FONTE
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AutoreTito Livio
Titolo operaAb Urbe Condita (V-XXI)
Anno15/20 ca. d.C.
Periodoetà giulio-claudia
EpocaAlto Imperiale
Noteed.: L. Perelli (a cura di), Storie di Tito Livio, Torino 1970-1997 (trad. libri 1-5: L. Perelli; 21-25: P. Ramondetti; libri 36-40: A. Ronconi e B. Scardigli; 41-45 e frammenti: G. Pascucci).
PASSO
LocalizzazioneV, 33
Testo originale[1] Expulso cive quo manente, si quicquam humanorum certi est, capi Roma non potuerat, adventante fatali urbi clade, legati ab Clusinis veniunt auxilium adversus Gallos petentes. [2] Eam gentem traditur fama dulcedine frugum maximeque vini, nova tum voluptate, captam Alpes transisse agrosque ab Etruscis ante cultos possedisse; [3] et invexisse in Galliam vinum inliciendae gentis causa Arruntem Clusinum ira corruptae uxoris ab Lucumone, cui tutor ipse fuerat, praepotente iuvene et a quo expeti poenae, nisi externa vis quaesita esset, nequirent; [4] hunc transeuntibus Alpes ducem auctoremque Clusium oppugnandi fuisse. Equidem haud abnuerim Clusium Gailos ab Arrunte seu quo alio Clusino adductos; [5] sed eos qui oppugnaverint Clusium non fuisse qui primi Alpes tran sierint satis constat. Ducentis quippe annis ante quam Clusium oppugnarent urbemque Romam caperent, in Italiam Galli transcenderunt; [6] nec cum his primum Etruscorum, sed multo ante cum iis qui inter Appenninum Alpes que incolebant saepe exercitus Gallici pugnavere. [7] Tuscorum ante Romanum imperium late terra marique opes patuere. Mari supero inferoque, quibus Italia insulae modo cingitur, quantum potuerint nomina sunt argumento, [8] quod alterum Tuscum communi vocabulo gentis, alterum Hadriaticum [mare] ab Hadria, Tuscorum colonia, vocavere Italicae gentes; Graeci eadem Tyrrhenum atque Hadriaticum vocant. [9] Et in utrumque mare vergentes incoluere urbibus duodenis terras, prius cis Appenninum ad inferum mare, postea trans Appenninum totidem, quot capita originis erant, coloniis missis, [10] quae trans Padum omnia loca, excepto Venetorum angulo qui sinum circumcolunt maris, usque ad Alpes tenuere. [11] Alpinis quoque ea gentibus haud dubie origo est, maxime Raetis, quos loca ipsa efferarunt ne quid ex antiquo praeter sonum linguae, nec eum incorruptum, retinerent.
Traduzione[1] Dopo l'espulsione di quel cittadino, con la cui presenza, se qualcosa di certo vi è nelle cose umane, Roma non avrebbe potuto essere presa, avvicinandosi la rovina fatale della città, vennero da Chiusi ambasciatori a chiedere aiuti contro i Galli. [2] La tradizione narra che quel popolo, mosso dall'attrattiva delle messi e soprattutto del vino, piacere nuovo per esso, passò le Alpi e occupò i territori prima coltivati dagli Etruschi; [3] e introdusse il vino in Gallia per adescare quella gente Arunte da Chiusi, il quale voleva vendicarsi di Lucumone che gli aveva sedotto la moglie; Lucumone, di cui egli era stato tutore, era un giovane assai potente, di cui non era possibile vendicarsi se non ricorrendo ad una forza straniera; [4] questo Arunte guidò i Galli nel passaggio delle Alpi, e li consigliò di attaccare Chiusi. Invero io non voglio negare che i Galli siano stati condotti a Chiusi da Arunte o da qualche altro cittadino di Chiusi; [5] ma è certo che i Galli che assalirono Chiusi non furono i primi a passare le Alpi. Infatti i Galli scesero in Italia duecento anni prima che assalissero Chiusi e prendessero la città di Roma; [6] e non furono questi i primi Etruschi con cui combatterono gli eserciti dei Galli, ma molto tempo prima più volte essi vennero a battaglia con quegli Etruschi che abitavano fra gli Appennini e le Alpi. [7] Prima della dominazione romana la potenza etrusca si estendeva ampiamente per terra e per mare; i nomi dei due mari, superiore e inferiore, da cui l'Italia è cinta a guisa di un'isola, offrono una testimonianza della loro potenza, [8] poiché l'uno le popolazioni italiche chiamarono mare Tosco, nome comune all'intera gente, e l'altro Adriatico, dalla colonia etrusca di Adria; i Greci li chiamano pure Tirreno e Adriatico. [9] Si stabilirono nelle terre che si stendono fra entrambi i mari, fondando dapprima dodici città nella regione fra l'Appennino e il mare Tirreno, e poi mandando al di là dell'Appennino altrettante colonie quante erano le città di origine; [10] occuparono così tutta la regione al di là del Po fino alle Alpi, eccettuato l'angolo abitato dai Veneti intorno all'estremità del mare Adriatico. [11] Anche alcune popolazioni alpine sono senza dubbio di origine etrusca, soprattutto i Reti; la natura stessa dei luoghi poi li imbarbarì al punto che non mantennero alcuna delle caratteristiche antiche se non il dialetto, ed anche questo corrotto.
NoteIX-V sec. a.C.
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LocalizzazioneV, 35
Testo originale[1] Alia subinde manus Cenomanorum i Elitovio duce vestigia priorum secuta eodem saltu favente Belloveso cum transcendisset Alpes, ubi nunc Brixia ac Verona urbes sunt locos tenuere. [2] Libui considunt post hos Salluviique, prope antiquam gentem Laevos Ligures incolentes circa Ticinum amnem. Poeninum deinde Boi Lingonesque transgressi, cum iam inter Padum atque Alpes omnia tenerentur, Pado ratibus traiecto non Etruscos modo, sed etiam Umbros agro pellunt; intra Appenninum tamen sese tenuere. [3] Tum Senones, recentissimi advenarum, ab Utente flumine usque ad Aesim fines habuere. Hanc gentem Clusium Romamque inde venisse comperio; id parum certum est, solamne an ab omnibus Cisalpinorum Gallorum populis adiutam. [4] Clusini novo bello exterriti, cum multitudinem, cum formas hominum invisitatas cernerent et genus armorum, audirentque saepe ab iis cis Padum ultraque legiones Etruscorum fusas, quamquam adversus Romanos nullum eis ius societatis amicitiaeve erat, nisi quod Veientes consanguineos adversus populum Romanum non defendissent, legatos Romam qui auxilium ab senatu peterent misere. [5] De auxilio nihil impetratum; legati tres M. Fabi Ambusti filii missi, qui senatus populique Romani nomine agerent cum Gallis, ne, a quibus nullam iniuriam accepissent, socios populi Romani atque amicos oppugnarent. [6] Romanis eos bello quoque, si res cogat, tuendos esse; sed melius visum bellum ipsum amoveri, si posset, et Gallos, novam gentem, pace potius cognosci quam armis.
Traduzione[1] Successivamente un altro gruppo composto di Cenomani, sotto il comando di Elitovio, seguendo le orme dei precedenti invasori, avendo varcato le Alpi per lo stesso passo, con l'appoggio di Belloveso, occupò le terre dove ora vi sono le città di Brescia e Verona. [2] Dopo di questi si stabilirono in Italia i Libui e i Salluvi, accanto all'antica gente ligure dei Levi, dimorando nei pressi del Ticino. Per le Alpi Pennine poi passarono i Boi e i Lingoni, e fra il Po e le Alpi essendo già tutte le terre occupate, varcato il Po con zattere cacciarono dalle loro sedi non solo gli Etruschi, ma anche gli Umbri: però non oltrepassarono gli Appennini. [3] Infine i Senoni, ultimi fra gli invasori, occuparono il territorio che si stende dal fiume Montone fino all'Esino. Mi risulta essere questa la gente che venne a Chiusi e a Roma; non è certo però se fu sola oppure aiutata da tutti i popoli della Gallia Cisalpina. [4] I Chiusini, spaventati dalla nuova guerra, al vedere il grande numero e l'eccezionale corporatura dei nemici e la foggia delle armi, e udendo che al di là e al di qua del Po avevano spesso disfatti gli eserciti etruschi, per quanto verso i Romani non avessero alcun rapporto di alleanza o amicizia, salvo il fatto che non avevano soccorso i consanguinei Veienti contro il popolo romano, mandarono ambasciatori a Roma per chiedere aiuti al senato. [5] Circa gli aiuti non ottennero nulla, però furono mandati come ambasciatori i tre figli di Marco Fabio Ambusto, per trattare coi Galli a nome del senato e del popolo romano, invitandoli a non attaccare degli alleati e amici del popolo romano, da cui non avevano ricevuto alcuna offesa: [6] i Romani erano pronti a soccorrerli anche scendendo in guerra, se la situazione l'avesse reso necessario; ma era parso miglior partito tener lontana la guerra stessa, se era possibile, e far conoscenza coi Galli, gente finora ignota, nella pace piuttosto che nelle armi.
NoteV sec. a.C.
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LocalizzazioneXX periocha
Testo originaleFalisci cum rebellassent, sexto die perdomiti in deditionem venerunt. Spoletium colonia deducta est. Adversus Ligures tunc primum exercitus promotus est. Sardi et Corsi, cum rebellassent, subacti sunt. Tuccia virgo Vestalis incesti damnata est. Bellum Illyriis propter unum ex legatis, qui ad eos missi erant, occisum indictum est, subactique in deditionem venerunt. Praetorum numerus ampliatus est, ut essent quattuor. Galli Transalpini, qui in Italiam inruperant, caesi sunt. Eo bello populum Romanum sui Latinique nominis octingenta milia armatorum habuisse dicit. Exercitibus Romanis tunc primum trans Padum ductis Galli Insubres aliquot proeliis fusi in deditionem venerunt. M. Claudius Marcellus consul occiso Gallorum Insubrium duce Virdomaro opima spolia rettulit. Histri subacti sunt. Item Illyrii cum rebellassent, domiti in deditionem venerunt. Lustrum a censoribus ter conditum est; primo lustro censa sunt civium capita CCLXX (milia) CCXII. Libertini in quattuor tribus redacti sunt, cum antea dispersi per omnes fuissent, Esquilinam, Palatinam, Suburanam, Collinam. [C. Flaminius censor viam Flaminiam] muniit et circum Flaminium exstruxit. Coloniae deductae sunt in agro de Gallis capto Placentia et Cremona.
TraduzioneI Falisci si ribellarono, ma dopo sei giorni vinti si arresero. Fu fondata la colonia di Spoleto. Per la prima volta un esercito mosse contro i Liguri. I Sardi e i Corsi, che si erano ribellati, furono sottomessi. La vergine Vestale Tuccia fu condannata per aver violato la castità. Fu dichiarata guerra agli Illiri, perché avevano ucciso uno degli ambasciatori che erano stati mandati presso di loro; furono soggiogati e fu accolta la loro resa. Il numero dei pretori fu aumentato a quattro. I Galli Transalpini che avevano fatto irruzione in Italia furono disfatti. In questa guerra l'autore dice che il popolo romano, insieme con gli alleati latini, aveva in armi 800.000 uomini. Per la prima volta gli eserciti romani oltrepassarono il Po; i Galli Insubri sconfitti in diverse battaglie si arresero. Il console Marco Claudio Marcello, ucciso il comandante dei Galli Insubri, Viridomaro, riportò le spoglie opime. Gli Istri furono sottomessi. Gli Illiri, che si erano ribellati, furono domati e costretti alla resa. Fu tenuto il censimento per tre volte dai censori; nel primo censimento furono censiti 270.212 cittadini. I liberti furono assegnati a quattro tribù, l'Esquilina, la Palatina, la Suburrana e la Collina, mentre prima erano dispersi per tutte le tribù. Il censore Caio Flaminio costruì la via Flaminia ed edificò il circo Flaminio. Nel territorio tolto ai Galli furono fondate le colonie di Piacenza e di Cremona.
NoteVia Flaminia: 220 a.C.; fondazione di Piacenza: 218 a.C.
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LocalizzazioneXV periocha
Testo originaleVictis Tarentinis pax et libertas data est. Legio Campana, quae Regium occupaverat, obsessa deditione facta securi percussa est. Cum legatos Apolloniatium ad senatum missos quidam iuvenes pulsassent, dediti sunt Apolloniatibus. Picentibus victis pax data est. Coloniae deductae Ariminum in Piceno, Beneventum in Samnio. Tunc primum populus Romanus argento uti coepit. Umbri et Sallentini victi in deditionem accepti sunt. Quaestorum numerus ampliatus est, ut essent octo.
