FONTE
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AutorePolibio
Titolo operaHistoriae
Anno145/140 ca. a.C.
Periodoetà delle conquiste
EpocaRepubblicano
Noteed.: D. Musti (a cura di), Storie, Milano 2001-2005 (trad.: M. Mari); R. Nicolai (a cura di), Storie, Roma 1998 (trad.: R. Palmisciano, C. Tartaglini, F. Cannata, A. Ercolani, M. Sonnino, G. Colesanti).
PASSO
LocalizzazioneII, 14
Traduzione[1] Ora credo che sia utile fare un'esposizione sommaria riguardo a questo popolo [Celti] per restare fedeli, in base al nostro proposito iniziale, all'argomento proprio dell'introduzione generale, e andare indietro nel tempo fino al periodo a partire dal quale i Celti occuparono il loro territorio. [2] Ritengo infatti che la loro storia non sia soltanto degna di essere conosciuta e ricordata in se stessa, ma sia anche assolutamente necessaria per capire in quali uomini e in quali territori confidò Annibale quando tentò di distruggere il dominio dei Romani. [3] Dunque per prima cosa si deve dire come è conformato e qual è la posizione geografica del territorio rispetto al resto dell'Italia. Così, una volta descritte le peculiarità dei luoghi e del territorio, sarà possibile capire meglio gli aspetti più importanti delle vicende che racconterò.
[4] La forma complessiva dell'Italia è triangolare. Il lato rivolto a oriente è delimitato dallo Stretto del Mar Ionio e dal contiguo Golfo Adriatico, il lato rivolto a mezzogiorno e, a occidente dal Mar di Sicilia e dal Mar Tirreno. [5] Dove questi lati si congiungono fra loro formano il vertice del triangolo, la punta estrema dell'Italia verso mezzogiorno che viene chiamata Cocinto e divide lo Stretto del Mar Ionio dal Mar di Sicilia. [6] Il lato rimanente, quello rivolto a settentrione verso il continente è delimitato in modo continuo dalla catena delle Alpi, che inizia nella zona di Marsiglia e nelle località bagnate dal Mar di Sardegna e giunge fino al golfo da cui si allarga l'intero Adriatico senza soluzione di continuità, ad eccezione di un breve tratto. Terminando infatti prima di questo tratto le Alpi non riescono a congiungersi con quel mare. [7] Confinante con il lato meridionale della catena montuosa ora ricordata, che bisogna immaginare come la base del triangolo, è situata una pianura che è la più settentrionale dell'Italia intera e di cui ora parleremo, visto che è la più importante, per dimensione e fertilità, fra le pianure d'Europa che sono rientrate fra gli argomenti della mia storia. [8] Anche la linea che disegna il perimetro di questa pianura appare nel complesso triangolare. E il vertice di questo disegno lo forma l'incontro delle Alpi e delle montagne chiamate Appennini, a non molta distanza dal Mar di Sardegna sopra Marsiglia. [9] Sul lato di questo triangolo rivolto a settentrione corrono le Alpi — come ho sopra detto — per una lunghezza di duemila e duecento stadi [ca. 390 km.]; [10] sul lato rivolto a mezzogiorno invece gli Appennini per tremilaseicento stadi [ca. 640 km.]. [11] Infine si dispone come base dell'intera figura la linea della costa adriatica. La lunghezza della base, dalla città di Sena fino al fondo del Golfo Adriatico, è di oltre duemilacinquecento stadi [ca. 440 km.], [12] cosicché il perimetro complessivo della pianura ora ricordata è di poco inferiore ai diecimila stadi [ca. 1750 km.].

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PASSO
LocalizzazioneII, 15.1-7
Traduzione[1] La sua fertilità non è davvero facile da descrivere. Nella zona si ha, infatti, una così grande abbondanza di grano che spesso ai nostri tempi un medimno siculo [ca. 52 kg.] di frumento costa quattro oboli, uno d'orzo due, un metrete [ca. 40 l.] di vino come l'orzo. [2] In effetti c'è presso di loro un'abbondanza davvero eccezionale di miglio e di panìco. La quantità di ghiande che nasce dai querceti, che si trovano a una certa distanza tra loro nella pianura, si potrà arguire da ciò: [3] la principale fornitura dei numerosissimi suini da macello che vengono abbattuti in Italia sia per i bisogni privati, sia per il rifornimento delle truppe viene da questa pianura. [4] Del basso prezzo al dettaglio e dell'abbondanza dei generi alimentari ci si potrà fare un'idea più precisa così: [5] chi viaggia attraverso la regione prende alloggio nelle taverne senza accordarsi sul prezzo dei vari viveri in particolare, ma domandando quanto si paga a persona. [6] Per lo più, dunque, gli albergatori accolgono gli ospiti in modo che questi abbiano tutto quanto è sufficiente ai loro bisogni per mezzo asse – cioè la quarta parte di un obolo –: raramente superano questa cifra. [7] Invece la quantità degli uomini, la loro prestanza e bellezza fisica, e inoltre la loro audacia in guerra, sarà possibile conoscerle chiaramente dagli avvenimenti stessi.
Notemetà II sec. a.C.
