FONTE
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AutoreAppiano
Titolo operaBellum civile
Anno155/165 ca. d.C.
Periodoetà degli imperatori adottivi
EpocaAlto Imperiale
Noteed.: E. Gabba, D. Magnino (edd.), La storia romana: libri XIII-XVII. Le guerre civili, Torino 2001 (trad. degli editori).
PASSO
LocalizzazioneI, 8.66-67 / 303, 308
Traduzione[303] Mentre Cinna era occupato in queste cose [rafforzarsi prima di attaccare Roma], i consoli Ottavio e Merula fortificavano la città [Roma] con fossati, restauravano le mura e vi disponevano sopra delle artiglierie. Per arruolare soldati mandarono in giro messi per le altre città rimaste loro ancora fedeli e per la vicina Gallia [Cisalpina]; chiamarono anche Gneo Pompeo, che era proconsole e comandava le truppe presso l'Adriatico, perché venisse al più presto in aiuto alla capitale. […]
[308] Mario, inoltre, prese Ostia e la mise a sacco, mentre Cinna mandò truppe ad occupare Rimini, perché dalla Gallia [Cisalpina], che era sottomessa, non arrivassero soldati in Roma.

NoteConsoli a metà dell’87 a.C.: L. Cornelio Merula G. Ottavio.
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LocalizzazioneI, 10.86 / 393
Traduzione[86, 393] Mentre all'esercito dei consoli arrivavano sempre nuove truppe dalle popolazioni italiche, a loro in maggioranza favorevoli, ed anche dalla Gallia che sta presso il Po [Cisalpina], nemmeno Silla restava inerte, ma inviava messi a quanti più popoli poteva dell'Italia per tirarli a sé con profferte d'amicizia, col timore, con denaro e con speranze, cosicché in tali occupazioni passò per ambedue le parti il resto dell'anno.
NoteFine 83 a.C. Consoli dell’83 a.C.: L. Cornelio Scipione Asiatico e G. Norbano.
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LocalizzazioneI, 10.87 / 396
TraduzioneCarbone, però, sorprese Metello [presso Faenza] e lo tenne assediato, finché, saputo che l’altro console, Mario [il giovane], era stato sconfitto presso Preneste in una grande battaglia, si ritirò su Rimini, assalito nella retroguardia e molestato da Pompeo.
Note82 a.C.
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LocalizzazioneI, 10.89, 91-92 / 410, 418-424
Traduzione[89, 410] Nello stesso tempo, vicino a Saturnia, Silla vinse gli avversari con un'altra parte del suo esercito e Metello, navigando verso Ravenna, si rese padrone dell'agro viritano, pianura ricca di frumento. […]
[91, 418] In quei medesimi giorni. in Favenzia Carbone e Norbano avvicinatisi, poco prima della notte, dalla via all'accampamento di Metello, sebbene restasse un'ora sola di chiaro e fitti vigneti vi fossero intorno, assai stoltamente, spinti dall'ira, si disposero a battaglia, sperando di sorprendere Metello con un'azione imprevista. [419] Sconfitti per essere il luogo e il momento sfavorevoli, e caduti in mezzo alle piantagioni, furono annientati in massa, poiché caddero circa diecimila uomini, seimila si arresero e i restanti furono dispersi, mentre soltanto mille, in ordine, poterono ripiegare su Arezzo. [420] Un'altra legione di Lucani guidata da Albinovano, udita la sconfitta, disertò a Metello, malgrado l'opposizione del generale. Il quale, non riuscendo ad impedire la diserzione, ritornò da Norbano. [421] Dopo non molti giorni, messosi d'accordo segretamente con Silla e ottenuta la promessa dell'impunità, se avesse fatto qualcosa di importante, invitò a banchetto Norbano ed i comandanti che erano con lui, Gaio Antipatro e Flavio Fimbria, fratello di quello che si era ucciso in Asia, e quanti altri ufficiali dell'esercito di Carbone erano allora presenti. Quando furono giunti, eccetto Norbano che unico non venne, Albinovano li fece uccidere tutti durante la cena e se ne fuggì presso Silla. [422] Norbano, saputo che in seguito a questo fatto Rimini e molte altre piazzeforti delle vicinanze avevano defezionato a Silla, non disponendo più fra gli amici che erano con lui di nessuno che fosse fedele e saldo come si richiede nelle sventure, imbarcatosi su di una nave privata, si diresse a Rodi. Richiestane successivamente la consegna da Silla, mentre i Rodiesi stavano deliberando sul da fare, si uccise in mezzo alla piazza. [423] Carbone inviò Damasippo a Preneste con altre due legioni, spinto dall'urgenza di liberare Mario dall'assedio: ma neppure queste poterono superare il passaggio custodito da Silla. [424] Quanti Galli abitano le terre fra Ravenna e le Alpi passarono in massa a Metello; d'altra parte Lucullo vinse altri Carboniani presso Piacenza.

NotePrimavera – estate 82 a.C. Metello, generale di Silla, dovette navigare dal Piceno a Ravenna per evitare Rimini, in mano ai partigiani di Mario e Cinna: non è chiaro quale sia il territorio viritano indicato da Appiano, forse si tratta della pianura centuriata tra Ravenna e Faenza.
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LocalizzazioneI, 13.109 / 509
TraduzioneEgli con grande coraggio scalò le Alpi, non per la via che era costata ad Annibale grandi fatiche, ma aprendone un'altra presso le sorgenti del Rodano e del Po. Questi nascono dalle Alpi non lungi l'uno dall'altro, ma l'uno scorre attraverso il territorio dei Galli Transalpini fino al mare Tirreno, l'altro al di qua delle Alpi fino all'Adriatico e riceve dai Romani il nome di Po invece di Eridano.
NoteSpedizione di Pompeo in Spagna contro Sertorio: 77 a.C.
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LocalizzazioneI, 14.117 / 544
TraduzioneE di qui verso la Gallia [Cisalpina] e gli precluse la fuga; il primo console lo inseguiva da tergo. Ma Spartaco si gettò separatamente contro l’uno [Gneo Lentulo] e l’altro [Gaio Cassio] e li vinse.
Note72 a.C.
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LocalizzazioneII, 2.13 / 49, 53
Traduzione[49] Egli [Cesare], intanto, organizzava anche giochi e cacce di animali, indebitandosi per tutto questo ben al di sopra delle sue possibilità e superando tutti i precedenti magistrati per l'allestimento, l'organizzazione e la eccezionalità dei premi; considerato ciò il popolo gli affidò il governo della Gallia Cisalpina e di quella Transalpina per cinque anni, dandogli quattro legioni. […]
[53] Chiamato a testimoniare, Cesare non formulò accuse, ma anche allora indicò Clodio come tribuno della plebe' per rovinare Cicerone il quale già andava dicendo che l'accordo dei tre portava al potere assoluto di uno solo. In tal modo governavano i loro sentimenti secondo i vantaggi privati: beneficavano un nemico per difendersi da un altro. Sembra che Clodio per primo abbia restituito il favore a Cesare aiutandolo a ottenere il governo della Gallia.

NoteFine 59 a.C.
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LocalizzazioneII, 3.17-18 / 61-63, 65
Traduzione[17, 61] Cesare, compiute tra i Celti e i Britanni molte gloriose imprese che ho esposto nella parte relativa ai Celti, colmo di denaro venne nella Gallia prossima all'Italia, cioè quella attorno all'Eridano, per far riposare un poco l'esercito dopo le continue guerre. [62] Di lì egli mandava a Roma molte ricchezze a molte persone, e i magistrati dell'anno, uno dopo l'altro, lo venivano a trovare, così come gli altri personaggi che partivano per assumere il comando di province o di eserciti, tanto che talora aveva attorno a sé centoventi littori, e più di duecento senatori, alcuni venuti per ringraziarlo di ciò che già avevano avuto, altri per ottenere del denaro, altri ancora per chiedere qualcosa del genere. Ormai tutto si faceva tramite lui, per via del grande esercito che aveva, e della ampiezza dei mezzi, e per il cordiale impegno nei riguardi di tutti. [63] Vennero a lui anche Pompeo e Crasso, colleghi di potere, e insieme decisero che Pompeo e Crasso avrebbero di nuovo assunto il consolato, e a Cesare sarebbe stato prorogato per un altro quinquennio. il governo delle province sulle quali già governava. […]
[18, 65] Non appena furono eletti consoli, Pompeo e Crasso, come avevano promesso, rinnovarono a Cesare l'incarico in Gallia per cinque anni, e si divisero tra loro le province e i relativi eserciti: Pompeo scelse la Spagna e l’Africa nelle quali mandò suoi amici mentre egli restava in Roma, Crasso invece si prese la Siria e le zone ad essa vicine, per desiderio di portare la guerra contro i Parti, convinto che fosse impresa facile, onorifica e vantaggiosa sul piano economico.