TraduzioneI Tarentini furono vinti e furono concesse loro pace e libertà. La legione campana che aveva occupato Reggio, assediata e costretta ad arrendersi, fu condannata alla decapitazione. Alcuni giovani, che avevano percosso gli ambasciatori degli Apolloniati mandati al senato, furono consegnati agli Apolloniati. Ai Picenti vinti fu concessa la pace. Furono fondate le colonie di Rimini nel Piceno e di Benevento nel Sannio. Allora per la prima volta popolo romano cominciò ad usare monete d'argento. Gli Umbri e i Sallentini furono sconfitti e ne fu accolta la resa. Il numero dei questori fu accresciuto e portato a otto.
NoteFondazione di Rimini: 268 a.C.
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LocalizzazioneXXI, 17
Testo originale[1] Nominatae iam antea consulibus provinciae erant; tum sortiri iussi. Cornelio Hispania, Sempronio Africa cum Sicilia evenit. [2] Sex in eum annum decretae legiones et socium quantum ipsis videretur et classis quanta parari posset. [3] Quattuor et viginti peditum Romanorum milia scripta et mille octingenti equites, sociorum quadraginta milia peditum, quattuor milia et quadringenti equites; naves ducentae viginti quinqueremes, celoces viginti deducti. [4] Latum inde ad populum, vellent iuberent populo Carthaginiensi bellum indici; eiusque belli causa supplicatio per urbem habita atque adorati dii, ut bene ac feliciter eveniret quod bellum populus Romanus iussisset. [5] Inter consules ita copiae divisae: Sempronio datae legiones duae — ea quaterna milia erant peditum et treceni equites — et sociorum sedecim milia peditum, equites mille octingenti, naves longae centum sexaginta, celoces duodecim. [6] Cum his terrestribus maritimisque copiis Ti. Sempronius missus in Siciliam, ita in Africam transmissurus, si ad arcendum Italia Poenum consul alter satis esset. [7] Cornelio minus copiarum datum, quia L. Manlius praetor et ipse cum haud invalido praesidio in Galliam mittebatur; [8] navium maxime Cornelio numerus deminutus: sexaginta quinqueremes datae — neque enim mari venturum aut ea parte belli dimicaturum hostem credebant — et duae Romanae legiones cum suo iusto equitatu et quattuordecim milibus sociorum peditum, equitibus mille sescentis. [9] Duas legiones Romanas et decem milia sociorum peditum, mille equites socios, sescentos Romanos Gallia provincia eodemversa in Punicum bellum habuit.
Traduzione[1] Già prima erano state designate le zone d'azione dei consoli; allora si ordinò loro di procedere al sorteggio. A Cornelio toccò la Spagna, a Sempronio l'Africa con la Sicilia. [2] Per quell'anno furono decretate sei legioni e tutte le truppe ausiliarie che gli stessi consoli giudicassero opportune e tutte le navi che fosse possibile apprestare. [3] Furono arruolati ventiquattromila fanti romani e milleottocento cavalieri, e tra gli alleati quarantamila fanti e quattromilaquattrocento cavalieri; furono varate duecentoventi navi a cinque ordini di remi e venti navi leggere. [4] Quindi fu proposto al popolo che decretasse ed ordinasse che fosse dichiarata guerra al popolo cartaginese; e per quella guerra fu tenuta una supplicazione attraverso la città e furono adorati gli dèi, affinché avesse buono e felice esito la guerra che il popolo romano aveva ordinato. [5] Fra i consoli le truppe furono così suddivise: a Sempronio furono assegnate due legioni — ciascuna di quattromila fanti e trecento cavalieri — con sedicimila fanti e milleottocento cavalieri alleati, centosessanta navi da guerra, dodici navi leggere. [6] Con queste truppe di terra e di mare Ti. Sempronio fu mandato in Sicilia, con il compito di passare in Africa a patto che l'altro console bastasse a tener lontano il Cartaginese dall'Italia. [7] A Cornelio furono assegnate truppe meno numerose, poiché veniva inviato in Gallia il pretore L. Manlio, anch'egli con un valido presidio; [8] soprattutto fu basso il numero di navi assegnato a Cornelio: sessanta quinqueremi — si credeva infatti che il nemico non sarebbe arrivato per mare né avrebbe combattuto in quella zona della guerra — oltre a due legioni romane con la loro regolare cavalleria, e quattordicimila fanti e milleseicento cavalieri alleati. [9] La provincia della Gallia, posta sul medesimo versante della guerra punica, ottenne due legioni romane e diecimila fanti alleati, mille cavalieri alleati e seicento cavalieri romani.
Note218 a.C.
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LocalizzazioneXXI, 25
Testo originale[1] In Italiam interim nihil ultra quam Hiberum transisse Hannibalem a Massiliensium legatis Romam perlatum erat, [2] cum, perinde ac si Alpis iam transisset, Boi sollicitatis Insubribus defecerunt nec tam ob veteres in populum Romanum iras, quam quod nuper circa Padum Placentiam Cremonamque colonias in agrumdeductas aegre patiebantur. [3] Itaque armis repente arreptis in eum ipsum agrum impetu facto tantum terroris ac tumultus fecerunt, ut non agrestis modo multitudo, sed ipsi triumviri Romani, qui ad agrum venerant adsignandum, diffisi Placentiae moenibus Mutinam confugerint, C. Lutatius C. Servilius M. Annius. [4] Lutati nomen haud dubium est; pro Annio Servilioque M'. Acilium et C. Herennium habent quidam annales, alii P. Cornelium Asinam et C. Papirium Masonem. [5] Id quoque dubium est, legati ad expostulandum missi ad Boios violati sint, an in triumviros agrum metantis impetus sit factus. [6] Mutinae cum obsiderentur et gens ad oppugnandarum urbium artes rudis, pigerrima eadem ad militaria opera, segnis intactis adsideret muris, simulari coeptum de pace agi, [7] evocatique ab Gallorum principibus legati ad conloquium non contra ius modo gentium, sed violata etiam, quae data in id tempus erat, fide conprehenduntur negantibus Gallis, nisi obsides sibi redderentur, eos dimissuros. [8] Cum haec de legatis nuntiata essent et Mutina praesidiumque in periculo esset, L. Manlius praetor ira accensus effusum agmen ad Mutinam ducit. [9] Silvae tunc circa viam erant plerisque incultis. Ibi inexplorato profectus in insidias praecipitatur multaque cum caede suorum aegre in apertos campos emersit. [10] Ibi castra communita et, quia Gallis ad temptanda ea defuit spes, refecti sunt militum animi, quamquam ad quingentos cecidisse satis constabat. [11] Iter deinde de integro coeptum nec, dum per patentia loca ducebatur agmen, apparuit hostis; [12] ubi rursus silvae intratae, tum postremos adorti cum magna trepidatione ac pavore omnium septingentos milites occiderunt, sex signa ademere. [13] Finis et Gallis territandi et pavendi fuit Romanis, ut e saltu invio atque impedito evasere. Inde apertis locis facile tutantes agmen Romani Tannetum, vicum propinquum Pado, contendere. [14] Ibi se munimento ad tempus commeati busque fluminis et Brixianorum etiam Gallorum auxilio adversus crescentem in dies multitudinem hostium tutabantur.
Traduzione[1] Intanto nessun'altra notizia oltre al passaggio dell'Ebro da parte di Annibale era stata portata in Italia a Roma dagli ambasciatori marsigliesi, [2] quando, come se egli avesse già oltrepassato le Alpi, i Boi, indotti alla rivolta anche gli Insubri, si ribellarono, e non tanto per i vecchi rancori nei confronti del popolo romano, quanto perché mal tolleravano che poco prima fossero state fondate vicino al Po le colonie di Piacenza e di Cremona, in territorio gallico. [3] Perciò, prese improvvisamente le armi, fatta un'irruzione in quello stesso territorio, provocarono un così grande terrore e scompiglio, che non solo molti coloni dei campi, ma gli stessi triumviri romani, G. Lutazio, G. Servilio, M. Annio, i quali erano venuti per assegnare le terre, ritenendo malsicure le mura di Piacenza, si rifugiarono a Modena. [4] Il nome di Lutazio è sicuro; in luogo di Annio e di Servilio certi annali citano M'. Acilio e G. Erennio, altri P. Cornelio Asina e G. Papirio Masone. [5] È anche incerto se siano stati malmenati gli ambasciatori inviati presso i Boi a presentare rimostranze o se siano stati assaliti i triumviri intenti a misurare il terreno. [6] Mentre (coloni e triumviri) erano assediati in Modena e quel popolo, che non sapeva come si assediano le città e per di più era assai svogliato nel compiere i lavori militari, se ne stava accampato con indolenza presso le mura senza assalirle, si diede inizio a finte trattative di pace, [7] e i legati chiamati a colloquio dai Galli vennero arrestati — non solo contro il diritto internazionale, ma anche con violazione della sicurezza personale garantita per quella circostanza — mentre i Galli affermavano che non li avrebbero lasciati liberi se non fossero stati loro restituiti gli ostaggi. [8] Poiché erano giunte queste notizie relative ai legati e Modena con la sua guarnigione era in pericolo, il pretore L. Manlio infiammato d'ira fa marciare verso Modena l'esercito in ordine sparso. [9] A quei tempi la strada era fiancheggiata da boschi, poiché quei luoghi erano per lo più incolti. Quivi, essendosi messo in marcia senza aver prima fatto ricognizioni, cadde in un'insidia e con molta strage dei suoi soldati a fatica riuscì a trarsi fuori in aperta campagna. [10] Quivi fu posto un accampamento fortificato e, poiché ai Galli venne meno la speranza di poterlo attaccare, gli animi dei soldati si rinfrancarono, sebbene fosse cosa certa che ne erano caduti circa cinquecento. [11] Poi si ricominciò daccapo la marcia ed il nemico non si fece più vedere, fintantoché l'esercito era condotto attraverso luoghi scoperti; [12] quando di nuovo ci si inoltrò nei boschi, allora i Galli, assalita la retroguardia, con grande affanno e spavento di tutti, uccisero settecento soldati, portarono via sei insegne. [13] I Galli cessarono di incutere terrore e i Romani di provare paura allorché si furono lasciati alle spalle quella regione selvosa impraticabile e difficilmente accessibile. Poi i Romani, potendo difendere l'esercito in marcia attraverso luoghi scoperti, si diressero a Tanneto, villaggio nei pressi del Po. [14] Quivi si proteggevano con fortificazioni provvisorie e con approvvigionamenti per via fluviale e con l'aiuto dei Bresciani, pure essi Galli, contro il gran numero, di giorno in giorno crescente, dei nemici.
Note218 a.C.
PASSO
LocalizzazioneXXI, 43
Testo originale[1] Cum sic aliquot spectatis paribus adfectos dimisisset, contione inde advocata ita apud eos locutus fertur: [2] «Si, quem animum in alienae sortis exemplo paulo ante habuistis, eundem mox in aestimanda fortuna vestra habueritis, vicimus, milites; neque enim spectaculum modo illud, sed quaedam veluti imago vestrae condicionis erat. [3] Ac nescio an maiora vincula maioresque necessitates vobis quam captivis vestris fortuna circumdederit; [4] dextra laevaque duo claudunt nullam ne ad effugium quidem navem habentis; circa Padus amnis, maior Padus ac violentior Rhodano; ab tergo Alpes urgent, vix integris vobis ac vigentibus transitae. [5] Hic vincendum aut moriendum, milites, est, ubi primum hosti occurristis. Et eadem fortuna, quae necessitatem pugnandi imposuit, praemia vobis ea victoribus proponit, quibus ampliora homines ne ab diis quidem immortalibus optare solent. [6] Si Siciliam tantum ac Sardiniam parentibus nostris ereptas nostra virtute recuperaturi essemus, satis tamen ampia pretia essent; nunc quidquid Romani tot triumphis partum congestumque possident, id omne vestrum cum ipsis dominis futurum est. [7] In hanc tam opimam mercedem, agitedum, diis bene iuvantibus arma capite! [8] Satis adhuc in vastis Lusitaniae Celtiberiaeque montibus pecora consectando nullum emolumentum tot laborum periculorumque vestrorum vidistis; [9] tempus est iam opulenta vos ac ditia stipendia facere et magna operae pretia mereri tantum itineris per tot montes fiuminaque et tot armatas gentes emensos. [10] Hic vobis terminum laborum fortuna dedit; hic dignam mercedem emeritis stipendiis dabit. [11] Nec, quam magni nominis bellum est, tam difficilem existimaritis victoriam fore; saepe et contemptus hostis cruentum certamen edidit et incliti populi regesque perlevi momento victi sunt. [12] Nam dempto hoc uno fulgore nominis Romani quid est, cur illo vobis comparandi sint? [13] Ut viginti annorum militiam vestram cum illa virtute, cum illa fortuna taceam, ab Herculis columnis, ab Oceano terminisque ultimis terrarum per tot ferocissimos Hispaniae et Galliae populos vincentes huc pervenistis; [14] pugnabitis cum exercitu tirone, hac ipsa aestate caeso, victo, circumsesso a Gallis, ignoto adhuc duci suo ignorantique ducem. [15] An me in praetorio patris, clarissimi imperatoris, prope natum, certe eductum, domitorem Hispaniae Galliaeque, victorem eundem non Alpinarum modo gentium, sed ipsarum, quod multo maius est, Alpium, cum semenstri hoc conferam duce, desertore exercitus sui? [16] Cui si quis demptis signis Poenos Romanosque hodie ostendat, ignoraturum certum habeo, utrius exercitus sit consul. [17] Non ego illud parvi aestimo, milites, quod nemo est vestrum, cuius non ante oculos ipse saepe militare aliquod ediderim facinus, cui non idem ego virtutis spectator ac testis notata temporibus locisque referre sua possim decora. [18] Cum laudatis a me miliens donatisque, alumnus prius omnium vestrum quam imperator, procedam in aciem adversus ignotos inter se ignorantesque».