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PASSO
LocalizzazioneII, 16
Traduzione[1] Abitano l'Appennino, dal suo inizio al di sopra di Massalia e dalla sua intersezione con le Alpi, i Liguri, sia sul versante di esso rivolto verso il mar Tirreno, sia su quello verso la pianura. [2] lungo la costa fino alla città di Pisa, che è la prima della Tirrenia verso occidente, nell'entroterra, invece, fino al territorio degli Aretini. [3] Di seguito ci sono i Tirreni; e, immediatamente dopo di loro, gli Umbri occupano entrambi i versanti di queste montagne. [4] In seguito l'Appennino, tenendosi ad una distanza di circa cinquecento stadi [ca. 87,5 km.] dal Mar Adriatico, abbandona la pianura piegando a destra, poi, correndo al centro del resto dell'Italia raggiunge il Mar di Sicilia. [5] Invece, la residua parte pianeggiante di questo settore del triangolo raggiunge il mare e la città di Sena. [6] Il fiume Po, reso famoso dai poeti come Eridano, ha le sue sorgenti nelle Alpi, all'incirca presso il vertice della figura geometrica prima ricordata, e cala poi verso la pianura, dirigendo il suo corso verso mezzogiorno. [7] Giunto alle zone pianeggianti, dopo aver piegato con la corrente verso est, le attraversa; si getta nell'Adriatico in due foci. Taglia la maggior parte della regione pianeggiante, quella che giunge fino alle Alpi e alla parte più interna dell'Adriatico. [8] Porta una quantità d'acqua non inferiore a quella di nessuno dei fiumi d'Italia, per il fatto che i corsi d'acqua che scendono in pianura dalle Alpi e dagli Appennini si gettano tutti e da ogni parte in esso. [9] Scorre con il flusso più abbondante e più bello verso l'epoca della levata del Cane [24/28 luglio], ingrossato dalla grande quantità di nevi che si sono sulle montagne prima nominate. [10] Si risale questo fiume dal mare per la bocca chiamata Olana per quasi duemila stadi [ca. 370 km.]. [11] Esso, infatti, dalle sorgenti segue un corso nella prima parte unico, mentre si divide in due parti presso i cosiddetti Trigaboli: di queste, una bocca è chiamata Padoa, l'altra Olana. [12] Su quest'ultima si trova un porto, che offre a chi vi approda una sicurezza non inferiore a quella di nessuno dei porti dell'Adriatico. Presso gli indigeni, invece, il fiume è chiamato Bodenco. [13] Le altre storie che si narrano su questo fiume fra i Greci, voglio dire quelle su Fetonte e la sua caduta, e ancora sulle lacrime dei pioppi e sugli abitanti della zona nei dintorni del fiume vestiti di nero, che si dice portino tali vesti ancora oggi in segno di lutto per Fetonte, [14] e insomma tutta la materia tragica e simile a questa, sul momento la ometteremo, poiché non conviene troppo al genere dell'introduzione l'esposizione minuziosa di tali argomenti. [15] Scelto in seguito un momento adatto, ne faremo opportuna menzione, soprattutto per l'ignoranza di Timeo riguardo a questi luoghi.
Notemetà II sec. a.C.
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PASSO
LocalizzazioneII, 17
Traduzione[1] A ogni modo: abitavano in antico questa pianura i Tirreni, nell'epoca in cui occupavano anche quelli che un tempo si chiamavano Campi Flegrei, nei dintorni di Capua e di Nola, i quali, per il fatto di essere familiari e noti a molti, hanno acquistato grande fama di fertilità. [2] Perciò chi sente parlare dei domini dei Tirreni non deve far riferimento al territorio occupato da loro attualmente, ma alla pianura prima citata e alle risorse derivanti da questi luoghi. [3] I Celti, che avevano con loro frequenti relazioni in ragione della vicinanza e guardavano con invidia alla bellezza del loro territorio, li assalirono improvvisamente, sulla base di un piccolo pretesto, con un grande esercito, cacciarono i Tirreni dalla regione padana e occuparono essi stessi la pianura. [4] La prima parte della pianura, verso le sorgenti del Po, la occuparono i Lai e i Lebeci, dopo di questi si insediarono gli Insubri che sono il gruppo più grande fra i Celti, poi ancora i Cenomani, proprio lungo il fiume. [5] La zona che a questo punto della descrizione è situata sull'Adriatico la occupò un popolo di diversa nazionalità e molto antico, i Veneti, che sono un po' diversi dai Celti per quanto riguarda le usanze e il modo di vestire, ma parlano una lingua completamente diversa. [6] Su questo popolo hanno scritto molto i poeti tragici, facendo tanti racconti sensazionali. [7] Si insediarono nelle zone al di là del Po, presso l'Appennino, per primi gli Anari, e dopo di loro i Boi; subito dopo questi, verso l'Adriatico, i Lingoni, e per ultimi, sul mare, i Senoni. [8] Questi, dunque, erano i più celebri tra i popoli che occuparono questi luoghi. [9] Abitavano in villaggi non fortificati, essendo estranei a ogni altra forma di civiltà. [10] Poiché dormivano su giacigli di paglia e si nutrivano di carne, e poiché inoltre non praticavano nessuna attività a eccezione della guerra e dell'agricoltura, infatti, conducevano una vita semplice, non essendo assolutamente conosciuta presso di loro nessuna altra scienza o arte. [11] In effetti gli averi di ciascuno erano bestiame e oro, poiché solo queste cose potevano essere facilmente portate via con loro dappertutto secondo le circostanze e trasportate lontano a loro piacere. [12] Erano particolarmente propensi a formare associazioni, per il fatto che presso di loro il più temibile e il più potente è colui che abbia fama di avere il maggior numero di inserviente e di seguaci.
NoteIX-V sec. a.C.
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PASSO
LocalizzazioneII, 20.1-6
Traduzione[1] I Boi, osservando che i Senoni erano stati cacciati e temendo di subire, loro e il loro territorio, qualcosa di analogo, uscirono in spedizione in massa, dopo aver chiamato in aiuto i Tirreni. [2] Radunatisi nei pressi del lago chiamato Vadimone si schierarono in battaglia contro i Romani. [3] In questa battaglia la maggior parte dei Tirreni fu massacrata, mentre pochissimi dei Boi scamparono. [4] Tuttavia l'anno successivo costoro, trovato di nuovo un accordo e armati anche quei giovani che erano appena entrati nella pubertà, si schierarono in battaglia contro i Romani. [5] Ma, totalmente battuti nel combattimento, solo allora cedettero nel morale e, mandati dei legati per trattare la tregua e la fine delle ostilità, conclusero patti con i Romani. [6] Ciò avveniva tre anni prima del passaggio di Pirro in Italia, cinque prima della disfatta dei Galati presso Delfi.
Note283-282 a.C.