Note56 a.C. La base di Cesare in Gallia Cisalpina era Ravenna, ma gli accordi decisivi furono siglati a Lucca.
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LocalizzazioneII, 4.25 / 96-97
Traduzione[96] Molti esuli andavano in massa da Cesare e lo consigliavano di guardarsi da Pompeo che, a loro giudizio, soprattutto per lui aveva introdotto la legge contro la corruzione; ma Cesare li confortava per i loro fastidi, e parlava bene di Pompeo; comunque indusse i tribuni della plebe a proporre una legge che gli consentisse di presentare in assenza la sua candidatura per un secondo consolato. Questa legge fu approvata mentre era console Pompeo, il quale non mosse alcuna opposizione. [97] Cesare pero, sospettando che il senato si sarebbe opposto e temendo di cadere in balia dei nemici se fosse diventato un privato cittadino, escogitava il modo di mantenere il potere fin quando fosse stato eletto console; chiese perciò al Senato di ottenere una piccola proroga al suo potere sulla Gallia o almeno su una parte d’essa. Si oppose Marcello, divenuto console dopo Pompeo; raccontano che Cesare, battendo la mano sull'elsa della spada, abbia detto a chi glielo riferiva: «Questa me la darà».
NoteMarzo 51 a.C. Terzo consolato di Pompeo: 52 a.C. Consolato di M. Claudio Marcello: 51 a.C.
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LocalizzazioneII, 5.32-35 / 124-129, 133-134, 136-138
Traduzione[32, 124] Cesare aveva da poco attraversato l'Oceano tornando dalla Britannia, e muovendo dalla Gallia [Transalpina] sul Reno con cinquemila Fanti e trecento cavalieri, superate le Alpi, scendeva verso Ravenna che era l'ultima città della sua provincia, al confine con l'Italia. [125] Accolto amichevolmente Curione e ringraziatolo per quanto aveva fatto, considerò con lui la situazione del momento. Curione era dell'idea di raccogliere ormai tutto l'esercito e muovere verso Roma, Cesare invece credeva opportuno tentare ancora un accordo. [126] Quindi raccomandò agli amici di pattuire per conto suo un accomodamento a queste condizioni: egli avrebbe lasciato le altre province e gli eserciti ma si sarebbe tenuto, fino alla sua elezione al consolato, due sole legioni e l'Illirico con la Gallia Cisalpina. [127] Sembrava che a Pompeo ciò bastasse, ma si opposero i consoli; Cesare allora scrisse una lettera che Curione, dopo aver percorso in tre giorni tremilatrecento stadi [ca. 586 km], consegnò ai nuovi consoli al loro entrare in senato il primo giorno dell'anno. [128] La lettera conteneva un orgoglioso elenco delle imprese da Cesare compiute fin dall'inizio, e l'anticipazione della volontà di deporre la sua carica contemporaneamente a Pompeo; se però quello manteneva il potere egli non si sarebbe ritirato e sarebbe venuto di fretta a vendicare la patria e se stesso. [129] Al sentir questo, tutti subito gridarono che era una dichiarazione di guerra e gli nominarono un successore in Lucio Domizio il quale uscì subito di città con quattromila uomini arruolati con la leva. […]
[33, 133] In gran fretta, nella stessa notte, essi [Curione, rientrato a Roma, e Cassio], travestiti da servi si recarono nascostamente da Cesare [a Ravenna] su una carrozza presa a nolo, e Cesare li presentò subito, così come erano, ai soldati che esasperò affermando che a Roma giudicavano nemici anche loro, soldati, che pure avevano compiuto così grandi imprese, e scacciavano in modo vergognoso uomini di tale valore che avevano osato aprir bocca in loro favore. [34, 134] La guerra era dunque scoppiata dall'una e dall'altra parte, e ormai era apertamente dichiarata; il Senato, ritenendo che l'esercito di Cesare sarebbe giunto tardi dalla Gallia [Transalpina], e che egli non si sarebbe accinto a un'impresa tanto grande con pochi soldati, ordinò a Pompeo di arruolare centotrentamila Italici, scegliendo soprattutto i veterani in quanto esperti di guerra, e di aggiungere anche i più forti mercenari, traendoli dalle nazioni vicine. […]
[136] Cesare intanto aveva sollecitato l'arrivo del suo esercito, ma poiché gli piaceva sempre stupire e impressionare con la rapidità ed il coraggio più che con la forza dell'apparato, decise di dare inizio a una guerra tanto impegnativa con soli cinquemila uomini e di occupare i punti nevralgici d'Italia. [35, 137] Mandò dunque innanzi i centurioni con pochi uomini, i più coraggiosi, in atteggiamento pacifico, perché entrassero a Rimini e subito la occupassero: questa è la prima città in Italia per chi viene dalla Gallia [Cisalpina]. [138] Egli stesso, verso sera, come se stesse poco bene, si ritirò dalla cena lasciando gli amici ancora a tavola, e salito su una carrozza venne a Rimini, seguito a distanza dai cavalieri.

