Centro Culturale "Carlo Venturini"
Viale Zaganelli, 2
Massa Lombarda
calcare lisciatura
calcare a incisione
età punica
sec. III a.C. (299 a.C. - 200 a.C.)
cm.  17.2 (a) 15.3 (la) 8.5 (s)
n. 1 x, 2° parte
Stele votiva punica, in calcare biancastro, a frontone triangolare, fiancheggiato da acroteri. La faccia anteriore presenta una lisciatura molto accurata ed è decorata a incisione piuttosto superficiale. Dal basso verso l'alto: fregio di ovuli e punte di lancia separano la parte centrale della stele dalla sommità; sugli acroteri volute, sul timpano braccio (destro?) con mano aperta e braccialetti al polso.

Tutte le stele conservate nella collezione provengono da Cartagine. Tale provenienza è accertata non soltanto dalle notizie antiquarie relative al costituirsi della collezione, ma anche e soprattutto dall'essere alcune di esse (nctn 0139-0140) già pubblicate nel CIS. Le stele di Massalombarda costituiscono, insieme alle tre conservate nel Museo nazionale Pepoli di Trapani (Fuentes Estanol 1977, pp. 51-54) e già edite nel CIS, I, ai numeri 2079-2081 (Garbini 1978, p. 3), e insieme ad una del Museo Nazionale di Cagliari (Barreca, pp. 3-8), un singnificativo lotto di monumenti cartaginesi giunti in Italia attraverso varie e non sempre perfettamente ricostruibili vicende antiquarie. Mentre, infatti, dalle notazioni d'archivio, riportate nelle singole schede, le stele risultano quali doni fatti a C. Venturini da amici di Tunisi, come il comm. Falca (nctn 0138-0139) e il comm. Conversano (nctn 0140, 0142), diversa è la localizzazione indicata nel CIS per i due reperti editi. Non è da escludere, quindi, che anche le altre stele, che sembrano risultare inedite, abbiano subito una analoga trafila.
In effetti, le diverse ubicazioni che si possono ricostruire per i singoli reperti devono la loro equivocità a indicazioni che non distinguono puntualmente tra calco e originale. E' emblematico il caso della stele nctn 0139 (CIS, Pars prima, Tomus II, fasciculus quartus, p. 554, n. 3247) che appare così registrata "extat Augustae Taurinorum in Museo"; ovvero quello della stele nctn 0140 (CIS, Pars prima, Tomus I, fasciculus secundus, p. 33b) la cui presentazione viene accompagnata da queste parole: "Golettae, in aula domus Cubisolii... Vidit anno 1874 H. de Villefosse, et ectypum fecit quod est apud nos. Aliud ectypum eodem fere tempore Wilmanns fecit, cuius Euting imaginem dedit..." E questa stele fa parte di un lotto di cui si afferma nel CIS " Extat in museo Britannico - lnscription trouvée à la Goulette en 1865, dans la maison du général Hussein (ex schedis Bourgadi">.
La non perfetta conoscenza sui modi e sui tempi di arrivo in Italia delle stele nulla toglie al valore intrinseco che può assumere la loro presenza nella collezione e di cui dovette certo essere a conoscenza il nostro collezionista. Il contenuto delle iscrizioni, che noi sappiamo essere noto al Venturini attraverso indicazioni dell'archeologo sardo Francesco Elena di Cagliari e la stessa simbologia che individua la faccia anteriore della stele (le rimanenti facce appaiono solo sbozzate a martellina) illustrano in modo emblematico il carattere votivo dei monumenti.
Gli esemplari, infatti, rientrano in quella categoria artigianale fenicio-punica, le stele, la quale accompagnava abitualmente ma non necessariamente e certamente non nella fase più arcaica (da ultimo Moscati - Uberti, p. 57) le urne in cui venivano raccolte le ossa e le ceneri del sacrificio compiuto: sacrificio che, come ci tramandano la Bibbia e le fonti classiche antiche ancor prima dei ritrovamenti archeologici d'Occidente (Nord-Africa, Sicilia, Sardegna) comportava l'offerta di fanciulli a Baal Hammon e, in un secondo tempo a Tanit e a Baal Hammon (Garbini 1980, pp. 187-203). Le stele, che riproducono tridimensionalmente i tempietti di tipo egiziano prima ed ellenizzante poi ovvero li recano rappresentati a rilievo sulla faccia anteriore, caratterizzano, insieme alle urne, un tipo particolare di santuario a cielo aperto: il tofet. E' ad esso che viene collegato un rito particolare ed unico della religione fenicio-punica, il mlk b'l, ovvero il mlk 'dm e il mlk'mr, secondo i termini attestati nelle stesse iscrizioni votive delle stele.
