Ecomuseo di Argenta: Museo Civico
Via G.B. Aleotti, 46
Argenta (FE)
Ricci Camillo
1590/ 1626
ambito ferrarese
dipinto

tela/ pittura a olio
cm 140 (la) 200 (a)
sec. XVII (1624 - 1626)
La scena è suddivisa in tre parte. Troviamo al centro la scena del terremoto, si riconoscono bene le mura, le torri e i campanili che si sgretolano; in alto la Sacra Famiglia; in basso un gruppo di fedeli in preghiera.

"Maria Angela Novelli provvede, nel 1955, ad una prima rettifica, riprendendo, senza conoscerle, le osservazioni del Bertoldi che la tela fu eseguita come ex voto dopo il terremoto di Argenta, avvenuto nel 1624: vale a dire quattro anni dopo la morte dello Scarsellino. Nel 1964 Amalia Mezzetti, nel pubblicare il dipinto dopo il restauro, avanza una attribuzione del tutto convincente a Camillo Ricci, «seguace dello Scarsellino, certo di statura inferiore, ma non privo di una sua personalità affettuosa e discreta, candidamente provinciale e schietta, il quale all’ingenua tipizzazione delle figure di piana edificazione controriformistica, unisce una stesura del colore tenera, succosa e unita, un nitido risalto delle luci e delle ombre, una linda tornitura delle forme che sfiora effetti di singolare arcaismo, quasi come negli stessi anni faceva Giacomo Bambini».
Termini cronologici molto stretti ci si offrono quindi per questa pala votiva del terremoto di Argenta: 1624-1626, la data del terremoto, appunto, e quella della morte dell’artista. [...] È del Ricci, infatti, il sapore arcaizzante della composizione, puntualizzato dalle figure dei Protettori che sovrastano, secondo un’antica tradizione iconica, il “gregge” degli argentani in preghiera. Il tutto calato in un’atmosfera di cromatismo austero, dove le più vive accensioni sono nelle vesti della Divinità, nei volti e sui colletti dei mansueti oranti, ma soprattutto nei bagliori di uno spaventato tramonto sullo sfondo della città morsicata dal terremoto. Un pezzo da antologia, quest’ultimo, coi campanili che forano il cielo e sbilanciati crollano. Narrano le storie e le cronache che si trattò di una catastrofe: delle ventiquattro torri una sola rimase intatta, quella merlata “di Primaro” che, fino all’ultimo conflitto mondiale, signoreggiava la Piazza e col vecchio orologio richiamava i cittadini al suono delle ore.
L’opera appare quindi come una sorta di difesa magica contro le ostili forze della incomprensibile natura. Il terremoto, così come le grandi epidemie, è sempre in agguato. Nel momento di tranquillità ansiosa e stupita che si determina appena il flagello s’attenua o scompare, quando le raffiche della calamità si dileguano, l’uomo si interroga sul disastro". (Viroli, 2008)