NoteAutunno 50 a.C. – 10 gennaio 49 a.C. Consoli del 50 a.C.: L. Emilio Paolo e G. Claudio Marcello (minore). L’incontro tra Cesare e Curione è avvenuto nel dicembre 50 a.C. forse tra Piacenza e Fiorenzuola d’Arda. Consoli del 49 a.C.: L. Cornelio Lentulo Crure e G. Claudio Marcello (maggiore).
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LocalizzazioneII, 6.41 / 164-166
Traduzione[164] Ruppe però le porte del tesoro pubblico minacciando di morte Metello, il solo tribuno della plebe che intendeva contrastarlo; in tal modo si prese il tesoro intoccabile che, a quanto dicono, era stato là depositato in antico, al tempo dei Galli, con il pubblico vincolo sacro che non lo si intaccasse per nessun motivo, a meno non incombesse una guerra contro i Galli. Ma Cesare disse di avere sciolto egli stesso la città da quel sacro vincolo, poiché aveva vinto i Galli proprio per garantirle una assoluta tranquillità. [165] Affidò poi Roma a Emilio Lepido e l'Italia, con l'esercito che la presidiava, al tribuno Marco Antonio. Per il governo delle province esterne scelse per la Sicilia Curione, al posto di Catone, e per la Sardegna Quinto; in Illiria mandò Gaio Antonio e a Licinio Crasso affidò la Gallia Cisalpina. [166] Dispose anche che si allestissero rapidamente due flotte: ma per lo Ionio e una per il Tirreno, e ne affidò il comando, mentre ancora erano in allestimento, a Ortensio e Dolabella.
Note49 a.C. Il tempo dei Galli è la presa di Roma del 390 a.C. Emilio Lepido e Marco Antonio sono i futuri triumviri. La flotta dello Ionio è predecessore di quella stanziata a Classe.
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LocalizzazioneII, 16.111 / 464-465
Traduzione[464] Organizzarono la congiura [contro Cesare] soprattutto due uomini, Marco Bruto detto Cepione, figlio del Bruto ucciso al tempo di Silla, che dopo la sconfitta di Farsalo aveva trovato rifugio proprio presso Cesare, e Gaio Cassio, che aveva consegnato a Cesare le triremi nell'Ellesponto, ambedue già partigiani di Pompeo; tra gli amici più cari di Cesare stesso, anche Decimo Bruto Albino. Tutti questi erano sempre stati ritenuti degni di onore e di fiducia da parte di Cesare: [465] egli aveva assegnato loro anche grandissimi incarichi, e al momento di partire per la guerra in Africa lasciò loro delle truppe e affidò il governo della Gallia Transalpina a Decimo e della Cisalpina a [Marco] Bruto.
NoteMarzo 44 a.C. M. Giunio Bruto fu governatore della Cisalpina nel 46 a.C.
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LocalizzazioneII, 17.124 / 518-519
Traduzione[518] Antonio e Lepido volevano vendicare Cesare, come ho già detto, sia per amicizia che per i vincoli del giuramento, sia anche perché aspiravano al potere e pensavano che tutto per loro sarebbe stato più facile se subito avessero tolto di mezzo tali uomini di così accentuato potere; temevano però i loro amici e parenti oltre al resto dei senatori che propendevano dalla loro parte, soprattutto Decimo, scelto da Cesare a governare la vicina Gallia Cisalpina, ove si trovava un forte esercito. [519] Decisero alla fine di attendere ancora lo sviluppo degli eventi e tentare, se possibile, di trarre dalla loro parte l'esercito di Decimo, ormai avvilito per le fatiche che non finivano mai.
NoteAprile 44 a.C. D. Giunio Bruto fu governatore della Cisalpina nel 44-43 a.C.
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LocalizzazioneIII, 1.2 / 4
TraduzioneDi essi [i Cesaricidi] alcuni erano fuggiti dalla città; quelli in particolare che avevano ricevuto dallo stesso Cesare incarichi in provincia erano andati a occupare le loro sedi: Decimo Bruto nella Gallia confinante con l'Italia [Cisalpina]; Trebonio nell'Asia Ionica; Tillio Cimbro in Bitinia.
NoteAprile 44 a.C. D. Giunio Bruto fu governatore della Cisalpina nel 44-43 a.C.
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LocalizzazioneIII, 4.27, 29-5.31 / 102-104, 112-122
Traduzione[27, 102] Antonio meditava di trasferire l'esercito dalla Macedonia in Italia, e non avendo altra motivazione per questo disegno, chiese al Senato che in luogo della Macedonia gli desse come provincia la Cisalpina, governata da Decimo Bruto Albino; sapeva che di qui era mosso Cesare per sconfiggere Pompeo, ma voleva dare a vedere che richiamava l'esercito per portarlo non in Italia ma nella Cisalpina. [103] I senatori, considerando questa provincia una roccaforte contro di loro, se ne ebbero a male e, accortisi allora per la prima volta dell'insidia di Antonio, si pentirono di avergli concesso la Macedonia. Privatamente poi i più autorevoli mandarono a dire a Decimo di tenersi saldamente alla provincia, e di raccogliere un altro esercito e altri mezzi nel caso Antonio avesse fatto ricorso alla forza: tanto erano stati presi da paura e da astio contro di lui. [104] Ma Antonio pensò di chiedere la Cisalpina con una proposta di legge anziché al Senato al popolo, seguendo la procedura con la quale l'aveva ottenuta un tempo Cesare, e recentemente Dolabella nel caso della Siria; per incutere timore ai senatori ordinò al fratello Gaio di trasferire subito l'esercito al di qua dell'Adriatico, a Brindisi. […]
[29, 112] I tribuni della guardia del corpo di Antonio, che erano stati soldati di Cesare e che in quel momento erano molto considerati da Antonio, gli chiesero di frenare la sua intemperanza sia per loro sia per se stesso, dato che anch'egli [Ottaviano] era stato soldato di Cesare e da lui aveva avuto le cariche che attualmente rivestiva. [113] Antonio, riconoscendo la fondatezza di questa affermazione, e provando rispetto per chi la esponeva, anche perché per ottenere la Cisalpina aveva bisogno dello stesso Ottaviano, influente sul popolo, assentì a quanto gli si diceva, e giurò che non erano assolutamente quelle le sue intenzioni, ma che il suo animo era mutato a causa dell'atteggiamento del giovane che, nonostante l'età, si dava delle arie in modo odioso e non aveva né rispetto né considerazione per chi era più anziano e magistrato. [114] Un comportamento del genere esigeva delle rampogne nell'interesse dello stesso giovane; ma per rispetto a loro che gli avanzavano simili richieste egli avrebbe contenuto la sua ira e sarebbe tornato alla disposizione e all'atteggiamento di prima, se anche l'altro avesse cessato di essere intemperante.
[30, 115] I tribuni, lieti di queste affermazioni, fecero incontrare i due che si rinfacciarono i reciproci torti, e poi si riconciliarono. Subito fu proposta la legge per la Cisalpina, con grande timore dei senatori che decisero di impedirne la discussione se Antonio l'avesse presentata in senato, e di mandare i tribuni a frapporre il veto se l'avesse presentata al popolo senza precedente discussione in senato. C'erano anche quelli che proponevano di concedere la piena libertà a quella provincia, tanto temevano la vicinanza della Cisalpina! [116] Antonio da parte sua li accusava di affidarla a Decimo perché aveva ucciso Cesare, e di negarla a lui perché non aveva ucciso colui che aveva vinto e soggiogato quella provincia; ormai apertamente rinfacciava questo a tutti i senatori, che incolpava di compiacersi di quanto era accaduto. [117] Giunto il giorno fissato, il Senato riteneva che si sarebbero riuniti i comizi tributi, mentre invece Antonio, fatto cingere di funi il foro quando ancora era notte, convocò i comizi centuriati che si riunirono secondo l'accordo. [118] Il popolo minuto, per quanto maldisposto verso Antonio, lo appoggiò per un favore a Ottaviano che stava all'ingresso del luogo delle votazioni e sollecitava il voto; lo faceva innanzitutto perché non ottenesse il governo di una provincia importante e dell'esercito Decimo, uno degli uccisori di suo padre, ma anche perché voleva favorire Antonio con il quale si era riconciliato. Dal canto suo egli si aspettava di ottenere qualcosa in cambio da Antonio. [119] La legge fu approvata perché i tribuni erano stati corrotti dal console e non aprirono bocca e l'esercito, con una motivazione ormai valida, attraversò l'Adriatico per venire da Antonio. [31, 120] Poiché era morto un tribuno della plebe, nell'elezione suppletiva Ottaviano appoggiava Flaminio e il popolo, ritenendo che egli aspirasse a quella carica ma non presentasse la candidatura per la sua giovane età, pensò di eleggerlo tribuno con i suoi voti. [121] I senatori erano invidiosi di questa sua promozione e temevano che, una volta divenuto tribuno, citasse in giudizio dinanzi al popolo gli uccisori del padre; Antonio dal canto suo, incurante della recente riconciliazione, o che lo facesse in grazia o a conforto del Senato seccato per la legge sulla Cisalpina, o per autonoma decisione, nella sua qualità di console diffidò Ottaviano dal tentare di compiere qualcosa contro la legge: in caso contrario egli avrebbe usato tutto il suo potere contro di lui. [122] Questa dichiarazione era irriconoscente nei riguardi di Ottaviano e offensiva oltre che verso di lui anche verso il popolo, il quale si adirò fortemente; si prevedevano disordini ai comizi elettorali, cosicché Antonio ne ebbe paura e annullò le elezioni accontentandosi dei tribuni che erano rimasti.

