Istituto tecnico
via Lumagni 26
Lugo (RA)
Manzone Antonino progetto
1924/ 1996



Notizie storiche: biografia
Nino Manzone è l’autore, tra l’altro, del progetto della Camera di commercio di Ravenna. Cinquant'anni fa, nel 1957, veniva inaugurato quell'edificio ‘rivoluzionario' sul viale Farini. Era l'atto finale di una breve vicenda iniziata col bando di concorso del 1953, proseguita coi lavori della giuria di primo e secondo grado, quindi con l'appalto ed il cantiere.
In giuria, il Presidente della Camera di Commercio di allora, il Presidente per eccellenza, Luciano Cavalcoli, aveva chiamato due architetti e professori universitari di fama internazionale: Giuseppe Vaccaro e Giovanni Michelucci (oltre al Soprintendente ai Monumenti Giovanni Bonomo). Vinse uno sconosciuto giovane architetto romano alla sua prima vera prova importante: Nino (Antonino) Manzone che nel 1953 aveva soli 29 anni.
Con la Camera di Commercio la città acquista la nota della modernità e come spesso avviene, soprattutto in ambienti rimasti chiusi alle innovazioni per storia secolare, come Ravenna, quell'edificio è, da parte di molti, considerato estraneo alla tradizione, all'edilizia, all'ambiente cittadino. Tuttavia, insieme al suo autore, a poco a poco vince le resistenze ed entrambi affermano la loro autorità culturale.
Manzone si trasferì a Ravenna, dove aprì lo studio professionale, il primo vero studio di architettura della città. Nei vent'anni che seguirono vi realizzò opere importanti e sempre di valore, tra cui: l'Hotel Bisanzio in via Salara, la casa Roncuzzi sul viale dei Giardini pubblici, la sede dell'ITI, l'Istituto Tecnico Industriale (quest'ultimo insieme a due ancor più giovani architetti ravennati: Gino Gamberini e Danilo Naglia), oltre a vari interventi di edilizia popolare, all'edificio di via Diaz angolo via di Roma, alla nuova sede dell'Archivio di Stato, al quartiere Vallona.
Verso la metà degli anni Settanta lascia lo studio di Ravenna e si trasferisce in Iran ed a Roma dove progetta molto, ma non altrettanto realizza.,
L'istituto tecnico situato a Lugo di Romagna, progettato da Antonino Manzone nel 1968, sorge a poca distanza dalla ferrovia e nei pressi del parco pubblico “Il Tondo”. Attualmente il complesso, intitolato a Giuseppe Compagnoni, fa parte del polo tecnico professionale che riunisce più scuole professionali del comune.
Il progetto realizzato sembra direttamente desunto dall'elaborazione teorica che circa un decennio prima era stata utilizzata, in collaborazione con Gino Gamberini e Danilo Naglia, per l'istituto tecnico industriale Nullo Baldini di Ravenna. Allora l'architetto dichiarava l'ambizione di rinnovare il linguaggio architettonico di questi complessi attraverso lo sfruttamento dei processi produttivi e tecnologici, la larga applicazione dei quali avrebbe prodotto un’elevata economicità dell’intervento. L’edificio pertanto si presenta come il frutto, formale e linguistico, dell’inserimento del processo tecnologico/produttivo in quello progettuale, fuso con l'impegno verso il recupero dell'eredità razionalista. Tale aspetto si concretizza nel tentativo di evitare ogni forma di personalizzazione degli elementi architettonici, definiti da forme essenziali, che dichiarano in maniera evidente solo la propria funzione. Gli uffici, le aule, le palestre e i servizi, vengono pensati come parti di un programma e organizzati gerarchicamente sui tre piani, secondo rigidi criteri funzionali.
Manzone intende con l’edificio di Lugo sottolineare il predominio della grande scala su quella di dettaglio, prodotta dalla mancanza di abitudine alla contemplazione, legata dall’eccesso di sollecitazioni visive. Lui stesso scrive «ormai contano i fatti macroscopici, le grandi masse, i grandi motivi, le grandi stesure cromatiche - e continua - ogni forma è sottoposta a un consumo così rapido da risultare alla fine, esteticamente neutra» (A.Manzone, 1967, cit.).
Il nuovo istituto tecnico si mostra pertanto come un’architettura volutamente, astorica: non c'è basamento, né coronamento, né alcuna interpretazione moderna a modelli o sistemi compositivi del passato. I blocchi edilizi sono scatole appoggiate direttamente al suolo senza alcuna mediazione; la volumetria si compone sagomando i profili dell'edificio in spessore e assemblando volumi puri, operazione imposta come unico tema compositivo, reiterato a creare le diverse situazioni spaziali.
Anche le bucature acquisiscono uno spessore, grazie ai cassettoni che le incorniciano. La loro disposizione segue una perfetta griglia ortogonale che scandisce con rigore la sequenza dei pieni e dei vuoti, variata dall'impiego di due diverse dimensioni in altezza.
L'immagine complessiva ottenuta con questo procedimento richiama una volontà di astrazione accentuata dalle colorazioni sature delle tinteggiature delle parati. I volumi principali del complesso sono dipinti in blu acceso, il grigio chiaro è riservato all'interno dei cassettoni delle finestre. Rosso è il corpo scala esterno, mentre il fucsia viene steso come finitura degli elementi di connessione.




fonte: Architetture del secondo Novecento - Mibact - Matteo Sintini, Elia Serafini