Traduzione[1] Lasciati andar via i soldati in questo stato d'animo dopo che ebbero assistito ad alcuni duelli, Annibale convocò poi l'assemblea e si dice abbia loro parlato così: [2] «Se presto avrete nel valutare la vostra sorte il medesimo stato d'animo che poco fa avete avuto durante l'esempio della sorte altrui, abbiamo già vinto, soldati; quello, infatti, non era soltanto uno spettacolo, ma, per così dire, una sorta d'immagine della vostra condizione. [3] E non so se la sorte non abbia posto attorno a voi catene più forti e circostanze più cogenti che attorno ai vostri prigionieri; [4] da destra e da sinistra vi chiudono due mari e non avete nessuna nave neppure per cercare uno scampo; tutt'attorno avete il fiume Po, il Po che è più grande e più impetuoso del Rodano; alle spalle vi stanno a ridosso le Alpi, che avete attraversato con grande difficoltà quando eravate freschi di forze e nel pieno del vigore. [5] Qui bisogna vincere o morire, soldati, al primo scontro con il nemico. E quella stessa sorte che vi ha reso ineluttabile il combattere, vi propone, se sarete vincitori, premi tali che gli uomini di solito non ne chiedono di più grandi agli dei immortali [6] Se per noi si trattasse di riprenderci con il nostro valore soltanto la Sicilia e la Sardegna che furono sottratte ai nostri padri, questi sarebbero lo stesso premi abbastanza ricchi; ma tutto ciò che i Romani possiedono, procacciato e accumulato in tanti trionfi, sta per essere tutto vostro insieme con gli stessi padroni. [7] Per avere questa sì ricca ricompensa, presto, prendete le armi con il favore degli dèi! [8] Abbastanza a lungo, dando la caccia al bestiame sulle brulle montagne della Lusitania e della Celtiberia, non avete visto nessuna mercede per tante fatiche e pericoli; [9] è tempo ormai che dal servizio militare ricaviate guadagni ricchi e abbondanti e otteniate grandi ricompense degne della vostra fatica, dopo aver percorso così vasto cammino attraverso tante montagne e fiumi e tanti popoli in armi. [10] Qui la sorte ha stabilito che avessero termine le vostre fatiche; qui essa vi assegnerà una adeguata mercede, finita la campagna militare. [11] E non pensiate che la vittoria sarà tanto difficile quanto grande è la risonanza della guerra; spesso un nemico sprezzato ha dato luogo a una lotta sanguinosa e d'altra parte famosi popoli e rea sono stati vinti da una circostanza insignificante. [12] Se solo eliminiamo, infatti, lo splendore del nome romano, che motivo c'è per cui li si debba paragonare a voi? [13] Per non parlare dei vostri vent'anni di campagne con il valore e con la buona fortuna che ben conosciamo, voi dalle colonne d'Ercole, dall'Oceano e dagli estremi confini della terra, attraverso tanti ferocissimi popoli della Spagna e della Gallia, vincitori siete giunti fin qui; [4] combatterete contro un esercito di reclute, che proprio quest'estate è stato massacrato, vinto, assediato dai Galli; che è ancora sconosciuto al suo comandante e che a sua volta non conosce ancora il suo comandante. [15] O dovrei forse paragonare me — che, se non proprio nato nella tenda di quel famosissimo generale che fu mio padre, se non altro vi sono stato allevato; che ho soggiogato la Spagna e la Gallia; che ho vinto nello stesso tempo non solo le popolazioni delle Alpi, ma, impresa molto più importante, le Alpi stesse — con costui, che è comandante da sei mesi, che ha abbandonato il suo esercito? [16] Se qualcuno, fatte togliere le insegne, gli mostrasse oggi Cartaginesi e Romani, sono sicuro che egli non saprebbe di quale esercito è console. [17] Io non giudico cosa da poco, soldati, che non ci sia nessuno di voi davanti ai cui occhi io stesso non abbia compiuto qualche azione di guerra, a cui io, nello stesso tempo spettatore e testimone del suo valore, non possa dar conto delle sue gesta gloriose distinguendone le date e i luoghi. [18] Insieme con voi, che mille volte siete stati lodati e avete ricevuto premi (da) me, andrò sul campo di battaglia, allievo prima che comandante di voi tutti, contro un comandante e un esercito che non si conoscono tra loro».
Note218 a.C.
PASSO
LocalizzazioneXXI, 47
Testo originale[1] Hoc primum cum Hannibale proelium fuit, quo facile apparuit et equitatu meliorem Poenum esse et ob id campos patentis, quales sunt inter Padum Alpesque, bello gerendo Romanis aptos non esse. [2] Itaque proxima nocte iussis militibus vasa silentio colligere castra ab Ticino mota festinatumque ad Padum est, ut ratibus, quibus iunxerat flumen, nondum resolutis sine tumultu atque insectatione hostis copias traiceret. [3] Prius Placentiam pervenere, quam satis sciret Hannibal ab Ticino profectos; tamen ad sescentos moratorum in citeriore ripa Padi segniter ratem solventes cepit. Transire pontem non potuit, ut extrema resoluta erant, tota rate in secundam aquam labente. [4] Coelius auctor est Magonem cum equitatu et Hispanis peditibus flumen extemplo tranasse, ipsum Hannibalem per superiora Padi vada exercitum traduxisse elephantis in ordinem ad sustinendum impetum fluminis oppositis. [5] Ea peritis amnis eius vix fidem fecerint; nam neque equites armis equisque salvis tantam vim fluminis superasse veri simile est, ut iam Hispanos omnes inflati travexerint utres, et multorum dierum circuitu Padi vada petenda fuerunt, qua exercitus gravis impedimentis traduci posset. [6] Potiores apud me auctores sunt, qui biduo vix locum rate iungendo flumini inventum tradunt; ea cum Magone equites et Hispanorum expeditos praemissos. [7] Dum Hannibal, circa flumen legationibus Gallorum audiendis moratus, traicit gravius peditum agmen, interim Mago equitesque ab transitu fluminis diei unius itinere Placentiam ad hostes contendunt. [8] Hannibal paucis post diebus sex milia a Placentia castra communivit et postero die in conspectu hostium acie derecta potestatem pugnae fecit.
Traduzione[1] Questa fu la prima battaglia con Annibale; essa mostrò chiaramente che il Cartaginese era più forte nella cavalleria e che perciò l'aperta pianura, quale è quella che si stende tra il Po e le Alpi, per i Romani non era adatta a combattervi. [2] Perciò la notte seguente, dato l'ordine ai soldati di fare i bagagli in silenzio, il campo fu levato dal Ticino e si marciò in fretta in direzione del Po, per far attraversare le truppe, senza disordine e senza inseguimento da parte del nemico, sul ponte di barche che era stato gettato sul fiume e che non era ancora stato disfatto. [3] Giunsero a Piacenza prima che Annibale sapesse con certezza della loro partenza dal Ticino; egli tuttavia catturò circa seicento ritardatari che sulla riva sinistra del Po si attardavano a sciogliere le zattere. Egli non poté passare attraverso il ponte, poiché tutto l'insieme delle zattere scivolava sull'acqua seguendo la corrente, essendo stata sciolta dagli ormeggi un'estremità del ponte. [4] Celio afferma che Magone passò subito a nuoto il fiume con i cavalieri e con i fanti ispanici, e che Annibale stesso fece passare l'esercito attraverso guadi più a monte sul Po, dopo aver collocato in fila gli elefanti perché facessero barriera contro la corrente del fiume. [5] Questa notizia a stento potrebbe trovare credito presso chi conosce bene quel fiume; è infatti inverosimile che i cavalieri abbiano vinto la così forte corrente del fiume senza che armi e cavalli subissero danni, supposto pure che tutti gli Ispani siano stati traghettati da otri gonfiati; e si sarebbe dovuto costeggiare il Po per molti giorni alla ricerca dei guadi attraverso i quali poter far passare l'esercito carico di bagagli. [6] Più degni di fede, secondo me, sono gli scrittori i quali affermano che a fatica in due giorni fu trovato un punto adatto a gettare un ponte di zattere sul fiume, e che per di là furono mandati innanzi con Magone i cavalieri (e) gli Ispani armati alla leggera. [7] Mentre Annibale, dopo essersi attardato nei pressi del fiume per dare udienza ad ambascerie galliche, fa passare la fanteria pesante, Magone e i cavalieri intanto in un sol giorno di marcia dopo il passaggio del fiume si recano a Piacenza alla volta dei nemici. [8] Annibale pochi giorni dopo trincerò il campo a sei miglia [ca. 9 km.] da Piacenza e il giorno seguente, schierato l'esercito in ordine di battaglia davanti ai nemici, offrì loro l'occasione di combattere.
Note218 a.C.
PASSO
LocalizzazioneXXI, 57
Testo originale[1] Romam tantus terror ex hac clade perlatus est, ut iam ad urbem Romanam crederent infestis signis hostem venturum nec quicquam spei aut auxilii esse, quo portis moenibusque vim arcerent, [2] uno consule ad Ticinum victo altero ex Sicilia revocato; duobus consulibus, duobus consularibus exercitibus victis quos alios duces, quas alias legiones esse, quae arcessantur? [3] Ita territis Sempronius consul advenit, ingenti periculo per effusos passim ad praedandum hostium equites audacia magis quam consilio aut spe fallendi resistendive, si non falleret, transgressus. [4] Id, quod unum maxime in praesentia desiderabatur, comitiis consularibus habilis, in hiberna rediit. Creati consules Cn. Servilius et C. Flaminius iterum. [5] Ceterum ne hiberna quidem Romanis quieta erant vagantibus passim Numidis equitibus et, ut quaeque iis impeditiora erant, Celtiberis Lusitanisque. Omnes igitur undique clausi commeatus erant, nisi quos Pado naves subveherent. [6] Emporium prope Placentiam fuit et opere magno munitum et valido firmatum praesidio. Eius castelli oppugnandi spe cum equitibus ac levi armatura profectus Hannibal, cum plurimum in celando incepto ad effectum spei habuisset, nocte adortus non fefellit vigiles. [7] Tantus repente clamor est sublatus, ut Placentiae quoque audiretur. Itaque sub lucem cum equitatu consul aderat iussis quadrato agmine legionibus segui. [8] Equestre interim proelium commissum, in quo quia saucius Hannibal pugna excessit, pavore hostibus iniecto defensum egregie praesidium est. [9] Paucorum inde dierum quiete sumpta et vixdum satis percurato vulnere ad Victumulas oppugnandas ire pergit. [10] Id emporium Romanis Gallico bello fuerat; munitum inde locum frequentaverant adcolae mixti undique ex finitimis populis, et tum terror populationum eo plerosque ex agris conpulerat. [11] Huius generis multitudo, fama inpigre defensi ad Placentiam praesidii accensa, armis arreptis obviam Hannibali procedit. [12] Magis agmina quam acies in via concurrerunt, et, cum ex altera parte nihil praeter inconditam turbam esset, in altera et dux militi et miles duci fidens, ad triginta quinque milia hominum a paucis fusa. [13] Postero die deditione facta praesidium intra moenia accepere; iussique arma tradere cum dicto paruissent, signum repente victoribus datur, ut tamquam vi captam urbem diriperent. [14] Neque ulla, quae in tali re memorabilis scribentibus videri solet, praetermissa clades est; adeo omne libidinis crudelitatisque et inhumanae superbiae editum in miseros exemplum est. Hae fuere hibernae expeditiones Hannibalis.