NoteMaggio-giugno 44 a.C. La legge sulla Cisalpina era la “lex de permutatione provinciarum” che doveva essere discussa nella seduta del 1 giugno 44 a.C.: l’assemblea che la approvò si tenne tra 2 e 3 giugno. Il console era M. Antonio, rimasto senza collega alla morte di Cesare.
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LocalizzazioneIII, 5.37-38 / 150-153
Traduzione[37, 150] [Antonio:] «Fatto questo mi restava ancora vicino uno degli uccisori di Cesare, Decimo Bruto, governatore anch'egli di una provincia importante, con un esercito numeroso; sapendo che costui era ancor più animoso, gli tolsi la Cisalpina, promettendogli in cambio, per salvare le forme dinanzi al Senato, la Macedonia privata dell'esercito. [151] Il Senato si irritò perché ormai capiva l'insidia, e voi sapete che tipi di lettere, e quante, molti senatori scrivono a Decimo, e come mi aizzano contro i consoli che verranno dopo di me; ma io con maggiore ostinazione decisi di ottenere questa provincia non dal Senato ma dal popolo, con una legge, e ho fatto passare l'esercito dalla Macedonia a Brindisi, per servirmene in caso di emergenza. E con il favore degli dèi ne useremo secondo necessità. [38, 152] Così da uno stato di grande timore che prima ci opprimeva, siamo passati a una condizione di sicurezza per le nostre persone e a fiducia di fronte ai nemici; quando ciò si è appalesato, è apparso anche l'impegno della maggior parte dei senatori contro i nemici. [153] Considerate infatti come si pentono di quanto hanno deliberato, come si danno da fare per togliermi la Cisalpina che mi è stata concessa. Voi sapete che cosa scrivono a Decimo e quanto insistono presso i consoli miei successori per cambiare il decreto sulla Cisalpina».
NoteNovembre 44 a.C. I consoli per il 43 a.C. sono A. Irzio e G. Vibio Pansa.
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LocalizzazioneIII, 6.42-7.43-46 / 174, 176-177, 183-184, 187, 189-90
Traduzione[42, 174] E poiché la massa [dei soldati] è incostante cambiarono parere e, utilizzando a loro vantaggio il pretesto che avevano addotto, si armarono e tornarono da lui [Ottaviano]. Egli intanto con altro denaro si muoveva intorno a Ravenna e ai luoghi vicini, arruolando continuamente soldati che mandava tutti quanti ad Arezzo. […]
[43, 176] Ma egli [Antonio], adirato per questo loro silenzio [dei soldati], non si contenne e li accusò di non essere grati a lui che li aveva trasferiti dall'impresa contro i Parti in Italia, e di non dimostrarglielo; li rimproverava altresì di non portargli davanti gli uomini mandati per corromperli da un giovanetto precipitoso (così definiva Ottaviano). [177] Comunque li avrebbe trovati lui, e quanto all'esercito lo avrebbe condotto nella fertile provincia della Cisalpina che gli era stata attribuita; a ognuno dei presenti sarebbero state date cento dramme. I soldati gli risero in faccia per la sua taccagneria e alle sue espressioni irose risposero intensificando le grida e lasciandolo lì. Egli balzò in piedi e se ne andò dicendo soltanto questo: «Imparerete a ubbidire». (...)
[183] Comunque egli [M. Antonio], forse ancora adirato per la sommossa, forse per altri sospetti, sostituì i tribuni; invece trattò bene i soldati, di necessità, e li mandò avanti a scaglioni lungo la litoranea verso Rimini. [184] Costituita poi per sé una coorte pretoria con uomini molto validi nel fisico e nel carattere, scelti tra tutto l'esercito, si diresse a Roma per salire poi di lì a Rimini. Entrò in città in modo molto fastoso, dopo aver lasciato nel campo dinanzi alle mura lo squadrone dei cavalieri, e recando con sé la sua guardia del corpo in armi, che di notte era di presidio alla sua casa, con parola d'ordine e con turni di guardia, come in un accampamento. (...)
[45, 187] Dalle mura [di Alba, i disertori di Antonio] essi lo prendevano di mira con le frecce, ed egli se ne venne via e mandò alle altre legioni cinquecento dramme a testa, e con i soldati che aveva partì per Tivoli con il paludamento usuale per chi esce per andare alla guerra: di fatto era chiaramente guerra, giacché Decimo non intendeva lasciare la Cisalpina. (...) [189] Il console [M. Antonio], dunque, con tale splendida cerimonia muoveva verso Rimini, da dove ha inizio la Cisalpina; a non contare le reclute il suo esercito era costituito dalle tre legioni fatte venire dalla Macedonia (era ormai giunta anche l'altra) e da una di veterani che, per quanto vecchi, sembravano al doppio migliori delle reclute. [190] Egli aveva dunque quattro legioni d'uomini addestrati, oltre alle usuali milizie ausiliarie, la guardia del corpo e le reclute. Sembrava che si sarebbero schierati con lui Lepido, che aveva in Spagna quattro legioni, Asinio Pollione con due e Planco con tre nella Gallia Transalpina.

NoteOttobre-novembre 44 a.C. L’ammutinamento delle legioni ad Alba contro Antonio avviene il 28 novembre 44 a.C.
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PASSO
LocalizzazioneIII, 8.49 / 198-201
Traduzione[198] Questi i fatti in Italia. Nella Gallia Cisalpina intanto Antonio ordinò a Decimo Bruto di passare in Macedonia in ossequio al popolo e per sua sicurezza. Bruto a sua volta gli mandò la lettera del Senato per fare intendere che egli non doveva piegarsi al volere del popolo più di Antonio al volere del Senato. [199] Antonio allora gli fissò subito un termine dopo il quale lo avrebbe trattato da nemico, e Bruto gli consigliò di determinarne per sé uno più lontano nel tempo, per non diventare troppo presto nemico per il Senato. Antonio allora, che agevolmente avrebbe avuto ragione di Bruto che era ancora in campo aperto, decise di muovere verso le città, le quali gli aprirono le porte. [200] Decimo, temendo di non potere più rifugiarsi in alcuna di esse, simulò che gli fosse giunta una lettera dal Senato che lo richiamava a Roma con l'esercito, e levato il campo si mise in marcia verso l'Italia, accolto da tutte le città come uno di passaggio. Ma quando fu a Modena, città ricca, chiuse le porte, confiscò tutte le provviste dei modenesi per mantenere il suo esercito, uccise tutti gli animali che c'erano e li mise sotto sale, per timore di un lungo assedio, e attese Antonio. [201] Il suo esercito era formato da un gran numero di gladiatori e da tre legioni, delle quali una era di uomini arruolati da poco e ancora inesperti, due invece, già da tempo ai suoi ordini, gli erano fedelissime. Allora Antonio marciò contro di loro con ira, scavò un fossato attorno a Modena e la cinse d'assedio.
NoteDicembre 44 a.C.
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PASSO
LocalizzazioneIII, 8.50-53, 55, 59-60 / 202-203, 207-209, 217, 219-220, 225-228, 244, 247
Traduzione[50, 202] Mentre Decimo era assediato, a Roma, il primo giorno dell'anno entrarono in carica i consoli Irzio e Pansa, e subito dopo il sacrificio riunirono il Senato nello stesso tempio per discutere di Antonio. [203] Cicerone e i suoi amici chiesero che ormai lo si dichiarasse nemico, giacché contro il volere del Senato si prendeva con la forza la Cisalpina facendone un baluardo contro la patria, e aveva trasferito in Italia l'esercito affidatogli per le operazioni contro i Traci. […]
[51, 207] I ciceroniani allora insultarono con violenza plebea Salvio, e usciti dal tempio gli eccitavano contro il popolo, chiamandolo a render conto del suo operato. Egli, imperturbabile, si accingeva a uscire ma lo trattennero i senatori che temevano facesse mutare l'atteggiamento dei cittadini ricordando loro Antonio. [208] Essi infatti non ignoravano che si accingevano a condannare un uomo di prestigio senza processo, né che proprio il popolo gli aveva concesso la Cisalpina; ma temendo per i congiurati, erano adirati con lui che per primo, dopo l'amnistia, aveva agitato le acque contro di loro. Perciò si valevano contro di lui anche di Ottaviano, il quale dal canto suo, pur comprendendo tutto, desiderava anch'egli preliminarmente eliminare Antonio. [209] Queste le ragioni per le quali i senatori erano irritati contro Antonio. Rimandata la votazione secondo il volere del tribuno della plebe, decisero comunque di lodare Decimo per non aver ceduto ad Antonio la Cisalpina, e che Ottaviano fosse associato a Irzio e Pansa con l'esercito che aveva, che gli venisse eretta una statua d'oro, che intervenisse in Senato prendendo la parola tra gli ex-consoli, che potesse presentare la candidatura al consolato dieci anni prima del termine legale, e inoltre che l'erario pubblico pagasse alle legioni di Antonio, passate a lui, una somma pari a quella che Ottaviano aveva promesso di dare loro in caso di vittoria. […]
[52, 217] [Cicerone:] «Ma Ottaviano lo [M. Antonio] prevenne con un altro esercito, ed egli ebbe paura e si volse verso la Cisalpina, come a base opportuna donde muovere verso di noi, perché anche Cesare mosse di là per farsi nostro tiranno. […] [53, 219] Perciò chi ne ebbe la possibilità lo abbandonò, e voi, senatori, ieri avete assegnato loro dei premi ritenendo che abbiano agito bene; quelli invece che non poterono andarsene costretti dalla paura sono complici dei suoi delitti, e marciano contro la vostra terra come dei nemici e cingono d'assedio il vostro esercito e il vostro pretore cui voi raccomandate di stare nella Cisalpina, mentre Antonio gli dà ordine di uscirne. [220] Dunque siamo noi che dichiariamo con un voto che Antonio è nemico dello Stato, oppure è Antonio che già ci fa guerra? Il nostro tribuno ancora non lo sa, certo, e non lo saprà fino a quando, caduto Decimo, quella regione a noi confinante, così grande, e oltre alla regione l'esercito di Decimo diventerà di An¬tonio per accrescere le sue speranze contro di noi. Allora, a quanto sembra, il tribuno lo dichiarerà nemico, quando sarà più potente di noi». […]
[55, 225] [Pisone:] «Non siamo stati noi ad attribuire la Cisalpina ad Antonio; gliela diede il popolo con una legge, proprio alla presenza di Cicerone, come ne concesse spesso altre, o questa stessa, prima, a Cesare. [226] È scritto nella legge che Antonio entrando nella provincia a lui assegnata combatta contro Decimo se non gliela cede, e trasferisca l'esercito dai Traci, che non si muovono, in Cisalpina contro chi gli si oppone. [227] Cicerone però non ritiene nemico Decimo che impugna le armi contro la legge, e tale invece Antonio, che lotta per farla rispettare. [228] E se incolpa la legge in sé, ne incolpa gli autori; ma doveva far cambiare loro parere, e non insultarli dopo che con loro l'ha emanata; né doveva affidare la provincia a Decimo, che il popolo scacciò per l'uccisione di Cesare, o contestare ad Antonio ciò che il popolo gli ha concesso. […] [59, 244] Ma come si potrà fare questo? Se lasciamo che Antonio si abbia la Cisalpina, con un pretesto o per compiacere il popolo, e se richiamiamo qui Decimo con le sue tre legioni e lo mandiamo poi in Macedonia, trattenendoci le legioni. […] [60, 247] Consiglio anche di tenere conto del popolo che poco fa si è scagliato contro gli uccisori di Cesare, affinché non sembri che, non considerandolo per niente, noi diamo ai congiurati le province e lodiamo Decimo proprio perché non rispetta una legge del popolo, mentre dichiariamo nemico Antonio perché ha ricevuto dal popolo la Cisalpina».