Le stele della collezione Venturini, provenienti, come si è ricordato, dal tofet di Cartagine, sono del tipo in calcare marino di formazione quaternaria: un materiale facilmente reperibile nelle fasce litiche del luogo. Il coronamento di questa classe di reperti è a timpano, eventualmente fiancheggiato da acroteri, secondo una tipologia che caratterizza la fase più recente del tofet (Picard, Catalogue, pp. 3-4) e cioè secondo la tipologia che riproduce in modo più o meno schematizzato il tempietto di stile greco. Tale scelta tipologica, facilmente spiegabile con l'influenza culturale greca che investe nella sua globalità l'arte e l'architettura punica con l'affermarsi dell'ellenismo, innova radicalmente il repertorio lapideo influenzato direttamente, ovvero attraverso il Vicino Oriente, dall'arte e dall'architettura egiziana, ed emblematicamente documentato nel tofet cartaginese dalle stele dello strato B ,e da parte di quelle dello strato C (Bartoloni), quelle stele cioè che riproducono appunto il tempietto di tipo nilotico (Moscati-Uberti, pp 31-38).
La stele nctn 0138, l'unica integra almeno per quanto riguarda l'iscrizione, può rappresentare una guida alla lettura degli altri esemplari frammentari. Per quanto riguarda la tipologia è da notare che gli acroteri che fiancheggiano il timpano sono appena accennati, tanto che se il loro andamento non fosse sottolineato da volute sarebbero malamente distinguibili sotto il profilo architettonico: si noti la resa più puntuale nelle stele nctn 0140 e 0142. La decorazione fitomorfa che decora il timpano rientra in quel tipo di decorazione a palmetta schematizzata con rami a voluta rientrante consueto nel repertorio iconografico che decora i timpani (Picard 1975-76, p. 77, IIb). Il fregio costituisce un elemento non soltanto decorativo ma funzionale alla scansione delle diverse parti della stele: la sommità o coronamento; la parte centrale atta a ricevere l'iscrizione, ovvero la composizione iconografica, il cui valore iconologico rimane tuttora sotto molti aspetti non del tutto chiarito, ovvero l'iscrizione e la composizione insieme, come è il caso della stele n. 1 nella quale si conserva soltanto la sommità di un elemento fitomorfo (Picard 1975- 76, pp. 50-53); ed infine la base, che in questa classe monumentale tarda risulta per lo più priva di decorazioni.
L'iscrizione della stele nctn 0138 ripropone la formula consueta nelle stele a lastra: in esse la dedica del sacrificio è rivolta alla dea Tanit e al dio Baal Hammon. Tale ordine differenzia le iscrizioni delle stele in calcare da quelle più arcaiche in arenaria, essendo quest'ultime caratterizzate dall'offerta alla sola divinità maschile, a Baal Hammon. L'appellativo della dea Tanit, 'faccia di Baal', richiama l'analogo appellativo dell'Astarte orientale, 'nome di BaaI', di quell'Astarte di cui la dea Tanit sembra aver preso il posto nel pantheon cartaginese almeno a partire dal V secolo a.C. (Hvidberg-Hanse). La dedica, " Alla signora Tanit, faccia di Baal, e al signore Baal Hammon", è seguita dal nome del dedicante, secondo uno schema che prevede il pronome relativo 's [che sottintende il termine mtnt = dono presente ad esempio nelle iscrizioni votive del tofet di Mozia (Moscati Uberti, p. 76, note 12, 13)] seguito dal verbo ndr = offrire, nella forma del perfetto semplice. Il nome del dedicante Adonbaal è ampiamente attestato nell'onomastica fenicio-punica (Benz, pp. 56-59, 260-61, 288-90; sulla morfologia dell'onomastica punica, pp. 206-54). Segue la genealogia del dedicante introdotta dal termine bn = figlio; tale genealogia può prevedere sia il nome del padre, sia risalire a quello del nonno, come è il caso della stele n. 1, sia andare oltre includendo più generazioni; rare risultano, al contrario, le qualificazioni professionali di tali personaggi. Anche il nome del padre, Abdomelqart, è largamente attestato (Benz, pp. 155-61; 347-48; 369-72); quanto al nome del nonno, sempre introdotto dal termine di parentela bn = figlio è un nome ampiamente presente in punico, ma noto anche dalle fonti classiche: Magone (Benz, pp. 133-37; 339). E' interessante rilevare che questo nome, il cui significato è quello di 'benefattore', appare sempre nella forma semplice cioè non si combina né con elementi nominali né con elementi verbali, secondo la normale formazione onomastica semitica: una sola eccezione ci è documentata nelle tarde iscrizioni di el-Hofra, dove è registrato il nome mgnb'l (Benz, p. 137). Dal punto di vista paleografico le lettere sono caratterizzate da forme notevolmente allungate, proprie del punico tardo, così come il segno 'ayin aperto. L'altezza delle lettere varia da un massimo di cm. 5 (nun e tau) a un minimo di mm. 7 ('ayin). Il ductus denota una notevole padronanza tecnica da parte del lapicida.