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PASSO
LocalizzazioneII, 21.5-9
Traduzione[5] Perciò, quando i Transalpini giunsero fino a Rimini con un esercito, le masse dei Boi, insospettite e insorte contro i propri capi e contro i nuovi arrivati, tolsero di mezzo i propri re Ati e Galato e si massacrarono a vicenda, dopo esser venuti a regolare battaglia. [6] Fu proprio allora che i Romani, spaventati per l'invasione, avanzarono con un esercito: ma, appreso dell'eccidio che i Galli si erano inflitti da soli, di nuovo si ritirarono nella propria terra. [7] Cinque anni dopo questa minaccia, sotto il consolato di Marco Lepido, i Romani distribuirono in lotti, in Gallia, il territorio chiamato piceno, dal quale, dopo averli vinti, avevano cacciato i Galli chiamati Senoni; [8] fu Gaio Flaminio a introdurre questa politica demagogica, di cui si deve dire che fu per i Romani, in qualche modo, l'origine di un mutamento in peggio del popolo, e la causa della guerra in seguito scoppiata fra loro e quelli. [9] Molti dei Galli, infatti, ma soprattutto i Boi, vollero sostenere l'impresa perché erano limitrofi al territorio dei Romani, credendo che i Romani facessero loro guerra non più per l'egemonia e il dominio, ma per la loro totale espulsione e per il loro totale sterminio.
NoteInvasione dei Transalpini: 237 a.C.; distribuzioni nell'Ager Picenus: 232 a.C.
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PASSO
Localizzazione II, 23.1-2 e 5
Traduzione[1] I Galli Gesati, messo insieme un esercito costoso e forte, giunsero, dopo aver valicato le Alpi, al fiume Po otto anni dopo la distribuzione del territorio. [2] Le genti degli Insubri e dei Boi si attennero coraggiosamente ai disegni iniziali, mentre i Veneti e i Cenomani, cui i Romani avevano inviato degli ambasciatori, scelsero di allearsi con costoro. (...) [5] I Romani, non appena sentirono che i Celti avevano oltrepassato le Alpi, inviarono il console Lucio Emilio con un esercito verso Rimini, per tenere sotto controllo da questa parte l'invasione dei nemici, e uno dei pretori in Tirrenia.

Note225 a.C.
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PASSO
LocalizzazioneII, 24.1-8
Traduzione[1] Perché risulti chiaro, solo sulla base dei fatti, quanto era grande la potenza che Annibale osò attaccare e quanto grande l'impero che egli affrontò temerariamente, raggiungendo il suo proposito fino al punto di precipitare i Romani in gravissime sventure, [2] bisognerà dire i mezzi e la quantità delle forze che erano allora a loro disposizione. [3] Con i consoli, dunque, erano uscite in spedizione quattro legioni romane, ciascuna comprendente cinquemiladuecento fanti e trecento cavalieri. [4] Gli alleati schierati con tutti e due gli eserciti erano complessivamente trentamila fanti e duemila cavalieri. [5] Dei Sabini e Tirreni venuti in soccorso di Roma in tutta fretta erano circa quattromila cavalieri e oltre cinquantamila fanti. [6] Raccolti costoro, li mandarono avanti in Tirrenia, avendo loro assegnato per comandante un pretore [7] Gli Umbri e i Sarsinati abitanti dell'Appennino furono radunati in circa ventimila, e con loro ventimila Veneti e Cenomani. [8] Schierarono questi sui confini della Gallia, affinché invadessero il territorio dei Boi e obbligassero a una diversione quelli che ne erano usciti. Queste erano, dunque, le truppe che presidiavano il territorio.
Note225 a.C.
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PASSO
LocalizzazioneII, 26.1
TraduzioneIn questo momento Lucio Emilio, che presidiava la regione adriatica, avendo sentito che i Celti avevano fatto irruzione attraverso la Tirrenia e si avvicinavano a Roma, giunse in fretta a portare soccorso, fortunatamente al momento opportuno.

Note225 a.C.
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PASSO
LocalizzazioneII, 31
Traduzione[1] Dei Celti, dunque, [nella battaglia di Talamone] perirono circa quarantamila, mentre ne furono fatti prigionieri non meno di diecimila, fra i quali anche uno dei re, Concolitano. [2] L'altro, Aneroesto, rifugiatosi in qualche luogo con pochi altri, uccise se stesso e quelli della sua cerchia. [3] Il comandante romano inviò a Roma le spoglie accumulate, mentre restituì il bottino a coloro ai quali spettava. [4] Egli, prese con sé le legioni e attraversata la Liguria, invase il territorio dei Boi. Una volta soddisfatti i desideri di guadagno delle legioni, in pochi giorni giunse con le truppe a Roma. [5] E ornò il Campidoglio con i vessilli e con le collane torques – questo è il cerchio d'oro che i Galli portano attorno al collo –; [6] delle restanti spoglie e dei prigionieri, invece, si servì per il suo ingresso in città e per l'allestimento del trionfo. [7] Così, in questo modo, fu dunque sgominata la più tremenda invasione dei Celti, che aveva tenuto sospeso su tutti gli Italici, ma soprattutto sui Romani,3 un grave e spaventoso pericolo. [8] Avendo tratto da questo successo la fondata speranza di poter cacciare completamente i Celti dalla regione padana, i Romani inviarono contro di essi entrambi i consoli eletti dopo questi avvenimenti, Quinto Fulvio e Tito Manlio, e un grande spiegamento di forze. [9] Essi terrorizzarono i Boi al primo assalto e li costrinsero a rimettersi alla protezione dei Romani, [10] ma trascorsero il resto della spedizione senza ottenere assolutamente alcun risultato, dato che sopraggiunsero piogge eccezionali e che furono attaccati anche da una pestilenza.
Note225-224 a.C.
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PASSO
LocalizzazioneIII, 34.2-3
Traduzione[2] [Annibale] Aveva infatti valutato a fondo sia la fertilità della regione ai piedi delle Alpi e nei pressi del fiume Po, sia il numero di coloro che l'abitavano, nonché l'audacia degli uomini in guerra [3] e, soprattutto, l'ostilità che essi avevano nei confronti dei Romani dalla guerra precedente, che abbiamo esposto nel libro che precede questo affinché i lettori capissero a fonde guanto stiamo ora per dire.
Note218 a.C.