Note1-3 gennaio 43 a.C.: dibattito in senato riguardo al comportamento da tenere con M. Antonio. I consoli per il 43 a.C. sono A. Irzio e G. Vibio Pansa.
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PASSO
LocalizzazioneIII, 8.61-62-9.64 / 249-252, 254-257, 261
Traduzione[61, 249] Così Pisone difese Antonio, biasimando e insieme incutendo timore, e fu certamente la cagione prima del non dichiarare Antonio nemico pubblico. Non ottenne però che gli si lasciasse la Cisalpina; infatti gli amici e i parenti degli uccisori di Cesare lo impedirono per timore che, finita la guerra e riconciliatosi con Ottaviano, egli perseguisse i cesaricidi; per questo cercavano di fare in modo che Ottaviano e Antonio fossero sempre tra loro discordi. [250] Comunque stabilirono di offrire ad Antonio la Macedonia invece della Cisalpina; quanto alle altre disposizioni, o che lo facessero di proposito, o che procedessero con troppa superficialità, diedero incarico a Cicerone di scriverle e di consegnarle ai messi. [251] Cicerone, travisando l'idea del Senato, scrisse: «Antonio si allontani subito da Modena e lasci la Cisalpina a Decimo, e venuto entro un determinato giorno al di qua del Rubicone, che è confine tra l'Italia e la Cisalpina, si affidi al Senato in tutto ciò che lo riguarda». [252] Così, con tono provocatorio e in modo non corrispondente a verità, Cicerone scrisse gli ordini del Senato, per quanto non preesistesse tra loro una così grande inimicizia, ma, a quanto sembra, il demone turbava lo Stato preparando la rivoluzione e meditava sventure per lo stesso Cicerone […]
[62, 254] I messi inviati ad Antonio, vergognandosi dell'asprezza dei loro messaggi, senza far parola gli consegnarono lo scritto. Antonio, in preda all'ira, sbottò in molte accuse contro Cicerone e contro senatori, manifestando il suo stupore perché essi consideravano tiranno o re Cesare, che aveva procurato grandissimi vantaggi alle Stato romano, e non invece Cicerone, che Cesare aveva fatto prigioniero e non ucciso, mentre ora egli preponeva agli amici di Cesare suoi uccisori; «mentre odiava Decimo quando era amico di Cesare, lo ama ora, dopo che ne è stato l'assassino; appoggia chi dopo la morte di Cesare ha ottenuto la Cisalpina da nessun potere legittimo, mentre combatte chi l'ha ottenuta dal popolo. [255] Alle legioni che, a me affidate, mi hanno tradito, egli dà donativi, e non a quelle rimaste fedeli, e così rovina l'esercito non a danno mio, ma della città [256] Agli uccisori ha concesso l'amnistia e su di essa anch'io sono stato d'accordo per due persone rispettabili; ma considera nemici noi due, Antonio e Dolabella, perché ci teniamo quel che ci fu assegnato. Questa è la vera causa del suo comportamento: se lascio la Cisalpina non sono considerato né nemico né tiranno. Comunque dico questo: annullerò l'amnistia che non è gradita». [63, 257] Dopo molte espressioni del genere, Antonio diede riscontro al decreto affermando che avrebbe in tutto obbedito al Senato come alla patria; a Cicerone, estensore degli ordini, rispondeva così: «Il popolo mi ha dato la Cisalpina con una legge e io combatterò Decimo che non obbedisce alla legge, e a lui solo per tutti farò pagare il fio per l'assassinio, affinché sia libero dal sacrilegio anche il Senato che ora ne è infetto per via di Cicerone alleato di Decimo». […]
[64, 261] Così, colta rapidamente l'occasione, il Senato rese preminente la posizione di Bruto e Cassio; Ottaviano, informato di queste decisioni, si trovò in difficoltà. Riteneva che la concessione dell'amnistia era stata una bella dimostrazione di umanità e di pietà verso uomini della stessa classe e dello stesso sangue; che le assegnazioni di province di scarso rilievo avevano garantito loro la sicurezza; il confermare poi a Decimo la Cisalpina era apparso segno del contrasto con Antonio per la sua aspirazione al potere assoluto, lo stesso motivo per il quale proprio lui veniva spinto contro Antonio.

