tela/ pittura a olio
sec. XVIII (1785 - 1800)
L'opera riflette, in primis, gli insegnamenti dell'Accademia Clementina, per esempio nel modo arcaizzante di rappresentare la figura, che deriva da un gusto palesemente e convenzionalmente accademico, in secundis, la lezione gandolfiana, per esempio nel disegno delle mani e soprattutto nel dettaglio del libro, oltre all'impasto cromatico e per il particolare 'ductus' della pennellata.
L'artista si configura, quindi, come uno tra gli ultimi esponenti della pittura settecentesca bolognese.
Il dipinto ovale è tuttora conservato nella cornice in legno intagliato e parzialmente dorato che ne denuncia l'originaria funzione di sottoquadro.
L'attribuzione dell'opera a Pietro Facelli, pittore bolognese formatosi a Venezia sotto la guida del padre e del ritrattista bresciano Ludovico Gallina, si deve al Roli che ha suggerito un pertinente confronto con un'opera certa di questo artista, la pala con i "Santi Vincenzo Ferrari e Filippo Benizzi" della Collegiata di S. Giovanni in Persiceto.
Tale proposta sarà poi confermata in un altro documento, cioè l'"Autobiografia" redatta dallo stesso artista, che ricorda proprio quest'opera.