Traduzione[1] In conseguenza di questa sconfitta pervenne a Roma un così grande terrore, che già si credeva che fino alla città di Roma il nemico sarebbe giunto in colonne d'attacco, e che non ci fosse alcuna speranza o mezzo di soccorso con il quale tener lontano l'assalto dalle porte e dalle mura, [2] essendo stato uno dei consoli vinto al Ticino, l'altro richiamato dalla Sicilia; dopo che erano stati sconfitti due consoli, due eserciti consolari, quali altri comandanti, quali altre legioni v'erano, che potessero essere chiamate? [3] Mentre si era in preda di questo terrore, sopraggiunge il console Sempronio, dopo esser passato con enorme pericolo in mezzo ai cavalieri nemici ovunque sparsi a far preda, animato dall'audacia più che dalla prudenza o dalla speranza di eluderli o di opporre loro resistenza se non vi fosse riuscito. [4] Egli, tenuti i comizi consolari — ciò che sopra ogni altra cosa si desiderava in quel momento — ritornò nei quartieri invernali. Furono eletti consoli Gn. Servilio e G. Flaminio per la seconda volta. [5] Neppure i quartieri invernali, del resto, erano tranquilli per i Romani, poiché dappertutto si aggiravano cavalieri numidi e, in tutti i luoghi che per essi erano troppo inaccessibili, i Celtiberi e i Lusitani. Perciò i rifornimenti erano da ogni parte impediti, tranne quelli trasportati sul Po per mezzo di navi. [6] Presso Piacenza c'era un centro di deposito, fortificato con grandi opere di difesa e protetto da una forte guarnigione. Annibale, messosi in marcia con i cavalieri e gli armati alla leggera con la speranza di espugnare quel luogo fortificato, sebbene l'avesse attaccato di notte avendo riposto nell'agire di sorpresa moltissima speranza di ben riuscire nell'impresa — non poté nascondere la sua venuta alle sentinelle. [7] Così alte grida furono d'improvviso levate, che le si udiva anche a Piacenza. Perciò sul far dell'alba il console era lì con la sua cavalleria, dato il comando alle legioni di seguirlo in ordine di battaglia. [8] Intanto si diede inizio ad uno scontro equestre, durante il quale il presidio fu difeso molto bene, essendosi diffuso il panico tra i Cartaginesi poiché Annibale, ferito, si ritirò dal combattimento. [9] Riposatosi poi per pochi giorni e non appena la ferita fu guarita completamente, proseguì la marcia per portare l'attacco contro Victumulae. [10] Questo era stato un centro di deposito per i Romani durante la guerra contro i Galli; il luogo, da allora in poi fortificato, era stato popolato dagli abitanti dei dintorni misti a tutte le genti confinanti; e in quei momenti il terrore dei saccheggi aveva spinto un gran numero di persone a rifugiarvisi dai campi. [11] Tutta questa gente, eccitata dalla notizia che con slancio era stato difeso il presidio presso Piacenza, afferrate le armi marcia contro Annibale. [12] Erano schiere più che un esercito ordinato a battaglia quelle che si lanciarono all'attacco lungo la strada e, poiché da una parte non c'era nulla più che una massa disordinata, mentre nell'altra c'era un comandante che faceva affidamento su soldati i quali ricambiavano la fiducia, circa trentacinquemila uomini furono sbaragliati da poche migliaia di nemici. [13] Il giorno dopo, avvenuta la resa, (gli abitanti) accolsero una guarnigione entro le mura; e, benché essi avessero obbedito all'ordine ricevuto di consegnare le armi, improvvisamente vien dato ai vincitori il segnale di saccheggiare la città come se l'avessero presa con la forza. [14] E non fu tralasciata nessuna di quelle devastazioni che di solito agli storici sembrano degne di ricordo in fatti di tal genere; a tal punto fu dato contro quegli sventurati ogni esempio di libidine e di crudeltà e di disumana superbia. Queste furono le spedizioni invernali di Annibale.
Note218 a.C.
PASSO
LocalizzazioneXXI, 62
Testo originale[1] Romae aut circa urbem multa ea hieme prodigia facta aut, quod evenire solet motis semel in religionem animis, multa nuntiata et temere credita sunt; [2] in quis: ingenuum infantem semestrem in foro olitorio triumphum clamasse, [3] et in foro boario bovem in tertiam contignationem sua sponte escendisse atque inde tumultu habitatorum territum sese deiecisse, [4] et navium speciem de caelo adfulsisse, et aedem Spei, quae est in foro olitorio, fulmine ictam, et Lanuvi hostiam se commovisse et corvum in aedem Iunonis devolasse atque in ipso pulvinario consedisse, [5] et in agro Amiternino multis locis hominum specie procul candida veste visos nec cum ullo congressos, et in Piceno lapidibus pluvisse, et Caere sortes extenuatas et in Gallia lupum vigili gladium ex vagina raptum abstulisse. [6] Ob cetera prodigia libros adire decemviri iussi; quod autem lapidibus pluvisset in Piceno, novemdiale sacrum edictum; et subinde aliis procurandis prope tota civitas operata fuit. [7] Iam primum omnium urbs lustrata est, hostiaeque maiores quibus editum est diis caesae, [8] et donum ex auri pondo quadraginta Lanuvium Iunoni portatum est, et signum aeneum matronae Iunoni in Aventino dedicaverunt, et lectisternium Caere, ubi sortes adtenuatae erant, imperatum et supplicatio Fortunae in Algido; [9] Romae quoque et lectisternium Iuventati et supplicatio ad aedem Herculis nominatim, deinde universo populo circa omnia pulvinaria indicta, et Genio maiores hostiae caesae quinque, [10] et C. Atilius Serranus praetor vota suscipere iussus, si in decem annos res publica eodem stetisset statu. [11] Haec procurata votaque ex libris Sibyllinis magna ex parte levaverant religione animos.
Traduzione[1] Durante quell'inverno a Roma o nei dintorni della città accaddero molti prodigi o — come di solito succede una volta che sugli animi abbia fatto sentire il suo influsso il timore superstizioso — molti ne furono annunziati e sconsideratamente creduti; [2] tra questi, che un bimbo di sei mesi, di nascita libera, aveva gridato nel Foro delle erbe l'«io triumphe»; [3] e che (nel) Foro Boario un bue era salito di sua spontanea volontà fino al terzo piano e di lì si era buttato giù spaventato dalle grida degli inquilini; [4] e che dal cielo era apparsa la visione splendente di navi; e che il tempio della Speranza, il quale si trova nel Foro delle erbe, era stato colpito da un fulmine; e che a Lanuvio una vittima sacrificale si era mossa e un corvo era volato giù nel tempio di Giunone e si era posato proprio sul letto sacro, [5] e che nel territorio di Amiterno in molti luoghi erano stati visti da lontano esseri d'aspetto umano vestiti di bianco, i quali non s'erano avvicinati a nessuno; e che nel Piceno c'era stata una pioggia di pietre; e a Cere le sorti erano diminuite di volume; e in Gallia [Cisalpina] un lupo aveva preso dal fodero la spada a una sentinella e l'aveva portata via. [6] Per tutti gli altri prodigi si diede ordine ai decemviri di consultare i libri; per la pioggia di pietre avvenuta nel Piceno fu indetto un rito espiatorio di nove giorni; e subito dopo quasi tutta la cittadinanza attese all'espiazione degli altri prodigi. [7] Subito in primo luogo fu purificata la città e furono sacrificate vittime adulte agli dèi a ciò destinati dai responsi, [8] e fu portato a Lanuvio un dono a Giunone di quaranta libbre d'oro, e le matrone consacrarono a Giunone una statua di bronzo sull'Aventino; e furono indetti un lettisternio a Cere, dove le sorti erano diminuite di volume, e una supplicazione alla Fortuna sul monte Algido; [9] anche a Roma furono prescritti un lettisternio in onore della Giovinezza e una supplicazione in particolare nel tempio di Ercole, poi di tutto il popolo in tutti i templi; e al Genio furono sacrificate cinque vittime adulte; [10] e si diede ordine al pretore G. Atilio Serrano di fare voti, se per altri dieci anni lo stato fosse rimasto nella medesima condizione. [11] Questi sacrifici espiatori e voti compiuti secondo le indicazioni dei libri Sibillini avevano in gran parte liberato gli animi dal terrore superstizioso.
Note217 a.C.
PASSO
LocalizzazioneXXI, periocha
Testo originaleBelli Punici secundi ortum narrat et Hannibalis, ducis Poenorum, contra foedus per Hiberum fiumen transitum. A quo Saguntini, sociorum populi Romani, civitas obsessa, octavo mense capta est. De quibus iniuriis missi legati ad Carthaginienses, qui quererentur. Cum satisfacere nollent, bellum his indictum est. Hannibal superato Pyrenaeo saltu per Gallias fusis Volcis, qui obsistere conati erant ei, ad Alpes venit et laborioso per eas transito, cum montanos quoque Gallos obvios aliquot proeliis reppulisset, descendit in Italiam et ad Ticinum fiumen Romanos equestri proelio fudit. In quo vulneratum P. Cornelium Scipionem protexit filius, qui Africani postea nomen accepit. Iterumque exercitu Romano ad fiumen Trebiam fuso Hannibal Appenninum quoque permagna vexatione militum propter vim tempestatium transiit. Cn. Cornelius Scipio in Hispania contra Poenos prospere pugnavit duce hostium Magone capto.
Traduzione[Il libro] narra lo scoppio della seconda guerra punica e il passaggio dell'Ebro, con violazione di un trattato, da parte del comandante dei Cartaginesi Annibale. Questi, posto l'assedio alla città di Sagunto, alleata del popolo romano, la prese sette mesi dopo. Per questi atti illegali furono inviati ambasciatori ai Cartaginesi, a presentare lamentele. Poiché questi non volevano dar soddisfazione, fu loro dichiarata guerra. Annibale, dopo aver valicato i Pirenei, attraverso le Gallie, sbaragliati i Volci che avevano tentato di opporglisi, giunse alle Alpi e passando con difficoltà attraverso esse, dopo avere respinto in parecchi scontri anche i Galli delle montagne i quali gli sbarravano la via, scese in Italia, e sul Ticino sbaragliò i Romani in una battaglia equestre. In essa P. Cornelio Scipione, ferito, fu protetto dal figlio, che assunse poi il nome di Africano. E dopo aver per la seconda volta sbaragliato l'esercito romano sulla Trebbia, Annibale valicò anche l'Appennino a prezzo di un enorme strapazzo dei soldati a causa di violente tempeste. Gn. Cornelio Scipione in Spagna combatté con successo contro i Cartaginesi, con la cattura del comandante dei nemici Magone.
Note218-217 a.C.
PASSO
LocalizzazioneXXI, 15.3-6
Testo originale[3] Octavo mense, quam coeptum oppugnari, captum Saguntum quidam scripsere; inde Carthaginem Novam in hiberna Hannibalem concessisse; quinto deinde mense, quam ab Carthagine profectus sit, in Italiam pervenisse. [4] Quae si ita sunt, fieri non potuit, ut P. Cornelius, Ti, Sempronius consules fuerint, ad quos et principio oppugnationis legati Saguntini missi sint et qui in suo magistratu cum Hannibale, alter ad Ticinum amnem, ambc aliquanto post ad Trebiam, pugnaverint. [5] Aut omnia breviora aliquanto fuere, aut Saguntum principio annio, quo P. Cornelius, Ti. Sempronius consules fuerunt, non coeptum oppugnari est, sed captum. [6] Nam excessisse pugna ad Trebiam in annum Cn. Servili et C. Flamini non potest, quia C. Flaminius Arimini consulatum iniit, creatus a Ti. Sempronio consule, qui post pugnam ad Trebiam ad creandos consules Romam cum venisset, comitiis perfectis ad exercitum in hiberna rediit.
Traduzione[3] Alcuni hanno scritto che Sagunto fu presa sette mesi dopo l'inizio dell'assedio; che di lì Annibale si ritirò a Cartagine Nuova a svernare; che poi giunse in Italia quattro mesi dopo essere partito da Cartagine Nuova. [4] Se le cose stanno così, non era possibile che fossero P. Cornelio e Ti. Sempronio sia i consoli ai quali furono inviati ambasciatori da Sagunto all'inizio dell'assedio, sia i consoli che durante il loro anno di carica combatterono contro Annibale, l'uno presso il Ticino, ambedue qualche tempo dopo presso la Trebbia. [5] O tutto avvenne in tempi molto più brevi, o al principio dell'anno in cui P. Cornelio e Ti. Sempronio furono consoli ci fu non l'inizio dell'assedio, ma la presa di Sagunto. [6] La battaglia sulla Trebbia, infatti, non può riferirsi all'anno del consolato di Gn. Servilio e di G. Flaminio, poiché G. Flaminio assunse la carica di console a Rimini, per elezione presieduta dal console Ti. Sempronio, che, venuto a Roma per l'elezione dei consoli dopo la battaglia sulla Trebbia, tenuti i comizi, ritornò nei quartieri invernali dell'esercito.