NoteGennaio-febbraio 43 a.C.
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PASSO
LocalizzazioneIII, 10.71-73 / 290-301
Traduzione[290] Il giorno successivo tornarono tutti nell'accampamento di Modena. Antonio dopo un tale smacco aveva intenzione di non attaccare più i nemici in battaglia e nemmeno di rispondere a un attacco, ma soltanto di molestarli giornalmente con la cavalleria finché Decimo, del tutto logorato dall'inedia si arrendesse; d'altra parte Irzio e Pansa intendevano proprio per questo affrettare lo scontro decisivo. [291] Poiché però Antonio, per quanto essi schierassero l'esercito a battaglia, non faceva uscire i suoi, i consoli mossero verso la parte opposta della città, non protetta per l'impraticabilità dei luoghi, con l'intenzione di entrarvi a forza con il grosso dell'esercito. Antonio li attaccò, anche allora con i soli cavalieri. [292] Anche Irzio e Pansa lo contrastarono con la sola cavalleria, mentre il resto dell'esercito procedeva verso l'obiettivo scelto. Allora Antonio, temendo per la città, mandò in campo due legioni, e gli avversari operata con piacere una conversione, diedero inizio alla battaglia. [293] Antonio fece venire dagli altri campi altre legioni, che però venivano lentamente perché chiamate all'improvviso e da lontano; nella battaglia prevalsero i soldati di Ottaviano, e Irzio addirittura entrò nel campo di Antonio e morì combattendo nei pressi della tenda del comandante. [294] Ottaviano irruppe di forza nel campo, ne raccolse il corpo e tenne la posizione finché fu respinto, di lì a poco, da Antonio. I due eserciti pernottarono in armi. [295] Incappato in questa seconda sconfitta, subito dopo la battaglia Antonio si consigliò con gli amici. Alcuni ritenevano opportuno che egli si attenesse al piano primitivo mantenendo l'assedio di Modena e non venendo a battaglia: tutti e due avevano avuto perdite; Irzio era morto e Pansa era malato; essi erano superiori per la cavalleria; Modena era giunta allo stremo per la fame e presto si sarebbe arresa. [296] Questo il parere degli amici, ed era il miglior consiglio. Ma Antonio (già la divinità gli offuscava la mente) temeva che Ottaviano, con un altro tentativo come il precedente entrasse in Modena, oppure tentasse di cingerla di mura tutt'attorno, dato che aveva un numero maggiore di operai, «nel qual caso», diceva, «divenuti inutili anche i cavalieri, Lepido e Planco non faranno più alcun conto di me sconfitto. [297] Se invece ci allontaneremo da Modena, ci raggiungerà subito Ventidio con le tre legioni del Piceno e Lepido e Planco coopereranno decisamente con lui». Questo disse Antonio, che era certamente uomo coraggioso nei pericoli, e immediatamente levò il campo e si mise in marcia in direzione delle Alpi. [298] Decimo, liberato dall'assedio, cominciò a temere Ottaviano che considerava nemico da quando erano scomparsi i consoli. Perciò, prima che facesse giorno, tagliò i ponti sul fiume e mandatigli alcuni messi su una barca, gli diede atto di essere stato la causa della sua liberazione, ma lo pregò di venire a colloquio con lui in presenza di cittadini tenendo in mezzo il fiume: lo avrebbe convinto che un demone lo aveva fuorviato quando da altri era stato trascinato nella congiura contro Cesare. [299] Ai messi Ottaviano rispose con ira rifiutando la riconoscenza che Decimo gli manifestava («non sono venuto per salvare Decimo, ma per combattere Antonio con il quale forse sarà possibile che prima o poi io mi riconcilii; il mio carattere non mi consente neppure di guardare in faccia Decimo o di parlargli; comunque sia salvo finché a quelli di Roma così sembra bene»); [300] Decimo, quando lo seppe, si pose dinanzi al fiume e chiamando per nome Ottaviano, gli lesse a gran voce la lettera del Senato che gli concedeva il governo della Cisalpina, gli vietò di passare il fiume e andare in una provincia non sua senza i consoli, e di operare ancora contro Antonio: sarebbe bastato lui all'inseguimento. [301] Ottaviano sapeva che a tale atteggiamento altezzoso egli era indotto dal Senato, e, pur potendo ridurlo in suo potere solo che lo avesse voluto, per il momento lo risparmiò; venuto a Bologna, presso Pansa, scrisse al Senato una relazione generale sui fatti. Anche Pansa mandò un messaggio.
NoteFine aprile 43 a.C.
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LocalizzazioneIII, 14.97-98 / 401, 407-408
Traduzione[97, 401] [Decimo Giunio Bruto coi resti del suo esercito dalla Gallia Transalpina] non fuggì per la zona al di qua delle Alpi, ma verso Ravenna o Aquileia; poiché però lì si muoveva Ottaviano, pensò a una via più lunga e disagevole, e cioè attraversare il Reno [germanico] e passare attraverso le zone più selvagge dei barbari. [...] [98, 407] Turbato da quel mutamento di fortuna, Antonio non ebbe cuore di andarlo a vedere, e fece dire a Camilo [capo celta oltre Reno] di ucciderlo [Decimo Giunio Bruto, suo prigioniero] e di mandargli la testa; quando la ricevette diede ordine ai presenti di seppellirla. [408] Così morì Decimo, che era stato il capo della cavalleria di Cesare e governatore della Gallia Cisalpina, designato per l'anno successivo console e governatore della Transalpina. Egli fu il secondo, dopo Trebonio, tra gli uccisori di Cesare a scontare la pena, un anno e mezzo dopo il fatto.
NoteOttobre-novembre 43 a.C.
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LocalizzazioneIV, 1.2-3 / 4-7, 10-11
Traduzione[4] Cesare e Antonio per ristabilire un rapporto di amicizia si incontrarono nei pressi di Modena su un'isoletta piccola e piatta del fiume Lavino, ciascuno con cinque legioni che schierarono le une di fronte alle altre; poi mossero tutti e due, con trecento uomini, verso i ponti sul fiume. [5] Lepido in persona passò per primo sull'isola per fare un'ispezione, e con la clamide fece segno ai due di avanzare; essi lasciarono sugli argini i trecento soldati con i loro amici, vennero al centro dell'isola, in luogo da ogni parte visibile, e si sedettero; prese posto per primo, al centro, Cesare, per la sua carica di console. [6] L'incontro si protrasse per due giorni, dall'alba al tramonto, e queste furono le decisioni prese: Cesare deponeva il consolato a favore di Ventidio che l'avrebbe sostituito per il resto dell'anno; per ricostituire lo stato e farlo uscire dalle guerre civili si istituiva una nuova “magistratura, con potere analogo a quello dei consoli”, da attribuire per cinque anni a Lepido, Antonio e Cesare. Fu deciso di introdurre questa nuova titolatura, invece del termine “dittatura”, forse per rispetto della legge di Antonio che vietava che continuasse a esistere un dittatore. [7] I triumviri dovevano subito nominare i magistrati annuali della Città per un quinquennio, e dividersi gli incarichi in provincia: Antonio assumeva il governo dell'intera Gallia ad esclusione della zona vicina ai Pirenei, denominata Gallia antica; di questa, e della contigua Spagna, assumeva il governo Lepido; a Cesare toccavano l'Africa, la Sardegna, la Sicilia e tutte le isole vicine. (...) [10] E intanto alimentavano nell'esercito la speranza di vittoria con vari donativi e con la promessa di colonie da costituire in diciotto città italiche che, spiccando sulle altre per ricchezza, feracità della terra e bellezza di edifici, sarebbero state loro distribuite in luogo di terre nemiche, come fossero state conquistate in guerra. [11] Diverse erano quelle città: le più famose erano Capua, Reggio, Venosa, Benevento, Nocera, Rimini e Ipponio.
NoteNovembre 43 a.C.
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LocalizzazioneV, 1.2-3, 6 / 4-5, 12, 25
Traduzione[4] Cassio, soprannominato Parmense, era stato lasciato da Cassio e da Bruto in Asia con navi ed esercito per raccogliere denaro. Morto Cassio e non prevedendo una fine simile per Bruto, scelse trenta navi dei Rodii, quante riteneva di poter equipaggiare, e bruciò le rimanenti, eccetto la nave sacra, perché non potessero tentare una rivolta. [5] Ciò fatto, egli prese il mare con le sue navi e quelle trenta. Clodio, inviato da Bruto a Rodi con tredici navi, avendo trovato i Rodii in rivolta (giacché anche Bruto era oramai morto), portò via la guarnigione, che era di tremila fanti, e raggiunse Cassio Parmense.[...]
[12] [Antonio e Ottaviano] Si divisero di nuovo le province, come già precedentemente, e occuparono anche quelle di Lepido: infatti fu stabilito, a richiesta di Cesare, che la Gallia Cisalpina cessasse di essere provincia, secondo l'intenzione di Giulio Cesare; Lepido, poi, era accusato di tradire per Pompeo il Triumvirato: si decise che se Cesare [Ottaviano] avesse trovato falsa l'accusa avrebbe dato a Lepido altre province in cambio. [...]
[25] Tale fu il suo [Antonio] discorso, che limitava la ricompensa a ventotto legioni di fanteria, poiché, io credo, essi [Antonio, Ottaviano e Lepido] ne avevano quarantatre quando si riunirono a Modena e fecero questa promessa: la guerra le aveva ridotte a questo numero.

