Museo Civico di Modena
Largo Porta S.Agostino, 337
Modena (MO)
Scarsella Ippolito detto Scarsellino
1550 ca./ 1620
ambito ferrarese
dipinto

tela/ pittura a olio
cm 76,5 (la) 60 (a)
sec. XVII (1620 - -)
n. Ser. 21
Scena concitata di lotta in primo piano ai piedi di un edificio, sullo sfondo un paesaggio.

Lo stemma di ceralacca che compare nel retro, insieme alla scrittura apocrifa riportata, sembrerebbe riferirsi ad una Gonzaga di Novellara, forse Ferdinando II (post 1595). Erroneo è dunque il riferimento talora avanzato al duca di Mantova Ferdinando I. Il dipinto ricomparve in una vendita londinese della Sotheby's il 21 aprile 1993. Nel pubblicarlo, Novelli ha di recente notato come la composizione ripeta alla lettera quella di altri due dipinti già noti dello Scarsellino: uno conservato al Musée des Beaux-Arts di Nimes e un altro nella Galleria Nazionale di Palazzo Barberini a Roma. Rispetto a entrambi, la redazione in esame elimina alcune figure femminili a destra, “producendo una scena dai toni più drammatici”. Leggere varianti sono poi nelle pose di alcuni personaggi e nel fondo, ripartito tra un caseggiato di foggia classica e il cielo striato da nuvole rosacee. A parere ancora di Novelli, lo sgherro che in tutti i dipinti citati trae per i capelli la madre all'estrema sinistra è una celebre citazione dal celebre dipinto di analogo tema di Guido Reni, eseguito nel 1611 per San Domenico a Bologna (ora nella Pinacoteca Nazionale), che ne costituisce pertanto un post quem, oltremodo utile entro un percorso come quello dello Scarsellino, alla cui ricostruzione scorre un numero estremamente limitato di punti di riferimento cronologico. A tale scarsità di termini di datazione corrisponde del resto una fedeltà del pittore nei confronti delle premesse veronesiane già del tutto maturate entro i primi anni ottanta del Cinquecento, così che tra un dipinto come questo, spettante dunque alla sua tardiva attività, e un altro della fine del secolo precedente non paiono esservi notabili differenze: difficile risulta ad esempio precisare il rapporto cronologico che intercorre, non solo tra questa e le versioni di Nimes e Roma, ma anche tra queste ultime e le altre redazioni dello stesso tema della Galleria Borghese di Roma e di collezione privata bolognese, basate entrambe su un diverso schema in parte debitore dell'incisione che Marcantonio Raimondi aveva tratto da un disegno di Raffaello. Una tale fedeltà sta ad indicare il favore che la committenza tributava a questa particolare produzione dello Scarsellino di dipinti di piccolo formato, secondo quanto attesta anche la frequenza del suo nome negli antichi inventari nobiliari. Come sempre nel pittore ferrarese, ciò che si apprezza, al di là del frequente ricorso agli stessi schemi, è infatti la sciolta attitudine narrativa, e soprattutto la rorida gamma cromatica, che si accende per i toni del carminio, dello smeraldo, del blu lapislazzulo e del giallo paglierino.