Museo Arcivescovile
Piazza Arcivescovado, 1
Ravenna
marmo greco
marmo del Proconneso
stucco colorato
rivestimenti e pavimentazioni
produzione ravennate
secc. V d.C./ VI d.C. (494 - 519)

Il rivestimento marmoreo del ripristino è costituito da grandi lastre di marmo greco grigio venato verticalmente, che posa sopra uno zoccolino dello stesso materiale, tenuto separato per mezzo di un listello che corre orizzontalmente; e termina al di sopra con un fregio di marmo venato (paonazzetto) che è staccato dalle lastre inferiori mediante un listello simile. Sopra il paramento marmoreo vi è una cornice in stucco formata da due diversi motivi sovrapposti orizzontalmente. La cornice inferiore è decorata da foglie tripetale dorate simili a "coroncine", incise centralmente da una nervatura. Quella superiore è percorsa da un tralcio continuo con foglie di quercia e cuoriformi, anch'esse dorate. Nella parete si aprono tre piccoli ripostigli e in questi armadietti (chiusi da ante in legno) dovevano essere contenuti gli arredi sacri e le vesti. Un'altra apertura più ampia è costituita da una porta profilata da un cornicione romano di reimpiego.

L'antica tradizione attribuiva la costruzione di questa cappella a san Pier Crisologo, vescovo ravennate vissuto nel V secolo, ma studi più recenti hanno confermato la committenza di questo piccolo, ma prezioso edificio a Pietro II, vissuto all'epoca di Teodorico (494-519). L'oratorio fungeva come cappella privata degli arcivescovi, ma anche come "lipsanoteca" e come confessionale. Questo piccolo sacello è formato da due ambienti distinti: un vestibolo con volte a botte e un vano a forma di croce greca terminante con un'abside. La piccola cappella ha subito numerose traversie: lavori furono fatti eseguire dal card. Giulio della Rovere (1568), dall'arciv. Capponi nel XVII secolo e dall'arciv. Codronchi nel 1796 che aveva fatto erigere un nuovo altare marmoreo. Tra gli interventi architettonici più considerevoli vi era stato l'abbattimento dell'abside e l'apertura di due archi: uno nella nicchia sudovest e l'altro nell'abside a nord-est. Nel 1912-14, sotto la direzione del Gerola, furono eseguiti importanti lavori di restauro che portarono alla ricostruzione dell'abside (in quell'occasione si rinvenne che l'originario catino doveva essere stato realizzato con tubi fittili) e alla pulitura ed integrazione dei mosaici. Discutibile resta, tuttavia, l'invenzione del cielo stellato con croce nella rifatta abside perchè non può essere provata. La cappella è decorata di marmi nella parte inferiore, coronata da una cornice in stucco e completata nella zona superiore dalla ornamentazione a mosaico. Diverse parti sono andate però completamente perdute, quali la lunetta sopra la porta d'ingresso al sacello cruciforme e le due lunette delle pareti 1 e 3, integrate ad affresco dal pittore Luca Longhi nella seconda metà del XVI secolo. La cornice in stucco dorato è frutto di restauri. La prima iscrizione fa riferimento alla suppellettile sacra, la seconda all'arcivescovo Enrico che pontificò nel 1052-1072, la terza è una sorta di scongiuro contro chi non può più bere il vino.

L'antico rivestimento decorativo delle pareti dell'atrio era stato quasi totalmente distrutto dalle successive trasformazioni di questo locale. Le pareti erano state coperte da lastre marmoree fuori posto o di provenienza estranea oppure semplicemente tirate a malta e dipinte a finto marmo. La decorazione parietale dell'atrio e del sacello era in origine composta da un'incamiciatura di lastre marmoree appoggiate alle pareti con un impasto di calce, una cornice di stucco e infine, il mosaico. Già Andrea Agnello, nel IX secolo, ricorda come le pareti fossero ricoperte da lastre in marmo del proconneso. Descrizione che viene confermata dal Fabri (sec. XVII) e dal Tarlazzi (sec. XIX).