NoteNovembre 42 a.C. La Gallia Cisalpina diventa parte dell’Italia con l’estensione del pomerio di Roma dal Rubicone alle Alpi.
[25] 41 a.C.

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PASSO
LocalizzazioneV, 4.33, 6.50 / 130-132, 208-209
Traduzione[33, 130] Fulvia sollecitava Ventidio, Asinio, Ateio e Caleno dalla Gallia a muovere in aiuto di Lucio e, raccolto un altro esercito, mandò Planco a condurlo in aiuto di Lucio. [131] Planco distrusse una legione di Cesare in marcia verso Roma. Mentre Asinio e Ventidio, sia pure con esitazione e pur disapprovando le intenzioni di L. Antonio, per l'insistenza a un tempo di Fulvia e di Manio, muovevano in aiuto di Lucio e si aprivano la via fra coloro che li ostacolavano, Cesare, insieme con Agrippa, si diresse loro incontro, lasciando truppe di guardia a Perugia. [132] Quelli che non si erano ancora riuniti, né procedevano con impegno, ripiegarono l'uno [Asinio] su Ravenna, l'altro a Brindisi [ma: Rimini], Planco a Spoleto. […]
[50, 208] Ed infatti, subito [dopo la caduta di Perugia], Asinio, Planco, Ventidio, Crasso e Ateio e quanti altri essendo della fazione antoniana avevano truppe non disprezzabili, ma circa tredici legioni di veterani e seimilacinquecento cavalieri, stimando che Lucio fosse stato l'elemento centrale della guerra, muovevano verso il mare, [209] ognuno per diversa via; chi a Brindisi, chi a Ravenna, chi a Taranto; gli uni per congiungersi con Murco ed Enobarbo, gli altri con Antonio. E li inseguivano gli amici di Cesare e offrivano loro condizioni di pace, e se rifiutavano li molestavano, soprattutto la fanteria. Di queste forze Agrippa persuase a passare a lui soltanto due legioni di Planco, bloccate in Camerino.

NoteDicembre 41 a.C. - febbraio 40 a.C. Asinio Pollione è attestato in Cisalpina, dove ritorna, a Ravenna.
Passo/fonti/autgreci/Appiano/appiano5-4-33,50--130-132,208-209.pdf
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PASSO
LocalizzazioneV, 9.78, 80 / 333, 338-340
Traduzione[78, 333] E [Ottaviano] invitò Antonio da Atene a Brindisi, in un giorno fissato, per consultarsi con lui circa questa guerra. Rapidamente trasferì navi da guerra da Ravenna, truppe dalla Gallia e altro equipaggiamento a Brindisi e a Dicearchia, per mettersi in mare da entrambi i porti contro la Sicilia, se anche Antonio fosse stato dello stesso parere. […]
[80, 338] Ordinò che altre triremi fossero costruite a Roma e a Ravenna, e richiamò dall'Illirico un forte esercito. E subito rese Menodoro, appena venuto, da liberto libero e delle navi che egli stesso aveva condotto gli affidò il comando, in sottordine al prefetto Calvisio. [339] Cesare aveva indugiato apparecchiando queste cose e raccogliendo quanti più poteva armamenti, e rimproverava poi Antonio di non averlo atteso; e comandava a Cornificio di trasferire da Ravenna a Taranto l'apparato bellico oramai pronto. [340] Una tempesta colse Cornificio in navigazione e sola delle navi quella ammiraglia, preparata per Cesare, fu distrutta; sembrò questo un cattivo segno per il futuro.

