altre stanze del pianterreno sono arredate con mobili d’epoca e quadri dei secoli XVI e XVII. A nord-ovest del castello si sviluppa la parte più interessante del parco, caratterizzata da esemplari arborei di notevoli dimensioni, tra cui un bel filare di 12 tigli, affiancati a un filare di farnie sul confine settentrionale, che corre parallelo a via Palio. Sul lato occidentale spicca un altro bel gruppo di farnie, in parte allineate ai campi coltivati e in misura minore al confine sud-occidentale. In posizione centrale si addensa un’ombrosa area boscata, formata da un gruppo eterogeneo di specie (platani, pini, abeti bianchi, ecc.), mentre a fianco della graziosa torre colombaia, disposta a sud-ovest e non troppo distante dall’ingresso del castello, sono presenti alcune magnolie e due pioppi neri (in precarie condizioni fitosanitarie). Non lontano dal fossato una collinetta inerbita nasconde l’antica ghiacciaia e tra gli alberi che la circondano risalta un bell’esemplare di Sophora japonica dal tronco contorto, nodoso e parzialmente scortecciato. A est del castello, dal fossato sino a via Palio e al nucleo colonico, si aprono invece grandi aree prative sottolineate da allineamenti di giovani pioppi cipressini e definite da siepi miste con prevalenza di specie tipiche della pianura come acero campestre e biancospino.

Nella località dove sorge il castello, che ha probabilmente derivato il nome dal vicino scolo Zena (Sovrazeno, poi divenuto Soverzano), la famiglia bolognese Ariosti possedeva beni sin dal ’200, a guardia dei quali venne eretta una piccola rocca, che a quel tempo sorgeva al limitare della palude, di cui restano tracce alla base della torre del castello. Passata al ramo ferrarese degli Ariosti, la rocca fu occupata nel 1390 dal comune di Bologna, che vi installò un presidio. Nello stesso anno Francesco Ariosti vendette la proprietà al pronipote Bonifacio, che nel 1407 cedette a sua volta l’edificio e i terreni alla nipote Chiara Arrighi, moglie del bolognese Bartolomeo Manzoli, che intorno al 1411 fece costruire il castello, conservando parte dell’antica torre. Agli inizi del ’500 il comune di Bologna affidò in custodia al ricchissimo Marchione Manzoli, che lo accolse come un ospite, un prigioniero d’alto rango, il cardinale Giovanni di Lorenzo de’ Medici, che dopo poco venne eletto papa con il nome di Leone X. L’amicizia con il papa fruttò ai Manzoli, nel 1514, la concessione del feudo di San Martino in Soverzano, che rimase alla famiglia sino alla seconda metà del ’700. Una curiosa leggenda vuole che la sera del 1° dicembre di ogni anno il fantasma di Marchione Manzoli compaia alle porte del castello per riappropriarsi del suo feudo (venne infatti ucciso nel 1527, in quello stesso giorno, insieme ai suoi servitori). Dal 1581 a San Martino si svolse un’importante fiera annuale, che ebbe per secoli grande fama (la tradizione della fiera, abbandonata negli anni ’50 del secolo scorso, è stata ripristinata nel 1982). Il gruppo di case attiguo al castello, con l’edificio principale dotato di un ampio porticato, venne fatto costruire dai Manzoli alla fine del ’500 proprio come luogo di ristoro per il personale addetto al castello e per i visitatori della fiera e anche il lungo porticato sul viale d’accesso, risalente al 1684, venne realizzato per accogliere la fiera al coperto. Nel 1751 la vasta proprietà passò alla famiglia Marsigli-Duglioli e nel 1882 a Felice Cavazza, che insieme al figlio Francesco l’anno seguente ne affidò il restauro ad Alfonso Rubbiani e Tito Azzolini, mentre Achille Casanova venne incaricato del restauro e completamento delle decorazioni interne. Il castello, dopo la seconda guerra mondiale, passò alla famiglia Larcher e poi ai Barbieri Fiamminghi. L’attuale proprietario ha profuso grande impegno per il recupero e la conservazione dell’intero complesso, di grande suggestione scenografica e perfettamente conservato.
La semplice chiesa di San Martino ha il sagrato che si apre direttamente sulla via San Donato, in questo punto segnata da un breve filare di platani. La chiesa, di antica origine (è citata in un documento del 1212) ma profondamente modificata nel ’500 e poi nel ’700, ha subito gravi danni nell’ultima guerra (quando fu abbattuto il campanile). La pala dell’altare raffigurante San Martino e il povero, opera di Matteo Zamboni, risale al 1672, mentre una tela con San Giovanni Battista adolescente è attribuita a Lorenzo Sabbatini. Il castello, il lungo porticato della fiera e la vicina chiesa di San Giovanni in Triario furono utilizzati da Pupi Avati nel 1976 come location per il film La casa dalle finestre che ridono.