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PASSO
LocalizzazioneIII, 40.3-14
Traduzione[3] Mentre costoro [i consoli Cornelio Scipione e Sempronio Longo] si occupavano dell'arruolamento delle legioni e degli altri preparativi, essi si affrettarono a condurre a termine le operazioni relative alle colonie: già in precedenza avevano deciso di dedurne in Gallia. [4] Si impegnarono dunque nella fortificazione delle città e ordinarono ai coloni, che erano in numero di circa seimila per ciascuna città, di essere sul posto entro trenta giorni: [5] di queste colonie ne fondarono una al di qua del fiume Po, che chiamarono Piacenza, l'altra sulla sponda opposta, alla quale dettero il nome di Cremona. [6] Quando esse erano state già fondate, i Galli chiamati Boi, che da molto tempo preparavano con la loro amicizia, per così dire, una trappola ai Romani, senza però trovare un'occasione favorevole, [7] rassicurati ed eccitati dai messaggi che giungevano loro circa l'arrivo dei Cartaginesi, si ribellarono ai Romani, avendo abbandonato gli ostaggi che avevano consegnato alla fine della guerra precedente, che abbiamo narrato nel libro che precede questo. [8] Chiamati in aiuto gli Insubri, dei quali condividevano un rancore di vecchia data, saccheggiarono il territorio che era stato ripartito in lotti dai Romani e, inseguiti i fuggitivi fino a Modena, che era una colonia dei Romani, ne intrapresero l'assedio. [9] Tra gli altri vi bloccarono anche tre uomini in vista, che erano stati inviati lì per la suddivisione del territorio: uno di loro era Gaio Lutazio, che aveva anche ricoperto la carica consolare, mentre gli altri due avevano ricoperto la pretura. [10] Di fronte alla loro richiesta di un colloquio, i Boi accettarono. Ma quando gli uomini vennero fuori, essi, traditi i patti, li catturarono, nella speranza di recuperare, attraverso questi, i propri ostaggi. [11] Lucio Manlio, che era pretore e presidiava quei luoghi con un esercito, sentito dell'accaduto, portava soccorso in fretta. [12] I Boi, quando appresero del suo arrivo, prepararono agguati in alcune foreste e gli piombarono addosso contemporaneamente da ogni parte non appena giunse nei boschi, e uccisero molti dei Romani. [13] Gli altri inizialmente si dettero alla fuga; ma, quando raggiunsero i luoghi privi di vegetazione, si organizzarono un po', così da effettuare una ritirata appena decorosa. I Boi inseguirono e bloccarono anche questi nel villaggio chiamato Tanneto. [14] Quando giunse a Roma la notizia che la quarta legione era stata accerchiata dai Boi e subiva un duro assedio, inviarono in fretta in soccorso di costoro le legioni mobilitate per Publio, al comando delle quali posero un pretore, mentre a lui ordinarono di raccoglierne e arruolarne altre fra gli alleati.
Note218 a.C.
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PASSO
LocalizzazioneIII, 56.6
Traduzione[Il console Cornelio Scipione] Marciò attraverso la Tirrenia, rilevò dai pretori le legioni che già si trovavano lì e combattevano contro i Boi e giunse nella pianura padana, dove si accampò; stava in attesa dei nemici, ansioso di attaccare battaglia.
Note218 a.C.
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PASSO
Localizzazione III, 61.1 e 10-11
Traduzione[1] Mentre questi erano i suoi [di Annibale] propositi, al sentire che Publio [Cornelio Scipione] aveva già attraversato il Po con le truppe ed era vicino, dapprima non prestava fede a quanto gli veniva annunciato. (...)
[10] Tiberio [Sempronio Longo] raccolse immediatamente gli uomini della flotta e li inviò [da Lilibeo], con l'ordine di far rotta verso casa; alle forze di fanteria, invece, fece prestare giuramento, tramite i tribuni militari, fissando un giorno in cui tutti avrebbero dovuto trovarsi per la notte a Rimini. [11] Questa è una città sulla costa dell'Adriatico, situata all'estremità meridionale della pianura padana.

Note218 a.C.
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PASSO
LocalizzazioneIII, 64.1
TraduzionePublio [Cornelio Scipione] negli stessi giorni, dopo aver già passato il fiume Po, deciso a proseguire e attraversare il Ticino, ordinò agli uomini adatti di costruire un ponte e riunì il resto delle truppe per esortarle.
Note218 a.C.
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PASSO
LocalizzazioneIII, 66
Traduzione[1] Publio [Cornelio Scipione], dunque, levato il campo, si spingeva attraverso la pianura verso il ponte sul Po, desideroso di far passare al più presto le legioni dall'altra parte. [2] Notando infatti che i luoghi erano pianeggianti e che i nemici erano superiori nella cavalleria, ed essendo egli stesso tormentato da una ferita, giudicò necessario rimettere al sicuro le truppe. [3] Annibale per un po' suppose che essi affrontassero la battaglia con le truppe di fanteria; quando vide che si erano mossi dal campo, si mise a seguirli fino al primo fiume e al ponte su di esso, [4] ma, avendo trovato che la maggior parte delle tavole era stata demolita e che quelli che presidiavano il ponte restavano ancora nei pressi del fiume, catturò costoro, che erano in numero di circa seicento; [5] sentendo, poi, che gli altri erano già andati molto avanti, cambiò di nuovo direzione e prese a marciare lungo il fiume in senso contrario, ansioso di raggiungere un punto del Po favorevole alla costruzione di un ponte. [6] Terminata la marcia il secondo giorno era possibile la traversata per mezzo di un ponte costruito con barche fluviali, ordinò ad Asdrubale di farvi passare l'esercito, mentre egli, attraversato il fiume, subito cominciò a dare udienza ai legati sopraggiunti dalle località vicine. [7] Subito dopo la sua vittoria, infatti, tutti i Celti delle vicinanze si affrettavano, secondo il proposito iniziale, a stringere amicizia con i Cartaginesi, a rifornirli e ad aiutarli nella loro spedizione. [8] Dopo aver ricevuto benevolmente quelli che si presentavano e recuperato le truppe dalla sponda opposta, prese ad avanzare lungo il fiume, seguendo un cammino opposto a quello seguito in precedenza: marciava, infatti, secondo il senso della corrente, ansioso di raggiungere i nemici. [9] Da parte sua Publio, passato il Po e accampatosi nei pressi della città di Piacenza, che era una colonia dei Romani, curava se stesso e gli altri feriti e, ritenendo di aver messo le truppe al sicuro, se ne stava tranquillo. [10] Ma Annibale, giunto vicino ai nemici il secondo giorno dopo l'attraversamento del fiume, il terzo giorno schierò l'esercito sotto gli occhi degli avversari. [11] Ma, dal momento che nessuno usciva contro di loro, si accampò avendo posto una distanza di circa cinquanta stadi [ca. 9,25 km.] tra i due eserciti.