Note218-217 a.C
PASSO
LocalizzazioneXXI, 26.1
Testo originale[1] Qui tumultus repens postquam est Romam perlatus et Punicum insuper Gallico bellum auctum patres acceperunt, [2] C. Atilium praetorem cum una legione Romana et quinque milibus sociorum dilectu novo a consule conscriptis auxilium ferre Manlio iubent, qui sine ullo certamine — abscesserant enim metu hostes — Tannetum pervenit.
Traduzione[1] Dopo che fu riferita a Roma la notizia di questa improvvisa sollevazione ed i senatori vennero a sapere che alla guerra contro i Cartaginesi si era aggiunta per di più quella contro i Galli, [2] ordinarono al pretore G. Atilio di portare aiuto a Manlio con una legione romana e cinquemila alleati che erano stati appena arruolati dal console; G. Atilio senza alcuno scontro — poiché la paura aveva fatto allontanare i nemici — giunse a Tanneto.
Note218 a.C.
PASSO
LocalizzazioneXXI, 32.5
Testo originaleIpse cum admodum exiguis copiis Genuam repetit, eo, qui circa Padum erat exercitus, Italiam defensurus.
TraduzioneDa parte sua, egli [il console P. Cornelio Scipione] ritornò a Genova con truppe molto scarse, intenzionato a difendere l'Italia con quell'esercito che si trovava nei pressi del Po.
Note218 a.C.
PASSO
LocalizzazioneXXI, 39
Testo originale[1] Peropportune ad principia rerum Taurinis, proximae genti, adversus Insubres motum bellum erat. Sed armare exercitum Hannibal, ut parti alteri auxilio esset, in reficiendo maxime sentientem contracta ante mala, non poterat; [2] otium enim ex labore, copia ex inopia, cultus ex inluvie tabeque squalida et prope efferata corpora varie movebat. [3] Ea P. Cornelio consuli causa fuit, cum Pisas navibus venisset, exercitu a Manlio Atilioque accepto tirone et in novis ignominiis trepido, ad Padum festinandi, ut cum hoste nondum refecto manus consereret. [4] Sed cum Placentiam consul venit, iam ex stativis moverat Hannibal Taurinorumque unam urbem, caput gentis eius, quia volentes in amicitiam non veniebant, vi expugnarat; [5] et iunxisset sibi non metu solum, sed etiam voluntate Gallos accolas Padi, ni eos circumspectantis defectionis tempus subito adventu consul oppressisset. [6] Et Hannibal movit ex Taurinis, incertos, quae pars sequenda esset, Gallos praesentem secuturos esse ratus. [7] Iam prope in conspectu erant exercitus, convenerantque duces sicuti inter se nondum satis noti, ita iam inbutus uterque quadam admiratione alterius. [8] Nam Hannibalis et apud Romanos iam ante Sagunti excidium celeberrimum nomen erat, et Scipionem Hannibal eo ipso, quod adversus se dux potissimum lectus esset, praestantem virum credebat; [9] et auxerant inter se opinionem, Scipio, quod relictus in Gallia obvius fuerat in Italiam transgresso Hannibali, Hannibal et conatu tam audaci traiciendarum Alpium et effectu. [10] Occupavit tamen Scipio Padum traicere et ad Ticinum amnem motis castris, priusquam educeret in aciem, adhortandorum militum causa talem orationem est exorsus.
Traduzione[1] Molto opportunamente [per Annibale] all'inizio delle sue operazioni i Taurini, la popolazione più vicina, avevano mosso guerra agli Insubri. Ma Annibale non poteva far prendere le armi all'esercito, perché fosse d'aiuto agli Insubri, nel momento in cui esso, nel riposarsi, risentiva maggiormente delle sofferenze in precedenza subite; [2] infatti il riposo dopo la fatica, l'abbondanza dopo la penuria, le cure del corpo dopo la sporcizia e il deperimento, producevano effetti diversi sui corpi sudici e quasi imbarbariti. [3] Questo fu il motivo per cui il console P. Cornelio, dopo essere giunto con le navi a Pisa, preso in consegna da Manlio e da Atilio l'esercito composto di reclute e impaurito per i recenti episodi disonorevoli, si affrettò in direzione del Po, per attaccar battaglia con il nemico quando questo non si era ancora rimesso in forze. [4] Ma quando il console giunse a Piacenza, Annibale si era già mosso dai suoi quartieri e aveva espugnato con la forza l'unica città dei Taurini, la loro capitale, poiché non erano disposti a stringere con lui patti d'amicizia; [5] e avrebbe legato a sé, non solo con la paura ma anche con la loro spontanea volontà, i Galli abitanti sulle rive del Po, se il console con il suo arrivo improvviso non li avesse colti di sorpresa mentre cercavano di trovare il momento opportuno per ribellarsi. [6] E perciò Annibale lasciò il territorio dei Taurini, pensando che i Galli, in dubbio su quale parte seguire, avrebbero seguito lui se fosse stato presente. [7] Già gli eserciti erano quasi l'uno di fronte all'altro ed erano venuti l'uno incontro all'altro dei comandanti che da un lato non si conoscevano ancora abbastanza e dall'altro erano già entrambi pervasi da una certa qual reciproca ammirazione. [8] Il nome di Annibale era infatti famosissimo anche presso i Romani già prima della distruzione di Sagunto e Scipione era considerato un uomo eccellente da Annibale per il fatto stesso che era stato scelto e preferito a tutti come comandante contro di lui; [9] ed erano saliti l'uno nella considerazione dell'altro, Scipione perché, lasciato in Gallia, si era fatto incontro ad Annibale dopo che questo era passato in Italia, (Annibale) sia perché aveva tentato tanto audacemente la traversata delle Alpi, sia perché vi era riuscito. [10] Scipione tuttavia attraversò per primo il Po e messosi in marcia verso il Ticino, prima di schierare i soldati in ordine di battaglia, per esortarli prese a parlare.

Note218 a.C.

PASSO
LocalizzazioneXXI, 48
Testo originale[1] Inseguenti nocte caedes in castris Romanis, tumultu tamen quam re maior, ab auxiliaribus Gallis facta est. Ad duo milia peditum et ducenti equites vigilibus ad portas trucidatis ad Hannibalem transfugiunt, quos Poenus benigne adlocutus et spe ingentium donorum accensos in civitates quemque suas ad sollicitandos popularium animos dimisit. [3] Scipio caedem eam signum defectionis omnium Gallorum esse ratus contactosque eo scelere velut iniecta rabie ad arma ituros, [4] quamquam gravis adhuc vulnere erat, tamen quarta vigilia noctis insequentis tacito agmine profectus ad Trebiam fluvium iam in loca altiora collisque impeditiores equiti castra movet. [5] Minus quam ad Ticinum fefellit; missisque Hannibal primum Numidis, deinde omni equitatu turbasset utique novissimum agmen, ni aviditate praedae in vacua Romana castra Numidae devertissent. [6] Ibi dum perscrutantes loca omnia castrorum nullo satis digno morae pretio tempus terunt, emissus hostis est de manibus, et cum iam transgressos Trebiam Romanos metantisque castra conspexissent, paucos moratorum occiderunt citra fiumen interceptos. [7] Scipio nec vexationem vulneris in via iactati ultra patiens et collegam — iam enim et revocatum ex Sicilia audierat — ratus expectandum, locum, qui prope fiumen tutissimus stativis est visus, delectum communiit. [8] Nec procul inde Hannibal cum consedisset, quantum victoria equestri elatus, tantum anxius inopia, quae per hostium agros euntem nusquam praeparatis commeatibus maior in dies excipiebat, [9] ad Clastidium vicum, quo magnum frumenti numerum congesserant Romani, mittit. Ibi cum vim pararent, spes facta proditionis; [10] nec sane magno pretio, nummis aureis quadringentis, Dasio Brundisino, praefecto praesidii, corrupto traditur Hannibali Clastidium. Id horreum fuit Poenis sedentibus ad Trebiam. In captivos ex tradito praesidio, ut fama clementiae in principio rerum colligeretur, nihil saevitum est.
Traduzione[1] La notte seguente, nell'accampamento romano, i Galli delle milizie ausiliarie compirono una strage, che tuttavia lo scompiglio suscitato fece sembrare più grave di quanto fosse in realtà. [2] Circa duemila fanti e duecento cavalieri, trucidate le sentinelle di guardia alle porte, passarono dalla parte di Annibale; il Cartaginese, dopo aver parlato loro affabilmente e averli eccitati con la speranza di grandi ricompense, li lasciò andare ciascuno nel proprio paese, a sobillare gli animi dei concittadini. [3] Scipione, convinto che quella strage preannunciasse una ribellione di tutti i Galli e che questi, contagiati da quel misfatto, sarebbero corsi alle armi come se fosse stata inoculata in loro la rabbia, [4] benché fosse ancora debole per la ferita, tuttavia partito con l'esercito in silenzio alla quarta vigilia della notte [entro le 6 del mattino] successiva, marciò in direzione del fiume Trebbia, in luoghi ormai più elevati e alture più difficilmente accessibili per la cavalleria. [5] Poté celare le sue manovre meno bene che sul Ticino; e Annibale, incitati all'inseguimento prima i Numidi e poi tutta la cavalleria, avrebbe senz'altro gettato lo scompiglio nella retroguardia, se per l'avidità di bottino i Numidi non avessero cambiato direzione per fermarsi nell'accampamento romano rimasto vuoto. [6] Mentre essi lì perdevano tempo a frugare ogni angolo dell'accampamento senza trovare nulla per cui valesse la pena indugiare, il nemico sfuggì loro dalle mani ed essi, avendo visto che già i Romani avevano attraversato la Trebbia e si stavano accampando, uccisero pochi ritardatari sorpresi al di qua del fiume. [7] Scipione, non sopportando più il dolore che la ferita gli procurava per i movimenti durante la marcia e ritenendo di dover aspettare il collega — aveva saputo infatti che egli era già stato richiamato dalla Sicilia — scelse e trincerò il luogo che, nei pressi del fiume, gli sembrò il più sicuro per accamparsi. [8] E Annibale, che si era fermato non molto lontano di lì, imbaldanzito dalla vittoria equestre, ma altrettanto preoccupato dalla scarsezza di vettovaglie, che sempre più di giorno in giorno lo colpiva mentre egli passava attraverso il territorio dei nemici senza che mai in nessun luogo fossero pronti approvvigionamenti, [9] invia soldati nel villaggio di Casteggio, dove i Romani avevano ammassato gran quantità di frumento. Mentre lì si apprestavano a un'azione di forza, si presentò loro la speranza di un tradimento; [10] ed essendo stato corrotto il prefetto della guarnigione, Dasio da Brindisi, con una somma non certo ingente — quattrocento monete d'oro — Casteggio è consegnata nelle mani di Annibale. Essa fu il granaio dei Cartaginesi accampati alla Trebbia. In seguito alla consegna della guarnigione, non furono compiuti atti di crudeltà contro i prigionieri, per acquisire fama di clemenza all'inizio della guerra.
Note218 a.C.
PASSO
LocalizzazioneXXI, 49.1
Testo originaleCum ad Trebiam terrestre constitisset bellum, interim circa Siciliam insulasque Italiae imminentes et a Sempronio consule et ante adventum eius terra marique res gestae.

TraduzioneDopo che erano state sospese alla Trebbia le azioni di guerra terrestri, intorno alla Sicilia e alle isole vicine all'Italia furono intanto compiute operazioni sia dal console Sempronio, sia prima del suo arrivo.
Note218 a.C.
PASSO
LocalizzazioneXXI, 51.6-7
Testo originale[6] Multis simul anxius curis exercitum extemplo in naves inpositum Ariminum mari supero misit, Sex. Pomponio legato cum viginti quinque longis navibus Viboniensem agrum maritimamque oram Italiae tuendam adtribuit, M. Aemilio praetori quinquaginta navium classem explevit. [7] Ipse conpositis Siciliae rebus decem navibus oram Italiae legens Ariminum pervenit. Inde cum exercitu suo profectus ad Trebiam flumen conlegae coniungitur.
