Pinacoteca Comunale di Faenza
Via S. Maria dell'Angelo, 9
Faenza (RA)
Vacchi Sergio

1925/ 2016
dipinto

tela/ pittura a olio
cm 40 (la) 40 (a)
con cornice cm 66x66
sec. XX (1973 - 1973)
n. 1783
Un grande fiore rosso a stella campeggia su una spiaggia deserta e selvaggia sotto ad un cielo dove si addensano grosse nubi scure e tempestose, mentre un gabbiano vola basso e obliquo sulla destra della scena; la linea bassa dell'orizzonte e il chiarore sopra ad essa contribuiscono comunque a stemperare la carica di pathos degli elementi rappresentati.

Nato a Castenaso di Bologna nel 1925, Sergio Vacchi tiene la sua prima personale nel 1951 presso la galleria del Milione di Milano, esponendo opere ispirate al postcubismo.
Si avvicina poi, alla fine degli anni Cinquanta, all'informale, anche grazie alla vicinanza con il critico Francesco Arcangeli, ma di lì a poco la sua pittura torna a farsi decisamente figurativa.
Gli anni Sessanta sono incentrati su una serie di lavori che hanno come tema il "potere" e da lì in poi il suo lavoro si sviluppa per cicli pittorici.
Nel 1968 inizia un nuovo foltissimo ciclo di opere intitolato il Pianeta: sono quadri raffiguranti donne al mare, in realtà un tipo ben specifico di donna, longilineo e con lunghi capelli lisci che coprono la schiena, in atteggiamenti sensuali con un uomo, sempre lo stesso, che rappresenta 1'artista in persona. Questi due personaggi, solitamente raffigurati nudi, quasi come simbolo di novelli Adamo ed Eva, sono circondati da cani, cavalli o pavoni, in uno scenario ambientale non individuabile ma principalmente deserto e sinistro con nubi che regolarmente si stagliano in un cielo plumbeo; solo in lontananza a volte si nota la presenza di un edificio, reperto storico del passato, a testimonianza di una civiltà che ancora può essere recuperata.
Crispolti ha definito poi questo ciclo una sorta di vacanza, di pausa di riflessione, mentre in quel momento storico, all'inizio appunto degli anni settanta, si tendeva a difendere e propendere anche nell'arte per un clima fortemente politicizzato. In realtà questa visione di evasione poetica e romantica sarà poi rivista in chiave sociologica: questi luoghi di sterilità e desolazione, altro non erano che il prodotto storico della crisi che l'umanità stava attraversando.