NotePrimavera 38 a.C. I preparativi e i consulti riguardano la guerra navale contro Sesto Pompeo.
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LocalizzazioneII, 7.47-48 / 191-196
Traduzione[191] Negli stessi giorni Antonio fu sconfitto in Illiria da Ottavio, generale di Pompeo, e un altro esercito di Cesare nei pressi di Piacenza si ammutinò: accusava i generali di rallentare le operazioni di guerra e per di più lamentava di non aver ricevuto le cinque mine che Cesare, quando ancora erano a Brindisi, aveva loro promesso come donativo. [192] Non appena ne fu informato, Cesare rapidamente venne da Marsiglia a Piacenza e presentatosi ai soldati ancora tumultuanti disse: «Voi conoscete la rapidità che uso in ogni cosa; la guerra va per le lunghe non per causa nostra, ma perché i nemici ci fuggono davanti. [193] Voi, che in Gallia avete tratto molti vantaggi dal mio comando e che vi siete impegnati con giuramento per tutta questa guerra, e non per una parte soltanto, a metà dell'impresa mi lasciate, e vi ribellate ai comandanti e pretendete di comandare a coloro dai quali dovete ricevere gli ordini. [194] Siccome ho la certezza di avere sin qui usato benevolenza nei vostri riguardi, ora, nel rispetto della tradizione patria, farò la decimazione della nona legione perché di lì ha avuto inizio la sedizione». [195] Un lamento corale si alzò da tutta la legione, e i comandanti d'essa si gettarono alle ginocchia di Cesare a supplicarlo; Cesare cedette con difficoltà, e ben poco, limitandosi a concedere soltanto questo: scegliessero per sorteggio centoventi soldati, quelli che appariva fossero stati i promotori della sedizione, e di essi ne uccidessero dodici estratti a sorte. Ma si trovò che tra questi dodici uno non era presente all'inizio della sollevazione, e perciò Cesare fece uccidere in sua vece il centurione che lo aveva indicato. [196] La ribellione di Piacenza si risolse in questo modo; Cesare venne a Roma ove il popolo, spaventato, lo elesse dittatore senza che vi fosse stato al riguardo un decreto del Senato né alcun magistrato avesse presentato una proposta formale. Egli però, o che rifiutasse quella carica come suscitatrice di odio, o che non la desiderasse, conservatala per soli undici giorni (così dicono alcune fonti), indicò come consoli per l'anno successivo se stesso e Publio Isaurico.
Note49 a.C.
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PASSO
LocalizzazioneIII, 9.65-70 / 267-268, 272-289
Traduzione[267] Con l'avanzare della brutta stagione, Decimo era ormai allo stremo per la fame, mentre Irzio e Ottaviano avanzarono verso Modena per evitare che Antonio ricevesse la resa dell'esercito di Decimo sfinito. [268] Modena era rigidamente assediata da Antonio, ma gli assediati non venivano a una battaglia decisiva perché aspettavano Pansa; c'erano comunque frequenti scontri di cavalleria poiché Antonio aveva forze di molto maggiori di quel genere, ma il disagio di operare in una pianura interrotta da corsi d'acqua gli toglieva la superiorità che derivava dal numero. Questa era la situazione attorno a Modena. (...)
[272] Ottaviano e Irzio, mentre Pansa si avvicinava con l'esercito, gli mandarono incontro Carsuleio con la coorte pretoria di Ottaviano e la legione Marzia, per aiutarlo a passare la gola. [273] Antonio non si era curato di quella, nella convinzione che non avrebbe fatto altro che impedire il passaggio: desiderando lo scontro e non potendo mettersi in mostra con la cavalleria perché la pianura era paludosa e interrotta da fossati, appostò negli acquitrini da ambedue i lati della strada, che era stretta e costruita con cura, le due legioni migliori, e le nascose nei canneti. [274] Carsuleio e Pansa attraversarono rapidamente la gola durante la notte e all'alba irruppero sulla strada, ancora sgombra di nemici, solo con i soldati della legione Marzia e altre cinque coorti. Mentre guardavano all'intorno la palude ai due lati della strada, le canne, qua e là mosse, ingenerarono sospetto; si videro brillare scudi ed elmi, ed ecco all'improvviso apparve loro di fronte la coorte pretoria di Antonio. [275] I soldati della legione Marzia, circondati da ogni parte, non potendo trovare scampo in nessuna direzione, ordinarono alle reclute di astenersi dalla lotta quando fossero venuti a contatto con i nemici, per non essere di impaccio data la loro inesperienza, e alla coorte pretoria di Antonio contrapposero quella di Ottaviano; essi stessi poi, divisisi in due nuclei, entrarono nell'una e nell'altra palude ai lati della strada sotto la guida rispettivamente di Pansa e di Carsuleio. [276] Due erano le paludi e due furono le battaglie, e siccome in mezzo c'era la strada, gli uni non conoscevano le vicende degli altri; inoltre sulla strada le coorti combattevano per loro conto un'altra battaglia. [277] L'intenzione dei soldati di Antonio era di punire, per la loro diserzione, quelli della legione Marzia che li avevano traditi; questi a loro volta volevano punire quelli per l'indifferenza di fronte alla decimazione effettuata a Brindisi. [278] Sapendo bene di costituire il nerbo dei rispettivi eserciti, speravano di risolvere tutta la guerra in questo solo scontro. Gli uni arrossivano all'idea che una sola legione ne sconfiggesse due; gli altri ambivano superare, da soli, due legioni. [279] Così si aggredirono a vicenda stimolati da ira e da ambizione personale più che dai comandanti, ritenendo che questa fosse una questione loro propria; esperti come erano, non levarono grida, convinti che non avrebbero spaventato gli avversari, e nessuno, né vinto, né vincitore, pronunciò una parola durante lo scontro. [280] Non potendo compiere conversioni né spostamenti veloci, perché si trovavano tra fossi e paludi, si affrontavano in schieramento serrato, fermi sul posto, e siccome né gli uni né gli altri riuscivano a respingere gli avversari, si intrecciavano con le spade come nella lotta. Nessun colpo andava a vuoto, ma ferite, uccisioni e gemiti, invece che grida; chi cadeva era subito portato via e un altro subentrava al suo posto. [281] Non c'era bisogno di sprone o di incitamento: ognuno per la sua esperienza era il comandante di se stesso. Quando erano stanchi, come avviene nelle gare ginniche, si separavano un poco per prendere fiato, e di nuovo riprendevano la lotta. Le reclute sopraggiunte, vedendo tutto ciò svolgersi in ordine e in silenzio, erano stupefatte. [282] Mentre dunque tutti combattevano così, al di sopra delle possibilità umane, l'intera coorte pretoria di Ottaviano fu annientata, mentre dei soldati della legione Marzia quelli agli ordini di Carsuleio prevalsero sui loro avversari che si ritiravano a poco a poco ma in modo non disonorevole; invece quelli comandati da Pansa erano ugualmente incalzati da vicino ma resistettero con forza, finché Pansa, trapassato a un fianco da un giavellotto, fu portato a Bologna. Da quel momento i suoi soldati si ritirarono, dapprima lentamente, poi, volte le spalle, più rapidamente, come in fuga. [283] Anche le reclute, a questa vista, fuggirono in disordine, urlando, verso il fossato che per loro aveva costruito il questore Torquato mentre ancora la battaglia era in corso, pensando che sarebbe stato utile. Le reclute dunque vi confluirono in disordine, nonostante fossero italici al pari di quelli della legione Marzia: tanto più efficace è l'addestramento che non la appartenenza ad una stirpe quando si tratta di estrinsecare la virtù militare. [284] Quelli della legione Marzia non entrarono nel vallo per non perdere la loro fama, ma vi si fermarono dinanzi; per quanto sfiniti bramavano tuttavia, se attaccati, combattere fino alla inevitabile fine. Ma Antonio non li attaccò, convinto che avrebbero richiesto un impegno eccessivo; si buttò sulle reclute e ne fece strage. [285] Irzio, informato a Modena della battaglia che si combatteva a sessanta stadi [ca. 11 km.] di distanza, vi si diresse di corsa con la seconda delle legioni che avevano tradito Antonio. Era già sera tarda e gli Antoniani vittoriosi ritornavano cantando il peana; dinanzi a loro scomposti e disordinati apparve Irzio con una legione intatta nel suo organico e ordinata. [286] Gli Antoniani di necessità ripresero lo schieramento di battaglia e compirono molte azioni valorose anche contro questi nemici; ma, stanchi come erano, furono sopraffatti dalle milizie fresche, e l'azione di Irzio ne annientò la maggior parte, nonostante egli non li inseguisse per timore delle paludi. L'infittirsi del buio della sera fece perdere il contatto tra i due eserciti. [287] La palude rimase piena per grandissima parte di armi, di cadaveri, di uomini feriti e morenti; alcuni erano integri nel fisico, ma così spossati che non cercavano di salvarsi. [288] I cavalieri della guardia del corpo di Antonio per tutta la notte girando nella palude li raccolsero; ne ponevano alcuni a cavallo al loro posto, ne caricavano altri con sé oppure li esortavano ad attaccarsi alla coda dei cavalli e correre loro accanto, aiutandosi per salvarsi. [289] Così Antonio, che pure aveva combattuto bene, perse tutto per il sopraggiungere di Irzio, e per quella notte si fermò in un villaggio nei pressi del campo di battaglia, chiamato Forum Gallorum, senza tracciare il vallo. Circa la metà dei combattenti dalle due parti cadde; perirono con l'intera coorte di Ottaviano pochi soldati di Irzio.

Note43 a.C.
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PASSO
LocalizzazioneIII, 11.80, 84 / 329, 348
Traduzione[329] Ottaviano trattò bene anche Decio, uno degli ufficiali di Antonio catturato presso Modena, e gli concesse, se lo voleva, di tornare al suo comandante. Decio gli chiese che cosa pensasse di Antonio, ed egli rispose di aver già dato molti segni evidenti del suo pensiero per chi capiva; a chi non capiva non sarebbero bastati neanche segni più numerosi. (...)
[348] Così Antonio era divenuto di nuovo molto potente e temibilissimo per i suoi nemici: aveva infatti l'esercito tratto fuori da Modena, con esso una efficientissima cavalleria, le tre legioni di Ventidio che gli si erano aggregate durante la marcia di trasferimento, e ora gli diveniva alleato Lepido con sette legioni di fanti, molti altri armati e attrezzature convenienti. Di queste ultime si diceva ancora capo Lepido, ma chi decideva tutto era Antonio.

Note43 a.C.
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PASSO
LocalizzazioneIII, 12.86, 88 / 357, 363-365
Traduzione[357] Infine [Ottaviano] li esortò a badare a loro stessi [le legioni che avevano combattuto con lui], dato che li si voleva trasferire a un comandante avverso alla parte cesariana e costringerli a una guerra dopo l'altra, per incontrarvi la morte o perché nascesse dissenso tra loro. Aggiunse che proprio per questo, per costringerli a dissensi e lotte, dopo la battaglia di Modena, combattuta da tutti loro, soltanto a due legioni erano concessi donativi. [...]
[363] L'esercito, informato, ancor più si adirò e chiese di essere subito condotto verso la Città: lo avrebbero eletto loro, con elezioni straordinarie, lui che era figlio di Cesare, e intanto senza fine esaltavano l'antico Cesare. [364] Visto che questo era il loro impulso, Ottaviano immediatamente dopo l'assemblea, si mise alla testa di otto legioni di fanti, con cavalleria sufficiente e tutte le truppe ausiliarie che sono al seguito delle legioni. [365] Attraversato il Rubicone dalla Cisalpina all'Italia, proprio quello che suo padre aveva allo stesso modo attraversato dando inizio alla guerra civile, divise l'esercito in due parti: a una ordinò di seguirlo con calma; con l'altra, migliore, di truppe scelte, avanzò rapidamente, desiderando cogliere i nemici ancora impreparati.

Note43 a.C.
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PASSO
LocalizzazioneV, 13.129 / 534-535
Traduzione[534] Nell'esercito nessuno più per timore parlava singolarmente, ma riunitisi a gruppi richiedevano insieme a gran voce di essere congedati dal servizio; Cesare in varie maniere si conciliava i loro capi; di coloro che avevano combattuto a Filippi e a Modena, che erano quelli da più tempo sotto le armi, a chi lo voleva concedeva il congedo. [535] Egli subito congedò costoro, che erano circa ventimila, e li inviò fuori dell'isola perché non corrompessero altri; e questo disse ai soli reduci di Modena: che, sebbene congedati in questa circostanza, avrebbe dato loro le ricompense allora promesse.
Note37 a.C.
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COMPILAZIONE
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Data2012
NomeAssorati G.
AGGIORNAMENTO – REVISIONE
Data2021
NomeParisini S.

ultima modifica: 16/02/2022
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