Villa Saffi
Via Firenze, 164
Forlì (FC)
ambito europeo
dipinto

tela/ pittura a olio,
legno/ doratura a pastiglia/ intaglio
cm 67,5 (la) 77,5 (a) 7 (p)
Misure con cornice
sec. XIX
n. Villa Saffi, n. 26
Dipinto a olio su tela, raffigurante Giuseppe Mazzini a mezzo busto su fondo bruno: l'uomo è colto in età avanzata, rivolto di profilo verso sinistra ed è vestito completamente di nero.


Ritratto anonimo di Giuseppe Mazzini (Genova, 22 giugno 1805 – Pisa, 10 marzo 1872), realizzato, a giudicare dall'età dell'effigiato, nella seconda metà dell'Ottocento.
Nato a Genova il 22 giugno 1805, Giuseppe Mazzini crebbe in una città che, dopo avere sperimentato la dominazione francese, era stata annessa al Piemonte insieme al resto della Repubblica Ligure. I suoi primi anni di vita furono segnati da una condizione fisica abbastanza delicata, ma furono particolarmente ricchi di stimoli culturali. Al termine di una tranquilla adolescenza fatta di studi e di letture, Mazzini si iscrisse alla facoltà di Giurisprudenza dell’ateneo genovese. Nel 1827 si laureò regolarmente, ma portando avanti parallelamente la professione di giornalista presso l'”Indicatore genovese” e dedicandosi con passione allo studio della letteratura, intesa come testimonianza di vita civile e specchio della condizione morale di un popolo. Restò particolarmente colpito da “Le ultime lettere di Jacopo Ortis” del Foscolo, tanto da decidere di vestire sempre di nero, in segno di lutto per la patria oppressa (di ciò è testimonianza anche il ritratto in esame). Iniziò ad abbozzare le sue prime riflessioni politiche, arrivando a delineare con sempre maggior precisione l’idea che la causa della condizione di inarrestabile decadenza della patria italiana fosse da imputare in primo luogo alla storica divisione territoriale della penisola. Mazzini decise quindi di affiliarsi alla Carboneria genovese, all’interno della quale assunse compiti sempre più importanti che lo portarono al primo arresto e alla detenzione a Savona nella Fortezza del Priamar per un breve periodo, tra il novembre 1830 e il gennaio 1831. Durante la reclusione formulò il programma di un nuovo movimento politico, chiamato Giovine Italia, che organizzò dopo la liberazione nel 1831 a Marsiglia, prima meta del suo esilio. L’organizzazione si diffuse fulmineamente sia tra gli esuli italiani in Francia, sia in quelle zone della penisola dove più forte era l’insofferenza per la presenza straniera o per il dispotismo dei sovrani. I motti dell'associazione erano “Dio e popolo e Unione, Forza e Libertà” e il suo scopo era l'unione degli stati italiani in un'unica repubblica con un governo centrale quale sola condizione possibile per la liberazione del popolo italiano dagli invasori stranieri. L'obiettivo repubblicano e unitario avrebbe dovuto essere raggiunto con un'insurrezione popolare condotta attraverso una guerra per bande. Tuttavia i primi tentativi insurrezionali promossi dalla Giovine Italia (a Genova nel 1833 come in Savoia nel 1834) andarono completamente falliti, lasciando dietro di sé uno strascico tragico di persecuzioni, processi ed esecuzioni capitali. Costretto a cercare rifugio in Svizzera, Mazzini pensò allora di accelerare l’organizzazione rivoluzionaria, creando a Berna nel 1834 la Giovine Europa, con lo scopo principale di raggruppare in un organismo unico le forze rivoluzionarie di tutti i paesi che aspiravano alla libertà. Ciò produsse ben pochi risultati concreti, suscitando anzi l’allarme nelle potenze reazionarie che incrementarono la sorveglianza su una cospirazione che minacciava di assumere dimensioni e caratteristiche internazionali. Mazzini venne dunque espulso dalla Svizzera all’inizio del 1837 e si stabilì a Londra. Continuò a perseguire il suo obiettivo durante l’esilio con inflessibile costanza, tuttavia dopo il fallimento dei moti del 1848 e della breve esperienza della Repubblica Romana (guidata dal Mazzini con Aurelio Saffi e Carlo Armellini), i nazionalisti italiani cominciarono a identificare nel re del Regno di Sardegna e nel suo Primo Ministro, Camillo Benso conte di Cavour, le vere guide del processo di riunificazione, separando il problema della nascita dello stato italiano dalla riforma sociale e politica invocata da Mazzini.
Nel 1866 Mazzini fu eletto nel collegio di Messina a deputato al nuovo parlamento nazionale di Firenze nonostante due condanne a morte che pendevano sul suo capo, ma rifiutò la carica in quanto sempre contrario alla monarchia. Nel 1870 gli furono amnistiate le due condanne a morte e Mazzini poté rientrare in Italia, dedicandosi subito all'organizzazione di moti popolari in appoggio alla conquista dello Stato della Chiesa. Venne dunque nuovamente arrestato a Palermo e recluso nel carcere militare di Gaeta. Costretto nuovamente all'esilio, riuscì a rientrare sotto il falso nome di Giorgio Brown a Pisa il 7 febbraio del 1872. Qui, malato già da tempo, visse nascosto nell'abitazione di Pellegrino Rosselli fino al giorno della sua morte, il 10 marzo dello stesso anno.
Caduta la Repubblica Romana del 1849, Mazzini si recò in esilio in Svizzera dove fu raggiunto da Aurelio Saffi, per poi trasferirsi con lui nel 1851 a Londra. Fu proprio Mazzini a introdurre Saffi nella casa londinese di Sir John Craufurd, nobile scozzese liberale e membro della Società degli Amici d’Italia, di cui Saffi nel 1857 sposerà la figlia minore, Giorgina. La famiglia Craufurd infatti era fortemente impegnata a favore della causa nazionale italiana ed era solita ospitare e offrire assistenza ai profughi politici italiani in Inghilterra: soprattutto le donne della famiglia, la madre Sofia Churchill e le due figlie Kate e Giorgina, erano ferventi mazziniane. Giorgina in particolare conobbe Mazzini a Londra nel 1848 (gli venne presentato dal fratello Giorgio) e istaurò con lui una fraterna amicizia che durerà per tutta la vita: Mazzini, che amava definire Giorgina “sorella di fede e di affetto”, nel corso della sua vita le inviò più di cento lettere, di cui la prima è datata 1850, mentre l’ultima fu inviata da Pisa nel febbraio del 1872, a meno di un mese dalla morte del patriota italiano. Al primo piano della villa dei coniugi Saffi, che erano tra i pochissimi a poter chiamare Mazzini familiarmente “Pippo”, sono esposti alcuni cimeli (un ombrello e un paio di pantofole) appartenuti a Mazzini.