Musei Civici - Museo del Tricolore
Piazza Casotti, 1
Reggio Emilia (RE)
produzione italiana
scultura

gesso
cm 19 (a)
sec. XVIII (1796 - 1797)
n. 7/8
Busto in gesso del senatore Jacopo Lamberti.

LAMBERTI, Jacopo (Giacomo). - Nacque a Reggio nell'Emilia il 25 ott. 1762, secondo di quattro figli (il primo, Luigi, sarà ugualmente noto come letterato e politico nell'Italia napoleonica), da Francesco e Chiara Bergonzi, possidenti. Nell'ottobre del 1789 ebbe la cattedra di diritto canonico nel ginnasio di Reggio, che conservò fino al 1796 quando - per interessamento di L. Spallanzani - Ercole III d'Este lo chiamò a ricoprire lo stesso incarico nell'ateneo modenese. Le vicende rivoluzionarie francesi, l'avvicinamento dell'armata di N. Bonaparte ai territori italiani e la fuga di Ercole III da Modena (7 maggio 1796) segnarono il passaggio del L. dall'attività intellettuale alla ribalta della scena politica locale e nazionale. Assiduo frequentatore del caffè dei Patrioti, dove, sulla piazza principale di Reggio, si radunavano gli spiriti più irrequieti e favorevoli al mutamento, fu uno dei protagonisti assoluti dell'intensa stagione rivoluzionaria reggiana del 1796.fu l'ispiratore principale del provvedimento adottato dal Senato (30 giugno 1796) per l'invio di una deputazione a Bonaparte - della quale fece poi parte, in qualità di segretario, insieme con G. Paradisi, A. Re e I. Trivelli - e del proclama (30 ag. 1796) con cui lo stesso Senato, dichiarando l'assunzione dei pieni poteri per Reggio e l'intero Ducato, sancì la definitiva rottura con la Reggenza di Modena e la nascita della Repubblica Reggiana. Sempre presente nelle successive ambascerie reggiane presso i generali e commissari francesi, il L. sedette nel Comitato di governo di Modena e Reggio, sorto dopo l'occupazione francese di Modena e il vittorioso fatto d'armi di Montechiarugolo (4-5 ott. 1796). Tra l'autunno del 1796 e la primavera del 1797 fu eletto nella nuova Municipalità reggiana e prese parte a tutti e tre i congressi dai quali ebbe origine la Repubblica Cispadana. Nei congressi cispadani di Modena e Reggio il L. rivestì un ruolo di primo piano nello schieramento democratico, mitigando le posizioni più estreme, vigilando con vigore sulle mire egemoniche dei deputati bolognesi, ergendosi a difensore degli interessi del popolo e della costituzione francese del 1795. Smembrata la Cispadana (19 maggio 1797) per ordine di Bonaparte e inserito l'ex Ducato estense nella nascente Cisalpina, dal novembre 1797 il L. (che da allora si fece chiamare Giacomo) fece parte del Corpo legislativo di Milano, sedendo tra i rappresentanti del Dipartimento del Crostolo nel Consiglio degli juniori. Nominato ministro degli Interni al posto di G. Ragazzi (7 apr. 1798), nove giorni più tardi divenne membro del Direttorio con M. Alessandri, G.B. Costabili Containi, G.B. Savoldi e C. Testi. Superò indenne i tre colpi di Stato realizzati dalle autorità francesi nella Cisalpina durante la seconda metà del 1798. Tuttavia, logorato e deluso da quelle vicende, il 1° dic. 1798 rassegnò le dimissioni dal Direttorio, tornando all'agognata quiete della campagna reggiana. Convocato tre mesi più tardi a Milano da una lettera dell'ambasciatore francese presso la Cisalpina, F. Rivaud, l'11 marzo 1799 riprese il proprio posto nel Consiglio degli juniori, assumendone la presidenza fino alla caduta della Repubblica. Allontanatosi da Milano, scampò inizialmente agli Austriaci rifugiandosi presso una famiglia di patrioti a Villa Minozzo, sull'Appennino reggiano. Braccato dalla polizia, il 27 ag. 1799 si consegnò al comando militare della piazza di Reggio, da dove venne immediatamente trasferito nelle carceri di Modena. Il processo a lui e agli altri reggiani di spicco del Triennio (L. Bolognini, G. Paradisi, A. Re, G. Sforza, I. Trivelli ecc.) si protrasse per oltre nove mesi, fino alla liberazione seguita alla vittoria francese di Marengo (14 giugno 1800). Alla fine del 1801 decise però di accettare la nomina della Municipalità di Reggio quale rappresentante per il Dipartimento del Crostolo ai Comizi di Lione, dove fu eletto nella commissione dei Trenta, incaricata dello svolgimento delle operazioni preliminari alle decisioni adottate da Bonaparte. L'ottimo lavoro che svolse sia a Reggio sia nella viceprefettura di Massa - dove dall'ottobre 1804 all'aprile 1805 fu commissario straordinario - lo riportarono in auge e ne fecero uno dei più capaci e affidabili funzionari del Regno d'Italia. Nominato prefetto del Crostolo il 23 luglio 1805 - in deroga per la prima volta alla legge che voleva i prefetti di provenienza esterna ai dipartimenti loro assegnati -, si distinse per una puntuale e ordinata amministrazione, rivolgendo principalmente la propria cura alla tutela dell'ordine pubblico, al rispetto delle leggi e all'incremento dell'istruzione, dando inoltre corpo alle proprie idee fisiocratiche con la fondazione, nel 1806, della Società agraria reggiana e della Società di arti meccaniche, quest'ultima preposta alla lavorazione industriale dei prodotti agricoli.
Creato cavaliere della Corona ferrea e membro della Legion d'onore, nel 1807 sposò la reggiana Eleonora Bernardoni, dalla quale ebbe tre figli: Giuseppe, Paolo e Virginia. Insignito del titolo di conte e nominato senatore da Napoleone (19 febbr. 1809), il L. si trasferì nuovamente a Milano con la famiglia, rimanendovi fino alla caduta del Regno. Saldamente legato - con F. Melzi d'Eril, G. Paradisi, A. Veneri e L. Vaccari - al partito del viceré Eugenio de Beauharnais, fu tra i suoi più strenui difensori nell'adunanza straordinaria del Senato del 17 apr. 1814 e nella successiva giornata del 20 aprile, culminata nell'eccidio del ministro delle finanze G. Prina, la cui abitazione, insieme con U. Foscolo, il L. cercò fino all'ultimo di difendere dagli assalti del popolo. Fortemente segnato dalla perdita della moglie (28 giugno 1811) e del fratello Luigi (4 dic. 1813), alla fine di luglio del 1814 rientrò definitivamente a Reggio dopo aver bruciato le carte di famiglia più compromettenti e aver ottenuto ogni rassicurazione sulla sua sorte futura.