Traduzione[6] Angosciato [il console Ti. Sempronio] dai molti impegni che doveva contemporaneamente affrontare, fece subito imbarcare l'esercito e lo inviò a Rimini lungo il mare Adriatico; affidò al luogotenente Sesto Pomponio il compito di difendere il territorio di Vibo e il litorale dell'Italia con venticinque navi; completò la flotta del pretore M. Emilio portandola a cinquanta navi. [7] Quanto a lui, sistemate le cose in Sicilia, costeggiando l'Italia con dieci navi giunse a Rimini. Di lì messosi in marcia con il suo esercito, raggiunse il collega presso la Trebbia.
Note218 a.C.
PASSO
LocalizzazioneXXI, 52
Testo originale[1] Iam ambo consules et quidquid Romanarum virium erat Hannibali oppositum aut illis copiis defendi posse Romanum imperium aut spem nullam aliam esse satis declarabat. [2] Tamen consul alter equestri proelio uno et vulnere suo comminutus trahi rem malebat; recentis animi alter eoque ferocior nullam dilationem patiebatur. [3] Quod inter Trebiam Padumque agri est Galli tum incolebant, in duorum praepotentium populorum certamine per ambiguum favorem haud dubie gratiam victoris spectantes. [4] Id Romani, modo ne quid moverent, aequo satis, Poenus periniquo animo ferebat, ab Gallis accitum se venisse ad liberandos eos dictitans. [5] Ob eam iram, simul ut praeda militem aleret, duo milia peditum et mille equites, Numidas plerosque, mixtos quosdam et Gallos, populari omnem deinceps agrum usque ad Padi ripas iussit. [6] Egentes ope Galli, cum ad id dubios servassent animos, coacti ab auctoribus iniuriae ad vindices futuros declinant legatisque ad consules missis auxilium Romanorum terrae ob nimiam cultorum fidem in Romanos laboranti orant. [7] Cornelio nec causa nec tempus agendae rei placebat, suspectaque ei gens erat cum ob infida multa facinora, tum, ut illa vetustate obsolevissent, ob recentem Boiorum perfidiam; [8] Sempronius contra continendis in fide sociis maximum vinculum esse primos, qui eguissent ope, defensos censebat. [9] Tum collega cunctante equitatum suum mille peditum iaculatoribus ferme admixtis ad defendendum Gallicum agrum trans Trebiam mittit. [10] Sparsos et inconpositos, ad hoc gravis praeda plerosque cum inopinato invasissent, ingentem terrorem caedemque ac fugam usque ad castra stationesque hostium fecere; unde multitudine effusa pulsi rursus subsidio suorum proelium restituere. [11] Varia inde pugna sequentes inter cedentesque; cumque ad extremum aequassent certamen, maior tamen hostium caedes, penes iam Romanos fama victoriae fuit.
Traduzione[1] Ormai tutte le forze romane schierate contro Annibale con ambedue i consoli erano una dimostrazione abbastanza chiara che o si era in grado di difendere l'impero romano con quelle truppe o non v'erano più speranze. [2] Uno dei consoli, tuttavia, a cui una battaglia equestre e la ferita riportata avevano indebolito le forze, preferiva ritardare lo scontro; l'altro, che conservava ancora tutto il suo ardore e perciò era più baldanzoso, non sopportava alcun rinvio. [3] Il territorio situato fra la Trebbia e il Po era allora abitato da Galli, che, mentre due popoli potentissimi lottavano tra loro, favorivano ora l'uno ora l'altro dei contendenti con il chiaro scopo di ottenere la benevolenza del vincitore. [4] Se i Romani tolleravano abbastanza di buon animo questo modo di agire, purché i Galli non provocassero agitazioni, il Cartaginese lo sopportava di malanimo, poiché andava dicendo di essere venuto a liberare i Galli, chiamato da loro. [5] Irritato per questo motivo, e insieme con lo scopo di aver bottino con cui mantenere i soldati, ordinò a duemila fanti e a mille cavalieri, per lo più Numidi, a cui erano stati aggiunti alcuni Galli, di saccheggiare tutta la campagna che si estendeva di là in poi fino alle rive del Po. [6] Nella necessità di avere un aiuto, i Galli, benché fino ad allora fossero rimasti in dubbio sul partito da prendere, costretti da coloro che facevano loro violenza, si rivolsero a coloro che avrebbero potuto vendicarli e, inviati ambasciatori ai consoli, implorarono l'aiuto dei Romani per una terra che, a causa dell'eccessiva lealtà degli abitanti verso i Romani, si trovava in difficoltà. [7] A Cornelio non piaceva né il motivo né il momento per intraprendere quell'azione, e non si fidava dei Galli, non solo a causa dei loro molti atti di slealtà, ma anche — ammesso pure che il ricordo di quegli atti fosse svanito per il tempo trascorso — a causa del recente tradimento dei Boi; [8] Sempronio, invece, riteneva che, nell'assicurarsi la fedeltà degli alleati, il legame più forte consistesse nella difesa dei primi che avessero avuto bisogno di aiuto. [9] Quindi, mentre il collega esitava, mandò la sua cavalleria, a cui aveva aggiunto circa mille fanti armati di giavellotto, a difendere il territorio gallico al di là della Trebbia. [10] Avendo assalito improvvisamente i Cartaginesi che erano sparsi in modo disordinato e inoltre nella maggior parte carichi di preda, provocarono ingente terrore e strage e fuga fino all'accampamento e ai posti di guardia dei nemici; dopo essere stati di lì ricacciati dal gran numero che si riversò fuori dal campo, di nuovo rinnovarono il combattimento con i rinforzi ricevuti. [11] La battaglia fu poi di sorti alterne, con fasi di attacco e di ritirata; e benché alla fine la lotta fosse risultata pari, essendo tuttavia maggiori le perdite dei nemici, la fama della vittoria fu senz'altro dei Romani.


Note218 a.C.
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LocalizzazioneXXI, 53
Testo originale[1] Ceterum nemini omnium maior ea iustiorque quam ipsi consuli videri; gaudio efferri, qua parte copia-rum alter consul victus foret, ea se vicisse, restitutos ac refectos militibus animos, nec quemquam esse praeter conlegam, qui dilatam dimicationem vellet; [2] eum animo magis quam corpore aegrum memoria vulneris aciem ac tela horrere. [3] Sed non esse cum aegro senescendum. Quid enim ultra differri aut teri tempus? Quem tertium consulem, quem alium exercitum exspectari? [4] Castra arthaginiensium in Italia ac prope in conspectu urbis asse. Non Siciliam ac Sardiniam victis ademptas nec cis Hiberum Hispaniam peti, sed solo patrio terraque, in qua geniti forent, pelli Romanos. [5] «Quantum ingemescant — inquit — patres nostri circa moenia Carthaginis bellare soliti, si videant nos, progeniem suam, duos consules consularesque exercitus, in media Italia paventis intra castra, Poenum quod inter Alpis Appenninumque agri sit suae dicionis fecisse!». [6] Haec adsidens aegro collegae, haec in praetorio prope contionabundus agere. Stimulabat et tempus propinquum comitiorum, ne in novos consules bellum differretur, et occasio in se unum vertendae gloriae, dum aeger collega erat. [7] Itaque nequiquam dissentiente Cornelio parari ad propinquum certamen milites iubet. Hannibal cum, quid optimum foret hosti, cerneret, vix ullam spem habebat temere atque inprovide quicquam consules acturos; [8] cum alterius ingenium, fama prius, deinde re cognitum, percitum ac ferox sciret esse ferociusque factum prospero cum praedatoribus suis certamine crederet, adesse gerendae rei fortunam haud diffidebat. [9] Cuius ne quod praetermitteret tempus, sollicitus intentusque erat, dum tiro hostium miles esset, dum meliorem ex ducibus inutilem vulnus faceret, dum Gallorum animi vigerent, [10] quorum ingentem multitudinem sciebat segnius secuturam, quanto longius ab domo traherentur. [11] Cum ob haec taliaque speraret propinquum certamen et facere, si cessaretur, cuperet speculatoresque Galli, ad ea exploranda, quae vellet, tutiores, quia in utrisque castris militabant, paratos pugnae esse Romanos rettulissent, locum insidiis circumspectare Poenus coepit.
Traduzione[1] A nessuno del resto essa sembrava più grande e più completa che al console stesso; egli era esaltato dalla gioia di aver vinto con quella parte delle truppe con cui l'altro console era stato sconfitto: gli animi dei soldati si erano ristabiliti e avevano ripreso coraggio e non c'era nessuno che volesse un rinvio dello scontro decisivo, tranne il collega; [2] questi, infermo nello spirito più che nel corpo, per il ricordo della ferita aveva orrore della battaglia e delle armi. [3] Ma non bisognava invecchiare accanto a quel malato. Perché, infatti, rinviare oltre o perdere tempo? Di quale terzo console, di quale altro esercito si era in attesa? [4] Il campo cartaginese era in Italia e quasi davanti a Roma. Non si portava l'attacco alla Sicilia e alla Sardegna, che erano state sottratte ai vinti, né alla Spagna al di qua dell'Ebro, ma si cacciavano via i Romani dal suolo della loro patria e dalla terra nella quale erano stati generati. [5] «Quanto si dorrebbero — disse — i nostri padri, che erano abituati a combattere intorno alle mura di Cartagine, se vedessero che noi, i loro figli — due consoli e due eserciti consolari — stiamo tremando di paura nel mezzo dell'Italia, dentro l'accampamento, e che il Cartaginese ha ridotto in suo potere tutto il territorio che si trova tra le Alpi e l'Appennino!». [6] Questo egli diceva sia sedendo al capezzale del collega infermo, sia nel pretorio quasi tenesse un discorso ai soldati. Lo incitavano e l'avvicinarsi della data dei comizi, con la paura che la guerra fosse rimandata ai nuovi consoli, e l'opportunità di attribuire la gloria a sé soltanto, fintantoché il collega era ammalato. [7] E così, benché Cornelio inutilmente manifestasse il suo dissenso, ordinò ai soldati di prepararsi all'imminente battaglia. Annibale, vedendo quale fosse il partito migliore per il nemico, non aveva quasi speranza che i consoli compissero qualche azione sconsiderata e incauta; [8] sapendo d'altra parte che l'indole di uno di essi, che egli aveva conosciuta dapprima per sentito dire e poi nei fatti, era eccitabile e impetuosa, e credendo che più impetuosa essa fosse diventata per il buon esito dello scontro con i suoi predatori, non disperava che fosse vicina una buona occasione per combattere. [9] Per non lasciarsela sfuggire, era vigile e attento, fintantoché i soldati nemici erano dei principianti, fintantoché una ferita rendeva invalido il migliore dei due comandanti, fintantoché pieni d'energia erano gli animi dei Galli, [10] la cui ingente massa egli sapeva che l'avrebbe seguito tanto più fiaccamente quanto più lontano dalla loro patria fossero stati tratti. [11] Mentre egli per questi e altri simili motivi sperava che fosse imminente la battaglia e desiderava provocarla qualora i Romani indugiassero, e avendogli gli esploratori gallici — i quali per le esplorazioni da lui volute erano più sicuri, poiché militavano in entrambi gli accampamenti — riferito che i Romani erano pronti a combattere, il Cartaginese cominciò a cercare intorno attentamente un luogo adatto a un agguato.

Note218 a.C.
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LocalizzazioneXXI, 54
Testo originale[1] Erat in medio rivus praealtis utrimque clausus ripis et circa obsitus palustribus herbis et, quibus inculta ferme vestiuntur, virgultis vepribusque. Quem ubi equites quoque tegendo satis latebrosum locum circumvectus ipse oculis perlustravit: [2] «Hic erit locus — Magoni fratri ail — quem teneas. Delige centenos viros ex omni pedite atque equite, cum quibus ad me vigilia prima venias; nunc corpora curare tempus est». Ita praetorium missum. [3] Mox cum delectis Mago aderat. «Robora virorum cerno — inquit Hannibal; — sed uti numero etiam, non animis modo valeatis, singulis vobis novenos ex turmis manipulisque vestri similes eligite! Mago locum monstrabit, quem insideatis; hostem caecum ad has belli artes habetis». [4] Ita mille equitibus cum Magone, mille peditibus dimissis, Hannibal prima luce Numidas equites transgressos Trebiam flumen obequitare iubet hostium portis iaculandoque in stationes elicere ad pugnam hostem, iniecto deinde certamine cedendo sensim citra flumen pertrahere. [5] Haec mandata Numidis; ceteris ducibus peditum equitumque praeceptum, ut prandere omnes iuberent, armatos deinde instratisque equis signum expectare. [6] Sempronius ad tumultum Numidarum primum omnem equitatum, ferox ea parte virium, deinde sex milia peditum, postremo omnes copias ad destinatum iam ante consilio avidus certaminis eduxit. [7] Erat forte brumae tempus et nivalis dies in locis Alpibus Appenninoque interiectis, propinquitate etiam fluminum ac paludium praegelidis. [8] Ad hoc raptim eductis hominibus atque equis non capto ante cibo, non ope ulla ad arcendum frigus adhibita, nihil caloris inerat, et quidquid aurae fluminis adpropinquabant, adflabat acrior frigoris vis. [9] Ut vero refugientes Numidas insequentes aquam ingressi sunt et erat pectoribus tenus aucta nocturno imbri —, tum utique egressis rigere omnibus corpora, ut vix armorum tenendorum potentia esset, et simul lassitudine et procedente iam die fame etiam deficere.
