tela/ pittura a olio
sec. XX (1943 - 1943)
Firmato e datato dall'artista, il dipinto è stato preceduto da un disegno preparatorio a matita e tempera, in precedenza riferito al 1946, in cui Borra studia i rapporti compositivi e gli accordi cromati ci che svilupperà in modo più compiuto sulla tela; segno quindi di una prassi operativa rigorosa che vede nell' esercizio grafico un imprescindibile strumento di indagine e di ricerca. Rispetto al disegno, nel dipinto volumi si sostanziano in compatte forme chiaroscurate con esiti plastici vicini alle serie dei “Profughi” e delle “Batttaglie”. Sono gli anni in cui l'artista si concentra sui "maestri sacri" dell'arte del passato, da Giotto a Masaccio, da Paolo Uccello a Piero della Francesca pervenendo a risultati che, abbandonato ogni facile pittoricismo, seguono la direttrice di una figurazione nuova, ordinata secondo leggi proprie, e fondata su un' armonia controllata e immobile: "lo scopo principale che si prefiggevano gli artisti [ ... ] non era quello di riprodurre le apparenze esteriori delle cose che cadono sotto i nostri sensi nella osservazione degli spettacoli naturali, bensì quello di creare delle cose nuove, aventi vitalità altrettanto potente quanto quella che anima la natura" (P. Borra, 1950). In questo caso la scena raffigurata perde la concitazione propria dell'episodio per cedere il passo ad una composizione silenziosa e congelata, dall'atmosfera non lontana da quanto affermava Carrieri a proposito delle “Battaglie”: "c'è niente di più mosso di una battaglia equestre? Borra di battaglie ne ha dipinte molte e tutte silenti, tutte statiche. Nessuno ascolterà il nitrito dei suoi cavalli galoppanti al plenilunio" (R. Carrieri, 1949).