Una carta manoscritta, applicata sulla faccia posteriore della stele, non soltanto nota che la stele fu trovata "negli scavi della storica Cartagine" e che fu donata al Venturini dagli amici Falca e Disegni di Tunisi, ma aggiunge un dato di notevole interesse: la traduzione dell'epigrafe, effettuata su una copia dall'archeologo sardo Francesco Elena, fu donata al Venturini negli anni seguenti, sicché il collezionista poté conoscere la lettura dell'iscrizione riportata sulla stele.
La problematica offerta dalla stele nctn 0139 della Collezione è di ordine paleografico; il monumento votivo, infatti, non riveste sotto il profilo tipologico e iconografico alcun interesse trattandosi di una semplice lastra con sommità a timpano. E l'interesse paleografico è legato alla presenza nella medesima iscrizione di due differenti tipi di grafia: quella neopunica per la dedica, che occupa le prime due righe "Alla signora Tanit, faccia di Baal, e al signore Baal Hammon (dono) che ha offerto...", e quella punica che identifica il nome del dedicante e la sua genealogia.
Una suggestiva ipotesi per spiegare tale duplicità grafica è ritenere che ci troviamo di fronte alla realizzazione di due mani diverse, cioè di due lapicidi di una medesima bottega, due lapicidi la cui esperienza scrittoria denoterebbe due diversi gradi di formazione. Il lapicida meno esperto compone la dedica che non presenta difficoltà di registrazione essendo un formulario fisso; la conseguenza, naturalmente, è che la sua redazione sia nella grafia contemporanea, la neopunica, cioè una sorta di corsivo che va sostituendo la grafia punica di carattere monumentale. Nel momento in cui si deve intervenire con una maggiore esperienza redigendo, magari sotto dettatura, il nome del dedicante e la sua genealogia, al primo lapicida incapace di controllare il fattore linguistico-grafico innovativo, subentra il secondo lapicida. E la registrazione dei dati personalizzanti la stele, che possiamo ipotizzare al momento del successivo intervento già sbozzata e recante il formulario dedicatorio alla divinità, immutabile nelle sue componenti grafiche, sarà stata completata con una grafia che riflette ancora la persistenza di una tradizione epigrafica di tipo monumentale "classico".
Non è da escludere, tuttavia, che pur mantenendo l'ipotesi dell'attribuzione a due mani diverse, si debba pensare a un rovesciamento delle capacità grafiche dei due redattori: in questo caso è un più esperto redattore che incide la dedica nella grafia neopunica ormai corrente, e, forse, come si accennava, nella bottega potevano giacere stele pronte alla domanda di mercato già fornite di dedica; nel momento di personalizzare la stele su richiesta del compratore questa viene affidata a un "giovane lapicida" che ricorre alla "calligrafia" di tipo monumentale, commettendo errori che denunciano una conoscenza solo approssimativa dell'arte scrittoria.
Può rientrare in quest'ambito la notazione che vede la nun di bn = figlio, nella terza riga, annullarsi con il tratto della het di hmn della seconda riga: questo nel caso che vogliamo riconoscere nell'accentuato prolungamento dell'asta verticale della het il sovrapporsi della nun. Come seconda ipotesi, altrimenti dobbiamo ammettere che il lapicida ha omesso di incidere la nun di bn. Pure erronea è la scrittura che identifica nella terza riga il padre del dedicante b'' strt poiché la forma corretta del nome, ampiamente attestata, è bd strt (Benz, pp. 82-88, 283-86, 386-87). Egualmente noti nell'onomastica punica sono il nome del dedicante, 'rs (Benz, 64-68, 276-77) e quello del nonno bdmlqrt (Benz, pp. 75-81, 283-86, 347- 48).