Note218 a.C.
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PASSO
LocalizzazioneIII, 67
Traduzione[1] I Celti che militavano con i Romani, constatando che le prospettive dei Cartaginesi erano più brillanti, dopo aver tramato tra loro stavano in attesa dell'occasione favorevole per un assalto, ciascuno restando nella propria tenda. [2] Quando gli uomini nel campo ebbero mangiato e si furono addormentati, essi, lasciata passare la maggior parte della notte, verso la veglia del mattino [ca. le 6] assalirono armati i Romani che erano accampati nelle vicinanze. [3] E molti ne uccisero. non pochi ne ferirono; infine, tagliate le teste ai morti, andarono a rifugiarsi presso i Cartaginesi: erano circa duemila fanti e poco meno di duecento cavalieri. [4] Annibale accolse amichevolmente il loro arrivo: subito li incoraggiò, promise a ciascuno adeguate ricompense, e li inviò nelle loro città a spiegare ai concittadini quanto era stato fatto e a esortarli all'alleanza con lui. [5] Sapeva, infatti, che tutti avrebbero necessariamente fatto causa comune con lui, quando fossero venuti a conoscenza del tradimento commesso dai loro concittadini ai danni dei Romani. [6] Contemporaneamente a questi si presentarono anche i Boi, i quali mettevano nelle sue mani i tre uomini inviati dai Romani per la distribuzione del territorio che avevano catturato all'inizio della guerra, a tradimento, come ho già detto in precedenza: [7] Annibale, apprezzando il loro benevolo atteggiamento, stabilì con i presenti garanzie di amicizia e di alleanza; restituì però loro i tre uomini, con l'ordine di custodirli, per riavere da quelli i propri ostaggi, secondo il proposito iniziale.
[8] Publio, sdegnato per il tradimento subìto e giunto alla conclusione che, essendo i Celti loro ostili da molto tempo, dopo questi avvenimenti tutti i Galli dei dintorni sarebbero passati dalla parte dei Cartaginesi, capì che c'erano motivi di preoccupazione per il futuro. [9] Perciò la notte seguente, verso la veglia del mattino, levò il campo e diresse la marcia verso il fiume Trebbia e le alture a esso vicine, confidando nella salda posizione dei luoghi e negli alleati che abitavano nei dintorni.

Note218 a.C.
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PASSO
LocalizzazioneIII, 68.1-8 e 13-15
Traduzione[1] Annibale, quando seppe della loro partenza, inviò immediatamente i cavalieri numidi, e dopo non molto gli altri; egli intanto teneva loro dietro a breve distanza con l'esercito. [2] I Numidi, dunque, fecero irruzione nell'accampamento deserto e lo incendiarono. [3] Questa fu, in verità, una gran fortuna per i Romani, poiché se questi, con un inseguimento ravvicinato, avessero raggiunto i loro bagagli, molti di loro sarebbero stati uccisi dai cavalieri su terreno pianeggiante. [4] Così, invece, i più fecero in tempo ad attraversare il fiume Trebbia: quelli che erano stati lasciati in retroguardia in parte furono uccisi, in parte catturati vivi dai Cartaginesi.
[5] Publio [Cornelio Scipione], attraversato questo fiume, si accampò nei pressi dei primi colli [6] e, cinto il campo di un fossato e di una palizzata, restò in attesa di Tiberio [Sempronio Longo] e delle truppe che erano con lui; intanto curava con molta attenzione le proprie ferite, facendo il possibile per essere in grado di partecipare all'imminente combattimento. [7] Annibale si accampò a una distanza di circa quaranta stadi [ca. 7,5 km.] dai nemici. [8] La massa dei Celti che abitava la pianura, che aveva fatto causa comune con i Cartaginesi, riforniva abbondantemente l'esercito dei mezzi di sussistenza ed era pronta a condividere con gli uomini di Annibale ogni impresa e pericolo. (...)
[13] Quando i soldati si raccolsero, secondo il giuramento, a Rimini, il console li prese con sé e cominciò ad avanzare, ansioso di raggiungere gli uomini di Publio. [14] Quando si fu riunito a questi ultimi e accampato accanto a loro con le proprie truppe, fece riposare la massa dei suoi uomini, che da Lilibeo avevano marciato a piedi fino a Rimini per quaranta giorni senza interruzione; faceva, poi, tutti i preparativi per la battaglia, [15] e si consultava di persona con Publio, informandosi con cura su quanto era già avvenuto e deliberando insieme a lui sulla situazione.

Note218 a.C.
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PASSO
Localizzazione III, 69.5-14
Traduzione[5] In seguito, quando si rese conto del fatto che alcuni dei Celti, che abitavano tra il Po e il fiume Trebbia, avevano stretto amicizia con lui ma mandavano inviati anche ai Romani, convinti che in tal modo sarebbero stati al sicuro nei confronti degli uni e degli altri, [6] inviò duemila fanti e circa mille cavalieri celti e numidi, con l'ordine di fare incursioni nel loro territorio. [7] Avendo essi eseguito l'ordine e catturato un notevole bottino, subito i Celti si presentarono al campo dei Romani a chiedere aiuto. [8] Tiberio [Sempronio Longo], che da molto tempo cercava un pretesto per agire, allora sfruttò l'occasione e inviò la maggior parte dei cavalieri e con loro circa mille fanti armati di lancia. [9] Costoro rapidamente assalirono i nemici al di là della Trebbia e contesero loro il bottino, sicché i Celti furono volti alla fuga con i Numidi e si ritirarono nel proprio campo. [10] Quelli che presidiavano il campo dei Cartaginesi, avendo compreso subito quanto avveniva, da lì portavano soccorso ai compagni in difficoltà con le sentinelle: una volta avvenuto ciò, i Romani cambiarono di nuovo direzione e ripartirono per il loro campo. [11] Tiberio, vedendo quanto accadeva, lanciò contro i nemici tutta la cavalleria e i lancieri. In queste circostanze i Celti, dopo un nuovo ripiegamento, si ritirarono al sicuro. [12] Il comandante cartaginese, che era impreparato a uno scontro decisivo e riteneva che non si dovessero mai affrontare le battaglie generali senza un piano o seguendo un pretesto qualsiasi – e bisogna dire che questo è proprio di un generale di valore –, [13] allora trattenne i suoi uomini, che si erano avvicinati alla palizzata, e li costrinse a fermarsi, dopo aver fatto dietrofront, e impedì loro di inseguire i nemici e di scontrarsi con loro, facendoli richiamare dagli aiutanti di campo e dai suonatori di tromba. [14] I Romani, dopo una breve attesa, ripartirono: avevano perduto pochi dei loro uomini e ucciso un numero maggiore di Cartaginesi.