Traduzione[1] C'era in mezzo un rivo, chiuso da entrambe le parti da sponde molto alte e coperto ai due lati da erbe palustri e dai cespugli e rovi che di solito ricoprono i luoghi incolti. Quando Annibale, recatovisi, ebbe osservato di persona quel luogo abbastanza ricco di nascondigli da poter occultare anche dei cavalieri, disse al fratello Magone: [2] «Questo sarà il luogo che dovrai occupare. Scegli cento uomini tra i fanti e cento tra i cavalieri, con i quali ti presenterai da me alla prima vigilia [tra le 19 e le 21]; ora è tempo di dare ristoro ai corpi». Così fu sciolto il consiglio di guerra. [3] Più tardi Magone era pronto con gli uomini scelti. «Vedo il fior fiore degli uomini» disse Annibale; «ma perché siate forti anche nel numero, non solo nel coraggio, scegliete tra gli squadroni e i manipoli altri nove uomini per ciascuno di voi, che siano a voi simili! Magone vi mostrerà il luogo che dovete occupare; avete a che fare con un nemico che non s'intende di questa maniera di condurre la guerra». [4] Inviati così mille cavalieri e mille fanti con Magone, Annibale sul far dell'alba ordina ai cavalieri numidi di attraversare la Trebbia, di cavalcare fin davanti alle porte dei nemici e provocare il nemico a battaglia scagliando dardi contro i posti di guardia, per poi, una volta suscitato il combattimento, attirare i nemici al di qua del fiume retrocedendo a poco a poco. [5] Questi furono gli ordini dati ai Numidi; inoltre agli ufficiali di fanteria e di cavalleria fu comandato che dessero ordine a tutti di far colazione e di aspettare poi il segnale armati e con i cavalli sellati. [6] All'improvviso attacco dei Numidi, Sempronio, bramoso di combattere, dapprima fece uscire la cavalleria, orgoglioso di quella parte delle truppe, poi seimila fanti, infine tutto l'esercito, secondo ciò che già aveva deciso di fare. [7] Era per caso il solstizio d'inverno ed era un giorno di neve nei luoghi posti tra le Alpi e l'Appennino, freddissimi anche per la vicinanza di fiumi e paludi. [8] Inoltre gli uomini e i cavalli, fatti uscire in fretta e furia senza che avessero mangiato, senza che si fosse ricorsi a qualche precauzione per difendersi dal freddo, non avevano alcuna riserva di calore e quanto più si avvicinavano all'aria che spirava dal fiume, tanto più aspra giungeva addosso la morsa del gelo. [9] Quando poi, inseguendo i Numidi che si ritiravano, furono entrati in acqua — la quale per di più arrivava fino al petto, ingrossata dalla pioggia caduta durante la notte — e soprattutto quando ne furono usciti, tutti avevano i corpi rigidi, così da poter a malapena reggere le armi, e insieme senza forze per la spossatezza e anche, con l'avanzare del giorno, per la fame.
Note218 a.C.
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LocalizzazioneXXI, 55
Testo originale[1] Hannibalis interim miles ignibus ante tentoria factis oleoque per manipulos, ut mollirent artus, misso et cibo per otium capto, ubi transgressos flumen hostis nuntiatum est, alacer animis corporibusque arma capit atque in aciem procedit. [2] Baliares locat ante signa ac levem armaturam, octo ferme milia hominum, dein graviorem armis peditem, quod virium, quod roboris erat; in cornibus circumfudit decem milia equitum et ab cornibus in utramque partem divisos elephantos statuit. [3] Consul effuse sequentis equites, cum ab resistentibus subito Numidis incauti exciperentur, signo receptui dato revocatos circumdedit peditibus. [4] Duodeviginti milia Komana erant, socium nominis Latini viginti, auxilia praeterea Cenomanorum; ea sola in fide manserat Gallica gens. Iis copiis concursum est. [5] Proelium a Baliaribus ortum est; quibus cum maiore robore legiones obsisterent, diducta propere in cornua levis armatura est, [6] quae res effecit, ut equitatus Romanus extemplo urgeretur; nam cum vix iam per se resisterent decem milibus equitum quattuor milia et fessi integris plerisque, obruti sunt insuper velut nube iaculorum a Baliaribus coniecta. [7] Ad hoc elephanti eminentes ab extremis cornibus, equis maxime non visu modo sed odore insolito territis, fugam late faciebant. [8] Pedestris pugna par animis magis quam viribus erat, quas recentis Poenus paulo ante curatis corporibus in proelium attulerat; contra ieiuna fessaque corpora Romanis et rigentia gelu torpebant. Restitissent tamen animis, si cum pedite solum foret pugnatum; [9] sed et Baliares pulso equite iaculabantur in latera et elephanti iam in mediam peditum aciem sese tulerant et Mago Numidaeque, simul latebras eorum inprovida praeterlata acies est, exorti ab tergo ingentem tumultum ac terrorem fecere. [10] Tamen in tot circumstantibus malis mansit aliquamdiu immota acies, maxime praeter spem omnium adversus elephantos. [11] Eos velites ad id ipsum locati verutis coniectis et ivertere et insecuti aversos sub caudis, qua maxume molli iute vulnera accipiunt, fodiebant.
Traduzione[1] Intanto i soldati di Annibale, accesi dei fuochi davanti alle tende e fatto passare tra i manipoli l'olio per ammorbidire le membra e preso senza fretta del cibo, quando giunse la notizia che i nemici avevano attraversato il fiume, prendono le armi e corrono sul campo di battaglia pieni di slancio negli animi e nei corpi. [2] [Annibale] dispone i Balearici in prima fila e gli armati alla leggera, circa ottomila uomini, poi i fanti armati più pesantemente, tutte le forze, il fior fiore delle sue truppe; nelle ali spiegò diecimila cavalieri e ripartì gli elefanti disponendoli da una parte e dall'altra delle ali. [3] Il console, dato il segnale della ritirata, richiamò indietro i cavalieri che erano lanciati disordinatamente all'inseguimento, vedendo che venivano affrontati inaspettatamente dai Numidi i quali all'improvviso tenevano loro testa, e li dispose attorno ai fanti. [4] C'erano diciottomila Romani, ventimila alleati di diritto latino e inoltre le milizie ausiliarie dei Cenomani; quel popolo era il solo fra i Galli che fosse rimasto fedele. Con queste truppe si venne a battaglia. [5] I Balearici diedero inizio allo scontro; poiché le legioni opponevano loro resistenza con forza maggiore, i fanti armati alla leggera furono in fretta suddivisi e spostati alle ali; [6] questa manovra fece sì che la cavalleria romana fosse immediatamente schiacciata; mentre infatti già a stento di per sé potevano resistere, a diecimila, quattromila cavalieri, che inoltre erano stanchi mentre gli altri erano quasi tutti freschi di forze, furono per di più sommersi da un nugolo di dardi scagliati dai Balearici. [7] Inoltre gli elefanti, sporgendo giganteschi dalle estremità delle ali, atterriti i cavalli non solo con il loro aspetto ma anche con il puzzo a cui quelli non erano abituati, ne provocarono la fuga da ogni parte. [8] Lo scontro di fanteria era pari per il coraggio più che per le forze, che il Cartaginese aveva portato in battaglia fresche, poiché i corpi erano stati poco prima ristorati; i Romani invece avevano i corpi intorpiditi, per il digiuno e la stanchezza e la rigidità provocata dal freddo gelido. Avrebbero tuttavia resistito in virtù del coraggio, se si fosse combattuto soltanto contro i fanti; [9] ma da un lato i Balearici, respinti i cavalieri, scagliavano dardi contro i fianchi, dall'altro gli elefanti erano avanzati fin nel mezzo della mischia dei fanti, e Magone con i Numidi, non appena le schiere romane senza avvedersene passarono oltre i loro nascondigli, balzati fuori alle spalle produssero un'enorme confusione e terrore. [10] Pur se incalzate da tanti guai, tuttavia le schiere rimasero salde per parecchio tempo, soprattutto tenendo testa agli elefanti oltre ogni aspettativa. [11] I veliti, appostati proprio per questo scopo, li volgevano in fuga scagliando giavellotti, e inseguendoli alle spalle li trafiggevano sotto le code, dove la pelle tenera li rende particolarmente vulnerabili.

Note218 a.C.
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LocalizzazioneXXI, 56
Testo originale[1] Trepidantisque et prope iam in suos consternatos e media acie in extremam ad sinistrum cornu adversus Gallos auxiliares agi iussit Hannibal. Ibi extemplo haud dubiam fecere fugam. Quo novus terror additus Romanis, ut fusa auxilia sua viderunt. [2] Itaque cum iam in orbem pugnarent, decem milia ferme hominum, cum alibi evadere nequissent, media Afrorum acie, qua Gallicis auxiliis firmata erat, cum ingenti caede hostium perrupere [3] et, cum neque in castra reditus esset flumine interclusis neque prae imbri satis decernere possent, qua suis opem ferrent, Placentiam recto itinere perrexere. [4] Plures deinde in omnes partes eruptiones factae; et qui flumen petiere, aut gurgitibus absumpti sunt aut inter cunctationem ingrediendi ab hostibus oppressi; [5] qui passim per agros fuga sparsi erant, vestigia cedentis sequentes agminis Placentiam contendere; aliis timor hostium audaciam ingrediendi flumen fecit, transgressique in castra pervenerunt. [6] Imber nive mixtus et intoleranda vis frigoris et homines multos et iumenta et elephantos prope omnis absumpsit. [7] Finis insequendi hostis Poenis flumen Trebia fuit, et ita torpentes gelu in castra rediere, ut vix laetitiam victoriae sentirent. [8] Itaque nocte inseguenti, cum praesidium castrorum et quod reliquum ex fuga semermium ex magna parte militum erat ratibus Trebiam traicerent, aut nihil sensere obstrepente pluvia [9] aut, quia iam moveri nequibant prae lassitudine ac vulneribus, sentire sese dissimularunt; quietisque Poenis tacito agmine ab Scipione consule exercitus Placentiam est perductus, inde Pado traiecto Cremonam, ne duorum exercituum hibernis una colonia premeretur.
Traduzione [1] Annibale ordinò che gli elefanti, spaventati e già quasi pronti a rivoltarsi contro i Cartaginesi, fossero spinti dal centro all'estremità del campo di battaglia, verso l'ala sinistra, contro i Galli delle milizie ausiliarie. Qui subito essi provocarono una vera e propria fuga; perciò si aggiunse nuovo motivo di terrore per i Romani, allorché videro sbaragliate le loro truppe ausiliarie. [2] E così, mentre ormai combattevano su un fronte circolare, circa diecimila uomini, non potendo trovare altrove un varco, si aprirono con la forza un passaggio attraverso il centro dello schieramento africano, dove esso era rinforzato da ausiliari gallici, con enorme strage di nemici [3] e, non essendoci possibilità di tornare all'accampamento poiché il fiume sbarrava loro la via né potendo a causa della pioggia decidere chiaramente come portare aiuto ai loro, si avviarono direttamente verso Piacenza. [4] Poi furono effettuate parecchie sortite in tutte le direzioni; e coloro che raggiunsero il fiume o furono inghiottiti dalla corrente impetuosa o furono uccisi dai nemici mentre esitavano a entrare in acqua; [5] quelli che erano fuggiti disordinatamente qua e là per i campi si affrettarono verso Piacenza seguendo le orme delle schiere in ritirata; altri per paura dei nemici trovarono il coraggio di entrare nel fiume e, attraversatolo, giunsero all'accampamento. [6] La pioggia mista a neve e l'insopportabile morsa del freddo uccisero molti uomini e bestie da carico e quasi tutti gli elefanti. [7] Alla Trebbia i Cartaginesi cessarono di inseguire i nemici e tornarono al campo talmente intorpiditi dal gelo che appena provavano gioia per la vittoria. [8] Perciò la notte seguente, mentre la guarnigione lasciata a difesa dell'accampamento e i superstiti soldati fuggiaschi, in gran parte senz'armi, passavano su zattere la Trebbia, [i Cartaginesi] o non se ne accorsero affatto per lo scrosciare della pioggia [9] o finsero di non accorgersene, poiché non potevano più muoversi per la stanchezza e per le ferite; e mentre i Cartaginesi non si muovevano, marciando in silenzio l'esercito fu condotto dal console Scipione a Piacenza; di lì, attraversato il Po, a Cremona, perché una sola colonia non dovesse sopportare il peso dell'acquartieramento invernale di due eserciti.
