tavola/ pittura a tempera
secc. XV/ XVI
La pennellata, le scelte cromatiche e l’uso di una luce calda, sono elementi ripresi dalla pittura veneta,ed in particolare da quella di Giovanni Bellini; e denunciano una fase assestata nel percorso di Marco Palmezzano.
La tavola è un frammento dello stesso polittico da cui deriva anche il Sant’Agostino a figura intera, ha la stessa grandezza e raffigura l’Arcangelo con il piccolo Tobia, che ha un'età inferiore rispetto all’episodio biblico. Le due figure sono leggiadre e sono inserite in una sontuosa architettura con colonne e pilastri ornati da grottesche su fondo oro che è la stessa di quella di Sant’Agostino.
Il dipinto presente in Pinacoteca già nel 1865, fu visto nel 1777, insieme alle altre tre tavole raffiguranti Sant’Agostino, San Girolamo e un Santo Vescovo, nella sacrestia della chiesa faentina di sant’Agostino da Marcello Oretti, che le attribuisce al Palmezzano (Ms. B. 165 b, c. 262 v.).
L’attribuzione trova concorde tutta la letteratura successiva, ma la provenienza è stata oggetto di controversie.
Le due tavole raffiguranti L’Arcangelo e Sant’Agostino, sono sicuramente due frammenti di uno stesso polittico, che non può essere identificato né con quello dipinto nel 1537 per Lucia Calzolari di Cesena e né con quello eseguito nel 1505 per la chiesa di San Girolamo dell’Osservanza di Faenza, come sostiene il Grigioni. C. Grigioni, pubblicando la tavola di Cesena, integra, in collezione privata inglese (1956, pp. 113-14 f. XLII), considera le quattro tavole come parti di due dipinti smembrati, uno dei quali eseguito nel 1505 dal pittore per la chiesa di S. Girolamo dell'Osservanza di Faenza, come da un documento di quell'anno.
La testimonianza dell’Oretti e la presenza di Sant’Agostino risolverebbero il caso a favore della chiesa di Sant’Agostino come sede d’origine.