Note218 a.C.
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PASSO
LocalizzazioneIII, 70
Traduzione[1] Tiberio [Sempronio Longo], eccitato e pieno di gioia per il successo, ambiva ad affrontare quanto prima uno scontro decisivo. [2] Si riprometteva di governare la situazione a proprio piacimento, dato che Publio [Cornelio Scipione] era malato; tuttavia, volendo avvalersi anche del parere del collega, discusse con lui di quest'argomento. [3] Publio aveva un'opinione contraria sulla situazione: [4] riteneva, infatti, che le legioni sarebbero state in migliori condizioni dopo essersi esercitate durante l'inverno, e che i Celti, nella loro incostanza, non sarebbero rimasti fedeli se i Cartaginesi fossero rimasti inattivi e fossero stati costretti a starsene tranquilli, ma avrebbero nuovamente macchinato qualcosa contro questi ultimi. [5] Sperava inoltre, una volta guarito dalla ferita, di fornire lui stesso un effettivo contributo alla causa comune. [6] Perciò, facendo riflessioni di questo tipo, chiese a Tiberio di restare sulle stesse posizioni. [7] Quest'ultimo sapeva che tutte quelle affermazioni erano fondate e dette a proposito, ma, spinto dall'ambizione e da un'eccessiva fiducia nelle circostanze, fece di tutto per affrontare lo scontro decisivo da solo e perché né Publio potesse essere presente alla battaglia, né i consoli di nuova nomina facessero in tempo ad assumere la carica (il periodo, infatti, era questo). [8] Perciò, scegliendo non il momento favorevole all'azione, ma quello favorevole a lui, non poteva che mancare palesemente al proprio dovere. [9] Annibale, pur avendo sulla situazione idee del tutto simili a quelle di Publio, contrariamente a lui era ansioso di scendere in campo contro i nemici, volendo in primo luogo giovarsi delle forze ancora intatte dei Celti, [10] in secondo luogo affrontare legioni romane non esercitate e reclutate di fresco, in terzo luogo sostenere il combattimento mentre Publio era ancora nell'impossibilità di parteciparvi, ma soprattutto volendo passare all'azione e non lasciar trascorrere il tempo invano. [11] Per chi cali con un esercito in terra straniera e tenti imprese straordinarie c'è infatti una sola via di salvezza: rinnovare sempre, senza sosta, le speranze degli alleati. [12] Annibale, dunque, sapendo che Tiberio lo avrebbe attaccato, era concentrato su questo.
Note218 a.C.
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PASSO
LocalizzazioneIII, 71
Traduzione[1] Avendo da molto tempo individuato tra i due accampamenti un luogo pianeggiante e spoglio, ma adatto agli agguati per la presenza di un torrente con una scarpata e di spine e rovi che su questa crescevano fittissimi, escogitò uno stratagemma per ingannare i nemici. [2] Si sarebbe nascosto facilmente: i Romani, infatti, guardavano con sospetto ai luoghi boscosi, poiché i Celti tendevano sempre le imboscate in posti simili, mentre confidavano a torto in quelli pianeggianti e spogli, [3] senza sapere che questi possono risultare più adatti di quelli boscosi per portare agguati senza essere scoperti e senza subire alcun danno, dato che chi tende l'agguato può vedere tutto prima, da molto lontano, e vi sono, nella maggior parte dei luoghi, ripari sufficienti. [4] Un qualsiasi torrente con una piccola sponda, infatti, e magari canne, felci o qualche tipo di pianta spinosa possono a volte nascondere non solo fanti, ma anche cavalieri, se si prende la piccola precauzione di mettere a terra, rovesciate, le insegne delle armi e di porre gli elmi sotto le armi. [5] II comandante cartaginese dunque, dopo aver discusso dell'imminente battaglia con il fratello Magone e con i consiglieri, tutti d'accordo con i suoi disegni, [6] non appena l'esercito ebbe consumato il pasto chiamò a sé il fratello Magone, che era giovane, ma pieno di slancio e istruito fin da fanciullo nell'arte della guerra, e gli affidò cento uomini scelti tra i cavalieri e altrettanti fanti. [7] Mentre era ancora giorno, scelti da tutto l'esercito gli uomini più forti, aveva loro ordinato di andare, dopo la cena, nella sua tenda. [8] Dopo che, con le sue esortazioni. ebbe trasmesso loro lo slancio che il momento richiedeva, ordinò che ciascuno scegliesse dalle proprie schiere i dieci uomini più valorosi e andasse in un punto già stabilito dall'accampamento. [9] Essi eseguirono l'ordine, ed egli inviò di notte questi uomini, mille cavalieri e altrettanti fanti, nel luogo dell'agguato, dopo aver assegnato loro delle guide e dato indicazioni al fratello circa il momento opportuno per l'assalto; [10] egli, sul fare del giorno, riunì i cavalieri numidi, che erano straordinariamente resistenti alla fatica, li incoraggiò e, promettendo doni a chi avesse compiuto azioni valorose, ordinò loro, una volta che si fossero accostati al campo degli avversari, di sorpassare in fretta il fiume e di provocare i nemici con piccole scaramucce: intendeva sorprendere i rivali digiuni e impreparati agli eventi. [11] Riuniti gli altri capi, allo stesso modo li esortò al combattimento e ordinò a tutti di fare colazione e di prendersi cura delle armi e dei cavalli.
Note218 a.C.