Note218 a.C.
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LocalizzazioneXXI, 58
Testo originale[1] Haud longi inde temporis, dum intolerabilia frigora erant, quies militi data est, [2] et ad prima ac dubia signa veris profectus ex hibernis in Etruriam ducit, eam quoque gentem, sicut Gallos Liguresque, aut vi aut voluntate adiuncturus. [3] Transeuntem Appenninum adeo atrox adorta tempestas est, ut Alpium prope foeditatem superaverit. Vento mixtus imber cum ferretur in ipsa ora, primo, quia aut arma omittenda erant, aut contra enitentes vertice intorti adfligebantur, constitere; [4] dein, cum iam spiritum includeret nec reciprocare animam sineret, aversi a vento parumper consedere. [5] Tum vero ingenti sono caelum strepere et inter horrendos fragores micare ignes; capti auribus et oculis metu omnes torpere; [6] tandem effuso imbre, cum eo magis accensa vis venti esset, ipso illo, quo deprensi erant, loco castra ponere necessarium visum est. [7] Id vero laboris velut de integro initium fuit; nam nec explicare quicquam nec statuere poterant, nec, quod statutum esset, manebat, omnia perscindente vento et rapiente; [8] et mox aqua levata vento cum super gelida montium iuga concreta esset, tantum nivosae grandinis deiecit, ut omnibus omissis procumberent homines tegminibus suis magis obruti quam tecti; [9] tantaque vis frigoris insecuta est, ut, ex illa miserabili hominum iumentorumque strage cum se quisque attollere ac levare vellet, diu nequiret, quia torpentibus rigore nervis vix flectere artus poterant. [10] Deinde, ut tandem agitando sese movere ac recepere animos et raris locis ignis fieri est coeptus, ad alienam opem quisque inops tendere. Biduum eo loco velut obsessi mansere. [11] Multi homines, multa iumenta, elephanti quoque ex iis, qui proelio ad Trebiam facto superfuerant, septem absumpti.
Traduzione[1] Fu poi concesso ai soldati un breve periodo di riposo, finché il freddo era intollerabile; [2] e ai primi e incerti segni di primavera partito dai quartieri invernali Annibale guidò l'esercito verso l'Etruria, con l'intenzione di annettere a sé con la forza o di loro spontanea volontà i suoi abitanti, come i Galli e i Liguri. [3] Mentre attraversava l'Appennino, gli si avventò contro una tempesta violenta a tal punto da superare quasi le atrocità delle Alpi. Poiché la pioggia mista a raffiche di vento si abbatteva proprio sulle loro facce, dapprima si fermarono, dato che o dovevano lasciare le armi o nello sforzo di avanzare stramazzavano a terra travolti dal turbine; [4] poi, siccome già il vento mozzava il fiato e impediva di respirare, per un po' si sedettero con le spalle volte al vento. [5] E allora per di più il cielo risuonò di un enorme boato e lampi guizzarono tra scoppi di tuoni; assordati e abbagliati, tutti furono paralizzati dalla paura; [6] essendo infine scrosciata la pioggia, poiché tanto più era aumentata la violenza del vento, parve necessario porre l'accampamento in quello stesso luogo in cui erano stati sorpresi dalla tempesta. [7] Questo fu tuttavia l'inizio di una fatica che quasi cominciava daccapo; non potevano infatti distendere né fissare le tende e quelle che si fosse riusciti a fissare non rimanevano ferme, poiché il vento le stracciava e le portava via; [8] e ben presto l'acqua sollevata dal vento, essendosi condensata sulle cime gelide dei monti, cadde sotto forma di tanta grandine mista a neve, che gli uomini, lasciato ogni lavoro, si sdraiarono a terra sepolti più che protetti dai loro ripari; [9] e seguì un freddo così aspro che, pur volendo ciascuno tirarsi su e alzarsi da quel miserevole ammasso di uomini e di bestie da soma, a lungo non gli era possibile, poiché a stento si potevano piegare gli arti essendo i muscoli paralizzati dal freddo. [10] Poi, quando finalmente a forza di scuotersi ripresero i movimenti e si riebbero, e si cominciò ad accendere fuochi qua e là, ciascuno, anche se debole, cercava di aiutare gli altri. Rimasero là due giorni come se fossero assediati. [11] Morirono molti uomini, molte bestie da carico e anche sette degli elefanti che erano sopravvissuti alla battaglia della Trebbia.

Note217 a.C.
PASSO
LocalizzazioneXXI, 59.1-9
Testo originale[1] Degressus Appennino retro ad Placentiam castra movit et ad decem milia progressus consedit. Postero die duodecim milia peditum quinque equitum adversus hostem ducit; [2] nec Sempronius consul — iam enim redierat ab Roma — detrectavit certamen. [3] Atque eo die tria milia passuum inter bina castra fuere; postero die ingentibus animis vario eventu pugnatum est. Primo concursu adeo res Romana superior fuit, ut non acie vincerent solum, sed pulsos hostes in castra persequerentur, mox castra quoque oppugnarent. [4] Hannibal paucis propugnatoribus in vallo portisque positis ceteros confertos in media castra recepit intentosque signum ad erumpendum expectare iubet. [5] Iam nona ferme diei hora erat, cum Romanus nequiquam fatigato milite, postquam nulla spes erat potiundi castris, signum receptui dedit. [6] Quod ubi Hannibal accepit laxatamque pugnam et recessum a castris vidit, extemplo equitibus dextra laevaque emissis in hostem ipse cum peditum robore mediis castris erupit. [7] Pugna raro magis ulla saeva aut utriusque partis pernicie clarior fuisset, si extendi eam dies in longum spatium sivisset; [8] nox accensum ingentibus animis proelium diremit. Itaque acrior concursus fuit quam caedes, et, sicut aequata ferme pugna erat, ita clade pari discessum est. Ab neutra parte sescentis plus peditibus et dimidium eius equitum cecidit; [9] sed maior Romanis quam pro numero iactura fuit, quia equestris ordinis aliquot et tribuni militum quinque et praefecti sociorum tres sunt interfecti.
Traduzione[1] Sceso dall'Appennino, Annibale marciò indietro in direzione di Piacenza e si accampò dopo essere avanzato fino a dieci miglia [ca. 15 km.] dalla città. Il giorno dopo guidò contro il nemico dodicimila fanti e cinquemila cavalieri; [2] e il console Sempronio — era infatti già tornato da Roma — non rifiutò di combattere. [3] E quel giorno i due accampamenti furono a sole tre miglia [ca. 4,5 km.] l'uno dall'altro; il giorno seguente si combatté con grandissimo impeto e con vario successo. All'inizio dello scontrò le forze romane ebbero la meglio, tanto che non solo furono vincitrici sul campo, ma anche volsero in fuga i nemici e li inseguirono fino all'accampamento, e poi attaccarono anche quest'ultimo. [4] Annibale, disposti pochi difensori nel vallo e alle porte, radunò tutti gli altri serrati insieme nel centro dell'accampamento e ordinò loro di attendere all'erta il segnale della sortita. [5] Erano già quasi le tre del pomeriggio, quando il Romano, dopo che i soldati si furono inutilmente stancati, poiché non c'era nessuna speranza di prendere l'accampamento, diede il segnale della ritirata. [6] Quando Annibale se ne accorse e vide che la battaglia era stata allentata e che i Romani si ritiravano dall'accampamento, lanciati immediatamente contro il nemico i cavalieri dalla porta destra e dalla sinistra, egli stesso con il fior fiore dei fanti fece una sortita dal centro dell'accampamento. [7] Di rado ci sarebbe stata una battaglia più accanita o più notevole per lo sterminio da entrambe le parti, se il giorno avesse consentito che essa durasse a lungo; [8] la notte venne ad interrompere la battaglia divampata con grandissimo ardore. Perciò lo scontro fu più violento della strage e, come all'incirca pari erano state le sorti della lotta, così alla fine pari furono le perdite. Dall'una e dall'altra parte non caddero più di seicento fanti e di trecento cavalieri; [9] ma per i Romani le perdite furono più gravi di quanto il numero dei caduti potesse far pensare, poiché persero la vita alcuni appartenenti all'ordine della cavalleria.

Note217 a.C.
PASSO
LocalizzazioneXXI, 63.1-3
Testo originale[1] Consulum designatorum alter Flaminius, cui eae legiones, quae Placentiae hibernabant, sorte evenerant, edictum et litteras ad consulem misit, ut is exercitus idibus Martiis Arimini adesset in castris. [2] Hic in provincia consulatum inire consilium erat memori veterum certaminum cum patribus, quae tribunus plebis et quae postea consul prius de consulatu, qui abrogabatur, dein de triumpho habuerat, [3] invisus etiam patribus ob novam legem, quam Q. Claudius tribunus plebis adversus senatum atque uno patrum adiuvante C. Flaminio tulerat, ne quis senator cuive senator pater fuisset maritimam navem, quae plus quam trecentarum amphorarum esset, haberet.

Traduzione[1] Uno dei consoli designati, Flaminio, a cui erano toccate in sorte le legioni che svernavano a Piacenza, mandò all'altro console l'ordine, accompagnato da una sua lettera, che quell'esercito il 15 marzo si trovasse accampato a Rimini. [2] Qui, nella sua zona di operazione, egli aveva intenzione di cominciare il consolato, essendo memore degli antichi contrasti che con i senatori aveva avuto, da tribuno della plebe e poi da console, prima a proposito del consolato che si cercava di togliergli, poi riguardo al trionfo, [3] ed essendo anche malvisto dai senatori a causa della nuova legge che il tribuno della plebe Q. Claudio aveva presentata contro il parere del senato e con il favore del solo senatore G. Flaminio, secondo la quale nessun senatore o figlio di senatore poteva possedere una nave atta a percorrere il mare, della portata di più di trecento anfore.
Note217 a.C.
PASSO
LocalizzazioneXXI, 63.10-15
Testo originale[10] Magis pro maiestate videlicet imperii Arimini quam Romae magistratum initurum et in deversorio hospitali quam apud Penates suos praetextam sumpturum. [11] Revocandum universi retrahendumque censuerunt et cogendum omnibus prius praesentem in deos hominesque fungi officiis, quam ad exercitum et in provinciam iret. [12] In eam legationem — legatos enim mitti placuit — Q. Terentius et M. Antistius profecti nihilo magis eum moverunt, quam priore consulatu litterae moverant ab senatu missae. [13] Paucos post dies magistratum iniit, immolantique ei vitulus iam ictus e manibus sacrificantium sese cum proripuisset, multos circumstantes cruore respersit; [14] fuga procul etiam maior apud ignaros, quid trepidaretur, et concursatio fuit. Id a plerisque in omen magni terroris acceptum. [15] Legionibus inde duabus a Sempronio, prioris anni consule, duabus a C. Atilio praetore acceptis in Etruriam per Appennini tramites exercitus duci est coeptus.
Traduzione[10] Più conformemente alla maestà, certo, dell'impero avrebbe iniziato la sua carica a Rimini invece che a Roma e avrebbe indossato la pretesta in un albergo invece che presso i suoi Penati. [11] Tutti furono del parere che lo si dovesse richiamare indietro e far tornare e costringere a compiere di persona tutti i doveri verso gli dei e gli uomini, prima che si recasse presso l'esercito e nella zona d'azione. [12] Q. Terenzio e M. Antistio, partiti per compiere quella missione — fu deciso infatti che fossero inviati ambasciatori — non riuscirono affatto a smuoverlo più di quanto durante il suo consolato lo avesse smosso la lettera inviatagli dal senato. [13] Pochi giorni dopo entrò in carica e, mentre egli compiva un sacrificio, un vitello, sfuggito alle mani dei sacrificanti dopo che già era stato colpito, spruzzò di sangue molti dei presenti; [14] lontano di lì ancor più grande fu la fuga e il correre qua e là di coloro che non sapevano il motivo dello scompiglio. Ciò fu interpretato dai più come presagio di grande terrore. [15] Poi, ricevute due legioni dal console dell'anno precedente, Sempronio, e due dal pretore G. Atilio, cominciò a far marciare l'esercito alla volta dell'Etruria, attraverso i valichi dell'Appennino.
Note217 a.C.

COMPILAZIONE
COMPILAZIONE
Data2011
NomeAssorati G.
AGGIORNAMENTO – REVISIONE
Data2021
NomeParisini S.

ultima modifica: 22/01/2021
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