FONTE
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AutoreClaudiano
Titolo operaPanegyricus de sextu consulatu Honorii Augusti
Anno404 d.C.
Periodoetà dei teodosidi
EpocaTarda Antichità
Noteed.: M. Dewar (ed.), Panegyricus de sexto consulatu Honorii Augusti, Oxford 1996.
PASSO
Localizzazionevv. 146-177
Testo originaleUndosa tum forte domo vitreisque sub antris / rerum ignarus adhuc ingentes pectore curas / volvebat pater Eridanus: quis bella maneret / exitus, imperium ne Iovi legesque placerent / et vitae Romana quies, an iura perosus / ad priscos pecudum damnaret saecula ritus? / Talia dum se cum movet anxius, advolat una / Naiadum resoluta comam, conplexaque patrem, / “en Alaricus” ait, “non qualem nuper ovantem / vidimus; exangues, genitor, mirabere vultus. / Percensere manum tantaque ex gente iuvabit / reliquias numerasse breves. Iam desine maesta / fronte queri, Nymphasque choris iam redde sorores”. / Dixerat; ille caput placidis sublime fluentis / extulit et totis lucem spargentia ripis / aurea roranti micuerunt cornua vultu. / Non illi madidum vulgaris harundine crinem / velat honos; rami caput umbravere virentes / Heliadum totisque fluunt electra capillis. / Palla tegit latos umeros, curruque paterno / intextus Phaethon glaucos incendit amictus, / fultaque sub gremio caelatis nobilis astris / aetherium probat urna decus. Namque omnia luctus / argumenta sui Titan signavit Olympo: / mutatumque senem plumis et fronde sorores, / et fluvium, nati qui vulnera lavit anheli; / stat gelidis Auriga plagis; vestigia fratris / germanae servant Hyades, Cycnique sodalis / Lacteus extentas aspergit Circulus alas; / stelliger Eridanus sinuatis flexibus errans / clara Noti convexa rigat gladioque tremendum / gurgite sidereo subterluit Oriona. / Hoc deus effulgens habitu prospexit euntes / deiecta cervice Getas; tum talia fatur: / “sicine mutatis properas, Alarice, reverti / consiliis? Italae sic te iam paenitet orae? / Nec iam cornipedem Thybrino gramine pascis, / ut rebare tuum, Tuscis nec figis aratrum / collibus? O cunctis Erebi dignissime poenis, / tu ne Giganteis urbem temptare deorum / adgressus furiis? Nec te meus, inprobe, saltem / terruit exemplo Phaethon, qui fulmina praeceps / in nostris efflavit aquis, dum flammea caeli / flectere terrenis meditatur frena lacertis / mortalique diem sperat diffundere vultu? / Crede mihi, simili bacchatur crimine, quisquis / adspirat Romae spoliis aut Solis habenis”.
TraduzioneAllora per caso all'ondosa dimora e ai vetri sotto le grotte, ancora ignaro dei fatti, il padre Eridano meditava grandi affanni nel cuore: quale esito sarebbe risultato dalla guerra, il potere e le leggi non sarebbero dispiaciute a Giove e la quiete della vita romana, o, detestati i diritti, avrebbe condannato le generazioni all'antico rito delle bestie? Mentre preoccupato rimugina tali cose tra sé, giunge volando una Naiade dai capelli sciolti e, abbracciando il padre, dice: “ecco Alarico! Non come l'abbiamo visto poco tempo fa esultante: sarai sorpreso, padre, del suo volto pallido. Gioverà esaminare la forza e enumerare gli scarsi resti dalla moltitudine di popolo. Ora smetti di lamentarti con la fronte corrucciata, e già rendi le sorelle Ninfe alla danza”. Così disse; egli sollevò il capo dai placidi ruscelli in alto e spargendo luce alle sponde brillarono le corna dorate sul volto rugiadoso. A lui non orna la capigliatura bagnata una volgare di volgare canna; il capo ombreggiano rami verdeggianti delle Eliadi e fluisce ambra da tutti i capelli. Un mantello copre le spalle ai lati, e col carro paterno Fetonte intessuto incendia il verde vestito, e sostenuta sotto il petto con nobili stelle cesellate un'urna celeste conferma l'onore. E infatti il Titano lasciò impressa nell'Olimpo tutti gli articoli del suo lutto: e il vecchio mutato in piume, e le sorelle in fronde, e il fiume, che lavò le ferite del figlio che provoca affanni; è fisso l'Auriga nelle gelide plaghe; le impronte del fratello conservano le sorelle carnali Iadi, e del compagno Cigno la Via Lattea cosparge le ampie ali; l'Eridano portatore di stelle, errando con curve sinuose, irriga le chiare volte di Noto e con spada terribile in un vortice stellare scorre sotto Orione. La divinità brillante in questo abito guardava i Goti che arrivavano con la testa china; allora dice così: «così dunque, cambiati i propositi, t'affretti a ritornare, Alarico? Così adesso ti penti delle coste d'Italia? Né ormai fai pascolare il di corno zoccolato con l'erba tiberina, che consideravi tua, né conficchi l'aratro nei colli toscani? O di ogni sofferenza di Erebo degnissimo, perché non tenti l'assalto alla città degli dei con la pazzia dei Giganti? Neppure ti ha spaventato con l'esempio il mio Fetonte, che esalò il fulmine precipitando nelle nostre acque, quando pensava di manovrare le briglie fiammeggianti del cielo con braccia terrene e sperava di diffondere il giorno con volto mortale? Credimi, imperversa con simile crimine chi aspira al bottino di Roma o alle redini del Sole».
PASSO
Localizzazionev. 494-499
Testo originaleDixit et antiquae muros egressa Ravennae / signa movet, iamque ora Padi portusque relinquit / flumineos, certis ubi legibus advena Nereus aestuat / et pronas puppes nunc amne secundo, nunc redeunte / velut nudataque litora fluctu deserit, Oceani / lunaribus aemula damnis.
TraduzioneCosì disse [Stilicone] e fa uscire le insegne fuori dalle mura dell'antica Ravenna e lascia ormai le foci del Po e i porti fluviali, dove con ritmi regolari il mare sopraggiungendo si gonfia e abbandona le navi veloci ora secondo corrente ora controcorrente e i lidi lasciati in secca, emuli dell'Oceano negli inconvenienti provocati dalla luna.
PASSO
Localizzazionev. 210-212
Testo originaleOblatum Stilicho violato foedere Martem / omnibus adripuit votis, ubi Roma periclo / iam procul et belli medio Padus arbiter ibat.

TraduzioneRotto il patto, Stilicone si dedicò come offerta a Marte per ogni sua preghiera, quando, ormai lontano il pericolo da Roma, il Po giungeva arbitro in mezzo alla guerra.

PASSO
Localizzazionev. 361-365
Testo originale[Roma:] Dissimulata diu tristes in amore repulsas / vestra parens, Auguste, queror. Quonam usque tenebit / praelatus mea vota Ligus, vetitumque propinqua / luce frui, spatiis discernens gaudia parvis, / torquebit Rubicon vicino numine Thybrim?
Traduzione[Roma:] “Nascosta a lungo, dei tristi insuccessi in amore, Augusto, mi lamento, io vostra madre. Fino a quando il preferibile Ligure terrà le mie offerte votive, e vietatogli di fruire della luce vicina, separandolo dalle gioie con un piccolo spazio, il Rubicone tormenterà il Tevere con la vicinanza della tua divinità?

COMPILAZIONE
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Data2011
NomeAssorati G.
AGGIORNAMENTO – REVISIONE
Data2021
NomeParisini S.

ultima modifica: 20/01/2021
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