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PASSO
LocalizzazioneIII, 72
Traduzione[1] Tiberio [Sempronio Longo], non appena vide avvicinarsi i cavalieri numidi, inviò immediatamente la sua cavalleria, con l'ordine di tenersi vicina ai nemici e di attaccare battaglia con loro. [2] Dopo questi inviò circa seimila fanti armati di lancia; fece poi muovere dal campo anche il resto dell'esercito, pensando che tutto sarebbe stato deciso dalla loro apparizione, esaltato dal numero dei suoi uomini e dalla vittoria riportata il giorno prima con i cavalieri. [3] Si era attorno al solstizio d'inverno [21 dicembre] ed era una giornata di neve e freddo eccezionali; poiché tutti o quasi tutti gli uomini e i cavalli erano usciti digiuni, dapprima l'esercito resistette con lo slancio e l'ardore, [4] ma, quando si giunse al guado del fiume Trebbia, poiché la corrente si era ingrossata per la pioggia caduta durante la notte nelle zone al di sopra degli accampamenti, i fanti lo attraversarono a fatica, immersi nell'acqua fino al petto; [5] l'esercito soffriva perciò per il freddo e per le privazioni, poiché ormai avanzava il giorno. [6] I Cartaginesi, invece, dopo aver mangiato e bevuto nelle tende e aver preparato i cavalli, si ungevano e si armavano tutti intorno al fuoco. [7] Annibale, che aspettava il momento favorevole, non appena vide che i Romani avevano attraversato il fiume, mise avanti in copertura i lancieri e i Baleari, che erano circa ottomila, e cominciò a far uscire l'esercito. [8] E, avanzato per circa otto stadi [ca. 1,5 km.] davanti all'accampamento, schierò su una sola linea i fanti, che erano circa ventimila, Iberi, Celti e Libi, [9] mentre suddivise e dispose su ciascuna delle due ali i cavalieri, che erano oltre diecimila con gli alleati celti, e, spartiti gli elefanti davanti alle ali, li usò a copertura di entrambe. [10] Tiberio nello stesso momento richiamava i cavalieri, constatando che non sapevano come fronteggiare i nemici, poiché i Numidi si ritiravano agevolmente e in ordine sparso, ma poi facevano dietrofront e venivano loro addosso con un coraggio temerario – questo è tipico del modo di combattere numidico –; [11] dispose secondo gli schieramenti in uso presso di loro i fanti, che erano circa sedicimila Romani e circa ventimila alleati. [12] Di tanti uomini, infatti, si compone presso di loro l'esercito al completo per le imprese importanti, quando le circostanze riuniscono insieme entrambi i consoli. [13] In seguito, posti su ciascuna delle due ali i cavalieri, che erano circa quattromila, portava ai nemici un attacco imponente, avanzando in ordine schierato e al passo.
Note218 a.C.
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PASSO
LocalizzazioneIII, 73
Traduzione[1] Quando furono ormai vicini gli uni agli altri, si accese la mischia tra gli armati alla leggera posti davanti ai due eserciti. [2] In questa fase, i Romani erano inferiori sotto molti punti di vista, mentre superiore risultava l'azione dei Cartaginesi, [3] in quanto i fanti romani armati di lancia soffrivano fin dall'alba e avevano lanciato la maggior parte dei loro dardi nello scontro con i Numidi, e quelli che restavano erano stati resi inutilizzabili dalla continua umidità. [4] In una condizione simile si trovavano anche i cavalieri e l'intero loro esercito. [5] Le condizioni dei Cartaginesi, invece, erano opposte: essendo stati schierati, infatti, integri e freschi, erano pieni di ardore e pronti a fronteggiare ogni evenienza. [6] Perciò, non appena quelli che combattevano davanti si ritirarono attraverso gli spazi tra le schiere e si scontrarono tra loro i soldati con armatura pesante, i cavalieri cartaginesi subito cominciarono a pressare i nemici da entrambe le ali, in quanto erano molto superiori per il numero e per il vigore loro e dei cavalli per essere usciti, come si è detto, integri dai campo; [7] dalla parte dei Romani, invece, essendo retrocessi i cavalieri e rimaste sguarnite le ali della falange, i lancieri cartaginesi e la massa dei Numidi, sorpassando i loro compagni schierati davanti e piombando addosso ai Romani alle ali, provocavano loro molti danni e non lasciavano che combattessero con i nemici sul fronte. [8] I soldati con armatura pesante, che da entrambe le parti occupavano i settori avanzati e centrali dell'intero schieramento, per molto tempo continuarono a combattere corpo a corpo, ingaggiando uno scontro equilibrato.
Note218 a.C.
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PASSO
LocalizzazioneIII, 74
Traduzione[1] In questo momento, allorché i Numidi balzarono fuori dai nascondigli e piombarono all'improvviso, alle spalle, addosso a quelli che combattevano nel centro, le truppe romane vennero a trovarsi in grande confusione e difficoltà. [2] Infine tutte e due le ali di Tiberio, pressate di fronte dagli elefanti, intorno e sui fianchi dagli armati alla leggera, furono volte in fuga e spinte, nell'inseguimento, verso il fiume sottostante. [3] Quando ciò avvenne, tra i Romani schierati al centro del combattimento coloro che stavano dietro fecero una brutta fine, uccisi dagli aggressori usciti dai nascondigli, [4] mentre coloro che occupavano i primi posti, spinti dalla necessità, prevalsero sui Celti e su una parte dei Libi e, avendone uccisi molti, spezzarono lo schieramento dei Cartaginesi. [5] Ma, vedendo che i soldati sulle proprie ali erano stati ricacciati indietro, rinunciarono a portare soccorso a costoro o a tornare indietro al loro campo, sia perché temevano il gran numero dei cavalieri, sia perché erano ostacolati dal fiume e bersagliati da un violento scroscio di pioggia. [6] Conservando lo schieramento, si ritirarono compatti, senza correre rischi, a Piacenza, in non meno di diecimila. [7] Degli altri, la maggior parte fu sterminata nei pressi del fiume dagli elefanti e dai cavalieri, [8] mentre i fanti che scamparono e la maggior parte dei cavalieri, ritirandosi verso i reparti prima ricordati, tornarono a Piacenza insieme a loro. [9] L'esercito cartaginese, inseguiti i nemici tino al fiume, non potendo più avanzare oltre a causa del maltempo, tornò indietro al campo. [10] Ed erano tutti pieni di gioia per aver condotto a buon fine la battaglia: erano, infatti, periti pochi Iberi e Libici, e Celti in numero maggiore; [11] si trovavano, però, in una situazione così terribile a causa delle piogge e della neve sopraggiunta che persero tutti gli elefanti tranne uno, e molti, sia tra gli uomini che tra i cavalli, morivano di freddo.