La stele nctn 0139 dunque, è di notevole interesse sia per la realizzazione grafica sia per gli errori che vi si registrano. Il ductus, notevolmente irregolare nelle prime due righe, sembra cercare una spaziatura più uniforme nella redazione a caratteri punici. L'altezza delle lettere varia da cm. 3 dell'alef a mm. 5 dell''ayin. Della stele nctn 0140 si conserva poco più della sommità. Tuttavia il motivo che adorna il timpano, e cioè il tempietto che racchiude il braccio destro con polso ornato da braccialetti e mano distesa, è di notevole interesse. Quanto al valore iconologico della mano levata si è voluto vedere in essa il ricordo del gesto dell'orante, ovvero quello del dio benedicente (Picard 1974-75, pp. 115-16; idem 1975-76, p. 58). Il fregio che separa l'elemento superiore della stele da quello centrale è il medesimo documentato sulla stele nctn 0138 (Picard 1975-76, pp. 68-71). Quanto all'iscrizione non è difficile ricostruire la parte mancante delle due righe residue. Il primo segno frammentario prima della tau, infatti, che si legge perfettamente, è la lettera nun: cioè la terminazione di tnt = Tanit; è facile quindi integrare la parte mancante con sei lettere [lrbt lt] nt = [Alla signora Ta]nit, faccia di Baal e al signo[re... Quanto alla seconda riga dobbiamo pensare di aver perso verosimilmente dieci lettere e cioè [n lb' lhmn 's]: la nun è infatti la terminazione di 'dn iniziato alla fine della prima riga; segue la dedica a BaaI Hammon e quindi dobbiamo presupporre il pronome relativo s' che sottintende l'oggetto dell'offerta espressa dal verbo ndr, secondo il formulario consueto, già documentato anche nelle stele nctn 0138 e 0139. lI nome del dedicante, di cui abbiamo perso la genealogia, è ben noto nel mondo punico hmlk (Benz, pp. 110-12; 263-64; 344-45). Il ductus appare abbastanza regolare; le lettere vanno da un massimo di cm. 3 (alef e lamed) a mm. 5 ('ayin). La stele nctn 0141 è troppo frammentaria per permettere una restituzione sicura. Per quanto riguarda il fregio esso è costituito da due sequenze, di cui quella inferiore richiama puntualmente il motivo già documentato nelle stele nctn 0138 e 0140; quella superiore potrebbe essere quanto resta del consueto motivo del disco solare sormontato dalla falce lunare, cioè i simboli astrali che adornano sia le stele arcaiche sia quelle più recenti. Quanto all'iscrizione, i segni residui nella prima e nella seconda riga ci documentano ancora una volta il formulario dedicatorio "Alla signora Tanit, faccia di Baal, e al signore Baal Hammon". Per le lettere della terza riga è probabile che esse facciano parte del nome del dedicante che possiamo ipotizzare come g]rs[trt, ben noto nell'onomastica fenicio-punica (Benz, pp. 106- 107; 298-99, 386-87), dal momento che il medesimo nome si presenta nella quarta riga e potrebbe individuare il nonno del dedicante. Le ultime tre lettere, . . .ytn, che terminano la quinta riga al centro della stele, sono, con ogni verosimiglianza, quanto resta del nome di uno degli avi: ipotizzare la forma completa non è opportuno poiché tutti i nomi delle divinità del pantheon punico potrebbero costituire il primo elemento di questo nome a evidente formazione verbale. Il ductus, per quanto è ancora possibile giudicare, è abbastanza regolare e le lettere appaiono incise in buona grafia; l'ampiezza massima di esse va da cm. 2 (tau) a mm. 5 ('ayin).
Il frammento nctn 0142 conserva soltanto la sommità a timpano con acroteri. Come nel frammento nctn 0140, il motivo figurato del timpano è il braccio destro con braccialetti al polso, tuttavia, a differenza di quello e in affinità con moduli iconografici più frequenti, il braccio è rappresentato libero nello spazio e non inserito nel tempietto. Anche il fregio richiama la realizzazione che caratterizza le stele nctn 0138, 0140 e 0141.
La stele votiva in esame proviene da Cartagine, dono Conversano di Tunisi (874).