Note218 a.C.
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PASSO
LocalizzazioneIII, 75
Traduzione[1] Tiberio [Sempronio Longo], conoscendo i fatti ma volendo nei limiti del possibile nascondere l'accaduto a quelli di Roma, mandò a riferire che nella battaglia appena avvenuta il maltempo aveva sottratto loro la vittoria. [2] I Romani sul momento prestarono fede alle notizie che giungevano, ma dopo non molto, quando appresero che i Cartaginesi mantenevano il loro accampamento e che i Celti erano tutti passati dalla loro parte, stringendo amicizia con loro, [3] mentre i loro uomini, dopo aver abbandonato il campo, si erano ritirati dalla battaglia, si erano tutti raccolti nelle città e si rifornivano dal mare dei beni di prima necessità, trasportati risalendo il fiume Po, capirono sin troppo chiaramente come erano andate le cose nel combattimento. [4] Perciò, di fronte a un fatto che appariva loro sconvolgente, dedicavano particolare attenzione ai preparativi, e soprattutto alla sorveglianza dei luoghi più esposti, mandando legioni in Sardegna e in Sicilia, nonché presidi a Taranto e negli altri luoghi opportuni; allestirono anche sessanta quinqueremi. [5] Gneo Servilio e Gaio Flaminio, che erano i consoli eletti allora, riunivano gli alleati e arruolavano le proprie legioni. [6] Facevano anche portare i rifornimenti in parte a Rimini, in parte in Tirrenia, con l'intento di condurre la spedizione in quei luoghi. [7] Mandarono anche a chiedere aiuto a Ierone, che inviò loro cinquecento Cretesi e mille peltasti: facevano tutti i preparativi ovunque senza risparmiarsi. [8] I Romani, infatti, sono più che mai temibili, sia in pubblico, sia in privato, proprio quando incombe su di loro una minaccia reale.
Note217 a.C.
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PASSO
LocalizzazioneIII, 77.2-4
Traduzione[2] Intanto Gneo Servilio tornava indietro in direzione di Rimini, per cercare di impedire l'invasione dei nemici da questa parte. [3] Annibale, che svernava nel territorio dei Celti, teneva sotto sorveglianza, tra i prigionieri presi in battaglia, i Romani, cui concedeva viveri in quantità sufficiente; [4] quanto poi ai loro alleati, cominciò col trattarli con la massima umanità, e in seguito li radunò e prese a incoraggiarli, affermando di essere venuto a muovere guerra non contro di loro, ma in loro difesa contro i Romani.
Note217 a.C.
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PASSO
LocalizzazioneIII, 78.1-5
Traduzione[1] Nel periodo in cui svernava, ricorse anche a uno stratagemma fenicio di questo tipo. [2] Temendo l'incostanza dei Celti e insidie alla sua persona, dato che l'amicizia con costoro era recente, si procurò delle parrucche, adatte all'aspetto di persone di età completamente diverse, [3] che indossava cambiandosi in continuazione; allo stesso modo, indossava di volta in volta anche le vesti adatte alle parrucche. [4] In tal modo era difficile da riconoscere non solo per chi lo vedeva all'improvviso, ma anche per chi era entrato in rapporti di familiarità con lui.
[5] Vedendo i Celti infastiditi dal fatto che la guerra si protraesse sul loro territorio e ansiosi e in fermento all'idea di condurla sul territorio nemico, ufficialmente per ira contro i Romani, ma più che altro per le possibilità di guadagno, decise di levare il campo al più presto e di esaudire i desideri delle truppe.

Note217 a.C.
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PASSO
LocalizzazioneIII, 86.1-2
Traduzione[1] Nel periodo della battaglia [del Trasimeno] Gneo Servilio, il console che presidiava la zona di Rimini [2] – questa zona è sulla costa dell'Adriatico, dove le pianure della Gallia si uniscono al resto dell'Italia, non lontano dallo sbocco in mare delle foci del Po –.
Note217 a.C.
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PASSO
LocalizzazioneIII, 88.8
TraduzioneDopo essersi ricongiunto nei pressi di Narni con le truppe venute in soccorso da Rimini, [Fabio Massimo] rilevò dal console Gneo [Servilio] la campagna di terra e lo inviò sotto scorta a Roma, avendogli dato istruzioni, qualora i Cartaginesi facessero qualche movimento sul mare, di intervenire ogni volta le circostanze lo richiedessero.
Note217 a.C.
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PASSO
LocalizzazioneIII, 108.8
Traduzione[Il console Lucio Emilio Paolo:] «Quelli che sono stati battuti nei pressi del fiume Trebbia, infatti, che erano arrivati dalla Sicilia il giorno prima, si sono schierati in battaglia alle prime luci dell'alba del giorno successivo».
Note216 a.C.
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PASSO
LocalizzazioneV, 29.7
TraduzioneIn questo periodo Annibale, invasa l'Italia, era accampato di fronte alle truppe dei Romani nei pressi del fiume chiamato Po.
Note218 a.C.
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PASSO
LocalizzazioneXV, 11.8
Traduzione[Prima di Zama, Annibale] Soprattutto chiedeva loro di tenere ben presenti, oltre ai combattimenti parziali e agli innumerevoli successi, la battaglia nei pressi del fiume Trebbia contro il padre dell'attuale generale romano, e così pure la battaglia in Tirrenia contro Flaminio, e ancora quella combattuta nei pressi di Canne contro Emilio.
Note203 a.C.
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PASSO
LocalizzazioneXXXIII, 10.1
TraduzioneQuinto, dopo aver radunato le proprie forze nella città di Piacenza ed aver percorso la strada che attraversa gli Appennini [il console Quinto Opimio] giunse nella terra degli Ossibi.
Note154 a.C.
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COMPILAZIONE
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Data2011
NomeAssorati G.
AGGIORNAMENTO – REVISIONE
Data2021
NomeParisini S.

ultima modifica: 16/02/2022
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